La depressione: una patologia sociale

Giovanna Rezzoagli

Si definisce “Patologia Sociale” una malattia la cui incidenza è molto alta all’interno di una specifica sfera sociale. Era considerata, ad esempio, patologia sociale la tubercolosi nell’ottocento sino alla metà del novecento. Il concetto è fine, poiché coinvolge l’assunto in base al quale cambiando i parametri sociali cambiano anche i dati epidemiologici di riscontro della patologia sociale presa in esame. Quando si parla di “Depressione” lo si fa sovente in modo approssimativo e/o carente, questo avviene in massima parte perché il termine è diventato parte del linguaggio comune e associa nel proprio significato suggestivo diverse sintomatologie. Già quest’evidenza è sufficiente a caratterizzare la depressione come patologia sociale, ma il dato incontrovertibile che la elegge come tale è la percentuale di soggetti che incorrono in almeno un episodio depressivo nell’arco della loro esistenza: circa tre persone su quattro nei Paesi occidentali più industrializzati. La moderna psichiatria imputa questa risultanza, prevalentemente, al ritmo di vita frenetico che tipicamente conduce chi vive in queste zone geografiche. Un ritmo di vita che non rispetta minimamente i tempi biologici per i quali siamo predisposti, con particolare evidenza nei confronti del ritmo circadiano. E’ scientificamente dimostrato che un ritmo circadiano alterato predispone ad un aumento del cortisolo (noto comunemente come “ormone dello stress”), con conseguenti alterazioni psicobiologiche, le più rilevanti delle quali appaiono essere un indebolimento delle difese immunitarie ed una marcata alterazione del tono dell’umore (distimia). Per l’appunto, la cosiddetta depressione. In semeiotica psichiatrica la depressione è classificata all’interno dei disturbi di tipo affettivo. Si distingue tra depressione reattiva, o esogena, quando è determinata da cause esterne all’interiorità dell’individuo (ad esempio un evento luttuoso), e depressione endogena, dovuta a condizioni intrapsichiche del soggetto. E’ ulteriormente possibile valutare una causa somatogena per l’insorgere di una forma depressiva allorquando sia possibile determinare un rapporto causale tra lo stato depressivo ed una patologia e/o una disfunzione organica preesistente (come spesso avviene nei casi di ipotiroidismo). I sintomi della depressione sono sovente molto sfumati, almeno nelle fasi iniziali, ma non per questo vanno sottovalutati, magari nella speranza che si risolvano da soli: non avviene quasi mai. E’ invece molto opportuno rivolgersi tempestivamente allo specialista medico psichiatra, per una attenta valutazione del caso e per una tempestiva, eventuale, terapia. Prima si interviene e più elevate sono le possibilità di una completa guarigione, mentre una forma depressiva trascurata tende facilmente a cronicizzare. Esiste ancor oggi una diffusa reticenza a parlare di patologia psichiatrica, come se la malattia, sia essa fisica o psichica, fosse indice di colpa. E con quest’osservazione ritorniamo al concetto di patologia sociale. Chi soffre di depressione tende ad isolarsi e a chiudersi in se stesso, nel contempo chi vive a contatto di un soggetto malato sovente tenta di spronarlo all’azione, ignorando di acuire in questo modo il senso di colpa di cui spesso un depresso è afflitto. Oggi la società ci vorrebbe tutti eternamente giovani, attivi, ”di successo”, ovviamente belli e felici. Se non ti ritrovi nel cliché, sei un diverso. Si è socialmente perduto il valore dell’individualità e con esso si è indebolita l’autostima che ci permette di far fronte alle dinamiche esistenziali. Un cambio di rotta sociale, per quanto auspicabile possa essere, è piuttosto inverosimile. Meglio essere tutti coartati entro modelli comportamentali ben definiti, si è socialmente più controllabili. E’ invece opportuno riscoprire la propria essenza, con un aumentato rispetto di tempi e ritmi del tutto personali. E’ sano riconoscere di avere limiti, è saggio fermarsi ogni tanto e concedersi il tempo di ascoltarsi. Concedersi il lusso di cedere allo sconforto ed al dolore, se questo è il caso, senza per questo doversi automaticamente riconoscere deboli e/o inadeguati. La salute mentale è un bene da custodire al pari di quella fisica, avere il coraggio di chiedere aiuto è un passo difficilissimo da compiere, ma fondamentale per intraprendere il percorso lungo e tortuoso che porta alla guarigione. La prevenzione è sempre fondamentale: parlare di depressione aiuta a riconoscersi e a sentirsi meno soli nell’affrontare il buio. Chi è depresso perde la gioia di vedere i colori della vita, tutto diventa grigio, tutto appare privo di speranza. Si perde la voglia di vivere e la forza di fare. Si può pensare al suicidio, visto come una via di uscita. Togliamo i veli a ciò che prova il depresso, perché non è con l’ipocrisia che si aiuta chi sta male, e nemmeno con le belle parole si aiuta. Il “fatti coraggio” aiuta chi lo pronuncia, non chi lo ascolta. Cosa serve davvero? L’aiuto medico, in primo luogo, e poi un caldo abbraccio in cui ci si senta accettati in tutta la propria fragilità.

3 pensieri su “La depressione: una patologia sociale

  1. Grazie per la chiarezza con cui ha reso di semplice comprensione i concetti. Mi sembra di capire che il depresso non ha speranza. Specie quando non c’è non solo il caldo abbraccio ma neppure un cane intorno.

  2. Gentile amica Dr Giovanna,
    Lei ci pone un argomento all’insegna della cultura medica che non è facile commentare.
    Tuttavia credo che la depressione ai giorni d’oggi sia davvero frutto che scaturisce da scarse capacità d’iniziative o , peggio, dell’indisponibilità caratteriale di accettare ciò che ci viene obbligato di assecondare.
    Credo che quei sintomi di cattivo umore , dovute alle diverse competenze di vita tra amici e parenti, oltre alle proprie incapacità di risolvere tantissimi problemi esistenziali, siano effettivamente conduttori di depressione infinita; e non sempre si può parlare di cure mediche. Infatti, la depressione può affacciarsi alla ribalta anche quando vi sono dispiaceri in famiglia, quando i conti per la sopravvivenza non tornano e quando si è privi di comprensione tra la gente che ci è più vicina.
    Cordialità, Alfredo

  3. Ringrazio tanto per i commenti, che offrono l’opportunutà di approfondire i temi di cui si tratta. Sig. Gianluigi, dire che il depresso non ha speranze non è corretto. Le speranze di guarigione dalle forme depressive di sono, e sono tanto più alte quanto prima si ricorre alle cure mediche. Questo è il punto dolente. Carissimo Alfredo, purtroppo ci si ammala di depressione anche se non ci sono apparenti motivi scatenanti. Probabilmente non è ben chiara la distinzione tra forme depressive che si sviluppano a seguito di un evento e quelle che non hanno apparentemente ragion d’essere. Per i non esperti la differenza può sembrare minima, in realtà è fondamentale. Le forme depressive “senza un perchè”, per semplificare, hanno spesso una derivazione psicotica e sono le più complesse da curare. Da vivere lo sono tutte, specie in una società in cui soffrire di una patologia della psiche è ancora colpevolmente oggetto di pregiudizio. Bisogna rompere i pregiudizi e non aver paura a parlare chiaro. Io appartengo a quei famosi tre soggetti su quattro che sono vittime di forme depressive. Da tanti anni curo una depressione reattiva, la cui causa scatenante è stata il doppio lutto rappresentato dalla morte dei miei genitori. Ci sono periodi più duri, altri meno. Avendo compiuto studi che contemplano questa patologia, mi rendo perfettamente conto di molte sfumature che ad altri nella stessa condizione sfuggono. Ecco perchè insisto sul consigliare di rivolgersi sempre al medico, di condividere con chi si può la propria sofferenza, non è una colpa soffrire e non avere la forza di alzare la testa e guardare in faccia il male. Però bisogna avere la speranza di sapere che poi, piano piano, si migliora tra alti e bassi. Si affrontano un poco meglio anche le cadute. Sig. Gianluigi, la solitudine dei pazienti psichiatrici è immensa, chi sta bene non sempre ne ha consapevolezza. L’opportunità di avere un colloquio anche telefonico o via skipe con me e con il collega Fulvio Sguerso messa a disposizione di “dentroSalerno” non è nata a caso, ma proprio per offrire un sostegno a chi lo desiderasse. Chi meglio di chi vive certe realtà può comprenderle?
    Cordialmente
    giovanna rezzoagli

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