Mtu Mwanamke (donna, femmina)

Padre Oliviero Ferro

Spesso si sente la parola “mwanamke” per definire qualcuno una donnicciola, insomma un buono a nulla. Ma colui che dice così, è di solito un uomo e non si rende conto del ruolo, dell’importanza della donna in Africa. Si vede che è abituato ad essere servito, a sentirsi il primo che non si cura degli altri. Invece, con un po’ di umiltà, che farebbe del bene a chi usa queste parole, si potrebbe scoprire chi è in effetti la donna in Africa. Naturalmente, per prima cosa, è una persona. Poi una mamma e infine qualcuno su cui passa l’ottanta per cento dell’economia dell’Africa. Una persona, con dei sogni, con dei diritti, con la voglia di vivere. Spesso tutto ciò rimane lettera morta. Quante donne sono oggetto di violenza, (nelle guerre), di disprezzo, di sfruttamento, di poca o nessuna considerazione. E qui, i movimenti femministi non intervengono. Quante bambini devono ancora subire le mutilazioni sessuali per seguire una tradizione che mette la donna sempre all’ultimo posto! Perché poche persone alzano la loro voce per difenderle? Perché? In alcuni paesi del mondo, la nascita di una bambina è vista come una sfortuna e quindi deve essere eliminata. In molti paesi dell’Africa, avere tante figlie può voler dire una fortuna, perché porteranno la dote del matrimonio in casa, insomma una specie di cassaforte. Ma chi ha mai chiesto alle ragazze se volevano sposarsi con colui che la famiglia aveva deciso? Erano obbligate a farlo, altrimenti avrebbero subito delle tristi conseguenze. Poi la donna è mamma. Quanta dolcezza negli occhi delle mamme africane; quanta gioia nel cullare tra le loro braccia i figli, cantando loro delle nenie per addormentarli. E danzare insieme con loro, e lavorare insieme con loro, pilando la manioca. E viaggiare con loro e…sognare con loro un mondo migliore. Come era bello, incontrandole, vedere il loro bambino che spuntava dietro le spalle e loro che portavano i bidoncini d’acqua sulla testa. Si fermavano a chiacchierare, mentre il bambinetto si nascondeva per qualche istante, perché aveva visto una faccia bianca. Poi, spuntava all’improvviso e spalancava i suoi occhioni davanti a te con un sorriso! Quanta fatica. Tutti lo dicono che quasi tutta l’economia dell’Africa passa sulle spalle delle donne. Bastava alzarsi presto al mattino per vederle andare nei campi, intassate nei camioncini che le portavano lontano (quindici-venti chilometri) con il più piccolo sulle spalle e con una zappa e un sacco dove avrebbero messo i frutti del loro lavoro. Vederle sudare,cantare, mentre lavoravano nei campi. E poi, alla sera, con i sacchi pieni, aspettare i taxi gialli che le avrebbero, chissà a che ora, riportate a casa. E arrivate a casa, preparare da mangiare, pulire; insomma fare tutto e l’uomo…beh lui, aveva altre cose da fare. Ma, la cosa più bella, era il vederle cantare, danzare, dare sfogo alla loro gioia, la domenica, durante la celebrazione. Là recuperavano tutta la fatica della settimana. Tutto passava, perché insieme dicevano grazie a Gesù e alla mamma sua, che aveva provato cosa vuol dire essere persona, mamma e donna di casa. Grazie, donna d’Africa. Se non ci fossi, bisognerebbe inventarti. Sei meravigliosa.