Pride della normalità

di Rita Occidente Lupo

Ogni anno 30 persone transessuali si sottopongono a un intervento chirurgico per cambiare sesso, in Italia sono circa 150, sempre più i giovani, accompagnati dalle famiglie. I tempi sono lunghi per il transito da uomo a donna e servono almeno 2 anni di accompagnamento e supporto dal primo accesso, a cui vanno aggiunti, oltre a quelli della lista di attesa, anche quelli del tribunale che deve esprimersi sulla domanda di cambio di sesso, in media 1 anno. In occasione dei 30 anni della Legge 164/1982 sul cambio di genere, naturale riflettere sull’identità sessuale e sul nome, che spesso vuol esser mutato senza che sia ancora avvenuto l’intervento definitivo. Senza discriminanti note, che continuano ad imbrattare la cronaca ingiustamente, vien fuori una mappatura demografica del nostro tempo, alquanto confusa. Con l’interrogativo naturale: esisterà la normalità? E’ quella a cui fanno appello quanti apprendono che, ad una certa età, semmai dopo aver consumato matrimonio ed aver messo al mondo tanto di prole, ci si scopre attratti dall’analogo sesso. E si pensa addirittura di convolare a rosee nozze, con tanto di placet popolare! Quella di quanti credono ancora che si nasca da una coppia etero, che il tutto avvenga per un evento non solo biologico, ma consequenziale all’amore che, negli esseri umani, non asseconda l’istinto bestiale. Quella che fa ancora credere all’amore complementare, guardando all’altro con delle caratteristiche diverse nella sua genesi procreativa: maschio e femmina! In chiave di pari opportunità, di diritti umani da tutelare, di crisi valoriale da difendere, spontaneo chiedersi “Ma perché non portare avanti il pride della normalità?”