Italia Paese fermo

Giuseppe Lembo

L’Italia è ferma; manca, purtroppo, qualsiasi forma di mobilità sociale. C’è una ragione economica, oltre che sociologica, per come il nostro Paese, sembra essersi chiuso in se stesso. A ben osservare le cose italiane, le cause della mancata mobilità sociale, oltre ad essere cause economiche, sono anche e soprattutto, cause profondamente sociali. Viviamo in una realtà piramidale; chi sta sopra, tende a rimanere sopra; chi sta sotto, ha il solo vantaggio di non poter andare più in basso; ma il rischio di sprofondare sottoterra per i poveri cristi, è purtroppo un rischio per niente impossibile. E così ci troviamo con il 44,8% dei figli di operai che ristagna; il 22,5% dei figli dei piccoli borghesi, scivola verso il basso; il 22,7% dell’alta borghesia, il lavoro lo eredita dalla famiglia, così come un tempo lontano, in età medievale. E l’Italia familistica dei privilegi, non corre alcun rischio; non cambia volto. I privilegi sono privilegi; non tramontano mai. L’Italia contrariamente alle attese, è un Paese fermo, ma fortemente differenziato per privilegi e caste. La scalabilità sociale non offre percorsi diffusi tali da far credere nel grande sogno del “tutto possibile a tutti”. Purtroppo non è così. È solo un sogno; un sogno per altro ormai tramontato. Tutto a pochi; a tutti, solo le briciole della sopravvivenza che sono unicamente semi della sopravvivenza. Oggi la società italiana è assolutamente ferma; c’è un blocco insuperabile nella mobilità sociale. Il nostro paese è fatto da un ceto medio con una borghesia a due velocità. La rete familiare e professionale rappresenta ancora uno degli strumenti principali di inclusione. Recenti studi OCSE ci dicono di un’Italia assolutamente ferma, stagnante; di un Paese dal posto ereditato soprattutto nelle professioni che si passano da padre in figlio (il 42% dei padri laureati in giurisprudenza ha un figlio con la medesima laurea; il 41% dei farmacisti, altrettanto; non di meno sono gli ingegneri ed i medici con il 39%). Secondo Andrea Ichino dell’Università di Bologna, un buon avvio per incominciare a cambiare le cose, potrebbe essere dato da minori garanzie per la schiera dei protetti e dei privilegiati. Ma sarà mai possibile questo cambiamento che ha in sé del rivoluzionario? Ma dove ci porterà mai la genetica collettiva di questo nostro paese bloccato? Sapremo, prima di tutto e per sempre, liberarci dai tanti privilegi di posizione, realizzando risultati solo in base ai meriti, così come deve essere, così come deve assolutamente essere in un Paese civile e democratico? C’è da augurarcelo per l’Italia e per i tanti italiani bloccati, che non vengono idoneamente riconosciuti per quello che sono, per quello che valgono e riescono a dare genialmente alla società a cui appartengono che, purtroppo, non se ne accorge e non sa riconoscere i meriti personali, diversi da quelli di altra natura, assolutamente innaturali. Il nostro è il Paese dei privilegi e dei tanti che si muovono nelle zone franche dove prevale la legge del più forte; solo quella e non altre (c’è, ad amor del vero, anche la legge del più furbo e di chi sa essere più lesto e vincere l’altro sul tempo). Oggi più che mai nella società italiana sempre ferma, si avverte quel malessere profondo che viene da lontano e che ha accompagnato la storia della nostra Costituzione, che Pietro Calamandrei vedeva in crisi di democrazia, perché a volte, apparivano poco democratici gli stessi attori principali, nel ruolo di padri costituenti. Ci piace ricordare, per avere una corretta visione del pensiero di Calamandrei sul parlamentarismo italiano, quanto da lui scritto in “Critica sociale” –ottobre 1956-, con il titolo “Appunti sul professionismo parlamentare”… la crisi del parlamentarismo più che materia costituzionale, è materia di psicologi; speranze, ambizioni, simpatie, amicizie, connivenze, invidie, lavori, timidezze, insofferenze, cupidigie, tutte le sfumature dei sentimenti umani, buoni o meno buoni, costituiscono il sottofondo della politica”. Aveva ben ragione Calamandrei ad allarmarsi; conosceva a fondo le caratteristiche degli italiani di allora, assolutamente peggiorate oggi. La politica come professione è, purtroppo, il male antico di cui soffre la vita pubblica italiana che, nel corso degli anni si è trasformata sempre più in occupazione, in impiego, in mestiere. Siamo, come diceva Calamandrei, ad un vero e proprio snaturamento che può anche minare alla base il futuro democratico di questo nostro Paese fermo, che non sa guardare avanti e promuovere il diritto alla libera vita sociale, un diritto di tutti e non solo di pochi privilegiati, appartenenti ai poteri forti di un sistema che sempre e comunque, sopravanza a se stesso. Questo pericolo, oggi più che mai, va assolutamente evitato; va rimosso perché, aggravandosi nel tempo, inevitabilmente, sarebbe causa di ulteriori gravi danni, rovinosi per tutti, mammasantissimi compresi. La democrazia del nostro Paese è su basi parlamentari; ne deve conseguire l’impegno a tenere alta l’immagine di chi democraticamente eletto dal popolo, rappresenta il parlamento. Calamandrei, per garantire questa specificità al Parlamento italiano, proponeva l’incompatibilità tra il mondo parlamentare e l’esercizio di altre professioni; l’attività parlamentare deve essere interamente ed esclusivamente dedicata alla funzione di “parlamentare” e non ad altro. Una funzione che dovrebbe essere a termine e durare solo due legislature e non oltre; chi è chiamato ad esercitarla deve poi tornare alla normale vita di cittadino nella società civile del Paese. Purtroppo, Calamandrei nel 1956 già denunciava i mali della malapolitica espressi attraverso la degenerazione del “culto della personalità”, culto che oggi in maniera indecente trova una forte spettacolarizzazione nella “piazza televisiva”, la prima piazza dell’Italia mediatica che, sempre più, si riconosce in essa. Tutto questo è parte dell’insieme italiano che si esprime nel grave fenomeno del professionismo politico. A rendere più evidente la conoscenza della classe politica italiana, ci viene in aiuto il pensiero del meridionalista Gaetano Salvemini. Diceva che: per il 10% rappresentava il meglio del Paese, per un altro 10% la feccia del Paese ed il resto “è il Paese”. Gaetano Salvemini era fortemente convinto dell’importante ruolo del “Parlamentare” nella vita del Paese. Nel 1919, candidato al Parlamento, rivolto agli elettori disse: ”se mi eleggete deputato, vi sarò grato della vostra fiducia e cercherò di difendere meglio che potrò i vostri diritti. Se volete non un deputato, ma uno sbrigafaccende, votate un altro”. C’è da meditare a fondo! C’è da tenere conto, di tutti gli insegnamenti del passato per il proprio bene, ma soprattutto per il bene sovrano di tutti! Se non si fa questo in nome del popolo sovrano, la nave Italia inevitabilmente affonderà; con la nave Italia affonderanno anche i tanti capitani di lungo corso, poco virtuosi perché poco coraggiosi, per loro natura sono dotati di un diffuso spirito di codardia, espresso in modo feroce nel loro comportamento di forti con i deboli e di deboli con quelli dei poteri forti, nei cui riguardi agiscono da devoti servitori o ancora peggio da veri e propri servi sciocchi del potere.