Chi salta, il Governo o il Pd?

Angelo Cennamo

Giorgio Napolitano probabilmente lo ricorderemo come un bravo presidente della Repubblica; attento, responsabile, e soprattutto decisivo. Almeno in due occasioni. La prima, quando negò a Silvio Berlusconi di trasporre in un decreto legge la dichiarazione di intenti che l’ex premier offerse ai vertici di Bruxelles, nei giorni concitati della crisi di novembre. La seconda, più recente, quando ha impedito a Mario Monti di  ricorrere al medesimo strumento legislativo per varare la riforma del mercato del lavoro, giudicata una priorità urgente già il 5 agosto scorso, dal duo Trichet-Draghi. Nel primo caso, il ricorso al decreto avrebbe cambiato il corso della storia e lasciato al suo posto il governo di Berlusconi. Nel secondo, avrebbe prodotto un evento altrettanto clamoroso : l’esplosione del PD, obbligato ad approvare una legge ostica ed antiestestica per la sua natura di partito fintamente riformista. Per giunta, a pochi giorni dalle elezioni amministrative. La neutralità di Napolitano non può essere messa in discussione, specialmente in un momento così delicato e difficile per il Paese. Ma il sospetto che Re Giorgio, nonostante tutto, con queste due scelte possa aver teso la mano ai suoi amici di partito, un pò serpeggia. Alla riscrittura dell’art. 18, che è il cuore pulsante della più ampia riforma del lavoro, il governo dei tecnici è pervenuto dopo un lungo braccio di ferro tra le diverse forze politiche e i sindacati. E il risultato che ne è venuto fuori, qualunque esso sia, è il compromesso tra posizioni inizialmente molto distanti tra loro. Una volta messo il punto, sarebbe stato quindi logico e doveroso, anche in continuità rispetto alle precedenti riforme, tutte attuate con decreto legge, che l’esecutivo introducesse la nuova normativa con lo stesso strumento d’urgenza utilizzato per pensioni e liberalizzazioni. Questo non è accaduto, e forse non è così difficile comprenderne le ragioni. Il motivo va individuato, cioè, in quella famosa foto di Vasto dove sono raffigurati : Bersani, Vendola e Di Pietro, e nella quale manca il quarto incomodo, il convitato di pietra Susanna Camusso. Che il Pd, infatti, non riesca o non voglia – a seconda dei punti di vista – prendere le distanze dalla Cgil e dalla sua base più oltranzista, è un dato oramai acclarato. La “sinistra” italiana, quella verace dei “compagni” – che poi sono sempre gli stessi : Bersani, D’Alema, Veltroni, Finocchiaro, e tutti i bella ciao di turno, erano già militanti nel Pci di Berlinguer – ha come punto di riferimento, come suo navigatore satellitare, proprio quella sigla sindacale, la Cgil. Per il segretario del PD avallare la riforma dell’art. 18, così come prospettata ( ma anche mediata) da Monti e dal ministro Fornero, sarebbe stato un rospo troppo amaro da far mandare giù al popolo delle bandiere rosse. E allora, deve aver pensato il gemello di Crozza e con lui il presidente della Repubblica, meglio menar il can per l’aia; meglio cioè lasciare che a decidere sia il parlamento con i suoi tempi biblici, con le sue imboscate e i suoi tergiversamenti. E Monti? il preside non ci sta, non vuole passare alla storia come uno dei tanti temporeggiatori di palazzo Chigi, ingessati dai veti e dagli inciuci dei partiti, e dalla sua trasferta asiatica promette battaglia. La riforma, dice lui, dovrà passare così come è stata licenziata dal consiglio dei ministri, e in tempi ragionevoli. Lo scontro dunque si preannuncia durissimo. Ma alla fine uno dei due, per forza di cose, sarà costretto a cedere, e le conseguenze che seguiranno a quell’arretramento faranno parecchio discutere.  

 

6 pensieri su “Chi salta, il Governo o il Pd?

  1. @Angelo:

    ma licenziato Fede hanno preso Cennamo? 🙂 Una battuta, dai, oggi ti vedo particolarmente ideologizzato 😉

  2. Ho fatto solo due + due. Bersani deve sudare parecchio per far digerire ai suoi la riforma dell’art. 18 : è vero o è falso? Monti, fino ad ora, ha varato le sue riforme con decreto legge. L’ultima, nella road map di Bruxelles considerata la più urgente, è uscita dal cdm sotto forma di disegno di legge : è vero o è falso? Quanto a Fede, lo ricorderemo come uno dei maggiori giornalisti televisivi di questo paese. E’stato sì fazioso, ma non lo ha mai negato. Molti altri lo sono, fingendo di non esserlo. Grazie per il paragone, Billy, ma non credo di esserne all’altezza.

  3. @Cennamo:

    Angelo, il PD sta facendo tutto questo “rumore” per un solo motivo: intende recuperare voti andati dispersi che appartengono all’area della sinistra (SEL e via dicendo). Che poi, si possano prendere misure più eque, beh, credo non ci siano dubbi, anche data la situazione generale delle famiglie italiane (che non è economicamente eccezionale).

    Fede a me era simpatico: lo guardavo di proposito come si guarda un programma comico per vedere su certe cose dove sarebbe andato a parare. Non mi ha mai infastidito la sua faziosità, proprio perché era una cosa veramente evidente. Mi mancherà (lo dico sinceramente) e mi ha molto colpito il suo messaggio di addio (mi è apparso molto umano).

    Comunque, in Italia credo che -dato il clima- non arriveremo mai al giornalismo britannico e i giornalisti saranno sempre più o meno schierati. Io riesco a digerire solo Aldo Grasso e Paolo Mieli (pensa te…)…

  4. Il giornalismo anglosassone, per la verità, è apertamente fazioso : è il pluralismo che garantisce equilibrio.

  5. @Angelo:

    il giornalismo inglese si caratterizza da sempre per la critica verso il governo di turno: in Italia a questo non siamo pronti (altrimenti non ci sarebbero stati “editti”, scomuniche e nemmeno “direttorissimi”). La nostra informazione è prona e vittima degli editori. Teste pensanti e autonome ne vedo decisamente poche.

  6. @Angelo sempre:

    poi c’è chi è prono indipendentemente dal volere dell’editore. Come diceva Montanelli: “La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi” 🙂

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