Solo la conoscenza può creare sviluppo

Giuseppe Lembo

L’Italia si trova in una condizione di profonda crisi; oltre che economica è anche e soprattutto una crisi politica e culturale. Il nostro Paese è un Paese post-industriale; la classe dirigente del nostro Paese è assolutamente inconsapevole del tempo in cui viviamo, per cui, fortemente ancorata ad un passato (quello industriale), che non c’è più. Non sa vedere altro; non sa generare altro; non sa immaginarsi altro. Con questo gap umano di chi governa, il nostro è un Paese assolutamente fermo; il nostro è un Paese immalinconito, assolutamente bloccato. I comportamenti umani di chi dovrebbe favorire il passaggio dal vecchio al nuovo, ossia alla seconda modernizzazione, purtroppo sono comportamenti fortemente resistenti al nuovo che avanza; sono comportamenti suicidi, dove i ladri di futuro non sanno assolutamente immaginarsi un diverso, possibile futuro. In tanti sono ancorati ad un passato industriale che abbiamo ormai alle nostre spalle. Che fare, per adeguare i comportamenti umani ai tempi in cui viviamo? Prima di tutto, è necessario fare una vera e propria rivoluzione epocale; è necessario  mettere al centro del cambiamento, i giovani, i veri e più importanti protagonisti di ogni futuro possibile. La classe dirigente, che rifiuta di adeguarsi, promuovendo i cambiamenti possibili e necessari, tra l’altro, parla di sviluppo in modo assolutamente inadeguato e fuorviante e non si pone per niente il problema della cultura, in epoca industriale utilizzata semplicemente ai massimi livelli della società, ossia di quella società di classe che già autonomamente riusciva a gestirsi anche la cultura, grazie alle tradizioni familiari ed alle ottime scuole frequentate. Nell’epoca post-industriale, così come la viviamo, purtroppo la classe dirigente non riesce a separarsi dagli interessi particolari ed a rivolgersi agli interessi generali, elaborando per questi, una strategia culturale generale, lungimirante e di lungo respiro, rivolta a tutti e non solo ai pochi privilegiati. Al tempo della borghesia, nel nostro Paese, contavano le proprietà del capitale e dei mezzi di produzione congiunti all’intraprendenza ed al sapere; i lavoratori, ossia la maggioranza umana del Paese,  avevano il solo compito di svolgere lavori subalterni e ripetitivi. Oggi nel mondo del lavoro, niente è più come ieri; a contare sono, soprattutto, i beni immateriali della conoscenza, della comunicazione e delle relazioni umane; valgono non solo i cervelli superiori, ma anche quelli meno elevati della società, ossia quei “cervelli dimenticati” di nessun conto per il potere costituito, un potere di casta, padrone di tutto ed al centro, come motore unico della società, di tutte le decisioni e di tutte le scelte importanti. Finalmente si riesce a capire che la creatività e l’intraprendenza sono una grande risorsa di tutti e per tutti; questo per effetto della centralità crescente, assunta dal capitale umano. Il rapporto all’interno della società non è più di lotta fra classi, ma di necessaria condivisione umana. I beni prodotti dall’insieme sociale, sono beni rivolti all’autorealizzazione di tutti; sono rivolti alla promozione ed alla gratificazione di tutte le persone. L’uomo non deve più e solo soddisfare i bisogni, ma deve saper andare oltre, sapendo pensare soprattutto ai saperi, alla ricerca, alla comunicazione, alle attitudini, ai gusti ed agli stili di vita; deve, tra l’altro, saper soddisfare i desideri dell’immaginario e dell’identità; questa è l’espressione vera dell’uomo nella sua vita d’insieme con gli altri uomini. Ne consegue così che, di fatto cambiano gli scenari umani e sociali del nostro Paese; l’abbigliamento è secondario rispetto alla moda; secondario è anche l’arredamento rispetto al design ed altrettanto,  l’alimentazione rispetto alla gastronomia. Nel modello umano e sociale, si fanno così strada gli stili di vita; la produzione culturale assume  sempre più, un ruolo di primo piano per lo sviluppo della società e della persona, con interessi veri e durevoli finalizzati ad una felicità capace di durare nel tempo, in quanto, soprattutto tendente al valore proprio di un immateriale non contaminato, dal denaro e dal potere. Salvare la cultura è tutto questo, prima di essere altro ancora; salvare la cultura, significa, sul piano antropologico, dare un taglio con il passato che è stato molto spesso, negazione dell’uomo. Purtroppo, mancano ancora i presupposti di partenza, per un reale cambiamento. Il livello italiano di saperi e conoscenza è ancora un livello piuttosto basso. Bassa è attualmente la nostra preparazione scolastica e universitaria; risente di un sistema educativo e formativo, purtroppo, poco educativo e poco formativo, con conseguenti gravi danni per il mondo delle professioni e più in generale, per il futuro che verrà essendo privo della necessaria spinta umana per i saperi, per la conoscenza e per la cultura d’insieme, la sola che può produrre idee d’insieme e percorsi di sviluppo possibile, basati su mondi nuovi con protagonista l’UOMO. L’Italia, per tante cose sbagliate che ne hanno compromesso il suo cammino di civiltà, di cambiamento e di sviluppo possibile, è in condizioni di grave ed assoluta precarietà; più che  semplici decreti per lo sviluppo possibile, bisogna, prima di tutto, saper intervenire per cambiare profondamente gli usi, i costumi e le idee degli italiani, sollevandole, il più possibile, all’altezza del mondo di oggi e facendole uscire dalle sacche paludose dell’indifferenza antropica in cui da troppo lungo tempo, si trova a vivere il nostro malconcio Paese. Il tipo di cultura profondamente antropica, di cui ha tanto bisogno il nostro Paese, non è solo proiettata verso il futuro, ma è anche un ritorno al passato pre-industriale; ne abbiamo bisogno, per non affogare nel NULLA esistenziale che porta al solo risultato della fine di tutto. Il nostro nuovo ha sempre e comunque il sapore degli avi, un sapore antico che non tradisce mai e che è parte insostituibile di quell’appartenenza a cui siamo legati identitariamente per valori e per cultura che è parte di noi ed è maestra della nostra vita dalla quale dipende il nostro presente, ma soprattutto le nostre prospettive di futuro, i cui mondi vitali sono unicamente quelli che noi siamo come pensiero, come conoscenza, come idee e come attivi protagonisti di saperi, la grande forza, il motore da cui dipende il cammino del mondo e la “buona” vita dell’uomo sulla Terra. Oggi c’è un disagio umano diffuso dovuto all’indifferenza dei più; siamo sempre più spesso in una condizione di vera e propria umanità disumana; una condizione purtroppo sgradevole, perniciosamente parte del sistema Italia; il risultato finale, assolutamente da evitare, è quello sempre più vicino, dell’annullamento di tutto e di tutti. Un disastro da evitare a tutti i costi, per garantire la speranza di futuro, non solo alla gente del nostro Paese ma anche all’uomo globale da cui dipende sempre più il futuro dell’umanità che, grazie alla cultura di ciascuno di noi può rigenerarsi, avvicinando così le diversità, producendo idee, nuovi linguaggi ed eliminando l’incomunicabilità, delle tante diversità culturali, oggi sempre più vicine nel mondo ed anche da NOI.