I Partiti? Chiudiamoli

Angelo Cennamo  

Prima ancora di abrogare l’art. 18, ultimo feticcio di un mondo novecentesco, sopravvissuto solo grazie al vetero sindacalismo della Fiom e della Cgil, sarebbe opportuno che ragionassimo di un altro fallimento, ben più generalizzato e radicato rispetto a quello della obsoleta disciplina del mercato del lavoro che ingessa e rallenta la nostra fragilissima economia. Mi riferisco alla grave condizione identitaria e funzionale in cui versano i partiti ( tutti) del nostro panorama politico. A cosa servono? Si chiede Giuliano Ferrara dalle colonne de Il Giornale. A nulla, è la risposta inesorabile, perfino di chi ha sperato fino in fondo che la seconda Repubblica potesse, se non altro parzialmente, riscattare quel groviglio di burocrazia che ha condannato il paese al gigantismo debitorio e al malaffare consolidato. Di fronte alla eurocrazia banchicentrica dello spread e all’eclissi pietosa della democrazia, i partiti sembrano diventati afoni, incapaci cioè di intercettare le istanze della società civile e di interpretarne i bisogni più profondi. E anche chi ha salutato l’ingresso di Silvio Berlusconi nell’agone politico, l’indomani del repulisti di tangentopoli, come il miglior contributo ad una rinnovata democrazia dell’alternanza, più coinvolgente e stimolante per l’elettore sovrano di quanto non lo fosse stato il gattopardesco parlamentarismo del vecchio regime, oggi deve arrendersi di fronte ad un ruolo che sembra essersi del tutto esaurito, forse esautorato da un fallimentare ricambio generazionale che non ha saputo dare continuità, o meglio, non ha saputo far evolvere il progetto degli esordi in nuove forme aggregative e propositive. Sta di fatto che i partiti, oggi, non hanno più nulla da dire nè sembrano in grado di rappresentare qualcuno o qualcosa. Al contrario, essi si palesano quasi come un intralcio al regolare svolgimento della vita pubblica delle istituzioni e ad una più proficua affermazione dei ceti produttivi della nazione, che meriterebbero più spazio, più libertà di movimento e di interazione con i soggetti istituzionali, e meno filtri dannosi. Ora, in vista delle amministrative, i partiti cercano di riorganizzarsi sul territorio per recuperare la credibilità persa per effetto del commissariamento di Mario Monti e dei suoi tecnici. Il Pd finge di non vedere al suo interno l’insanabile doppiezza di chi vorrebbe appoggiare l’azione riformista del governo, assecondando, nel contempo, le strategie ultraconservatrici di Susanna Camusso ( operazione strabica oltre che irrealizzabile per ragioni più che evidenti). Il partito di Bersani continua a collezionare sconfitte nelle primarie, ma lo fa a vantaggio di chi non è tanto distante dalle posizioni politiche dei suoi vertici, quanto piuttosto dalla veste di tesserato, inteso come parte integrante dell’apparato partitico. Non è un caso, infatti, che a vincere le preselezioni, prima a Napoli, a Milano e in Puglia, oggi a Genova, domani forse a Palermo, non siano stati degli autentici liberali in rotta di collisione con il pensiero del segretario, quanto dei rappresentanti di movimenti poco riconducibili alle strutture classiche dei partiti. E’ come se il popolo della sinistra avesse voluto premiare dei cani sciolti, uomini e donne della società civile, in un certo senso lontani dalle logiche delle vecchie nomenclature. La crisi del Pd è la stessa del Pdl, che però ha un problema in più, quello cioè di decidere se sia il caso di reinventarsi come partito vero – non più carismatico e populistico come è stato fino ad oggi – oppure – semprechè questo fosse possibile – di trasformarsi in un’aggregazione ancora più liquida di quanto non lo sia stata sotto l’egida di Berlusconi. Il dubbio è amletico e i tempi ridotti non giocano di certo a favore della prima soluzione. In questi giorni il Pdl sta varando il suo nuovo corso attraverso i congressi provinciali, i quali dovrebbero designare – secondo il criterio delle primarie mutuato proprio dal Pd – i nuovi leader e le nuove segreterie. E’ strano e triste, nel contempo, vedere il movimento politico fondato dal Cavaliere, che negli ultimi 18 anni  ha inventato in tv contratti e predellini per chiamare a sè l’elettorato, indulgere al meccanismo delle tessere per selezionare i suoi nuovi “quadri”, parola che da sola fa venire l’orticaria, e i suoi stabili apparati. Chi considera innovativo tale meccanismo dovrà poi fare i conti con l’esito delle elezioni e con il fenomeno dell’astensionismo, dato ultimamente in forte crescita. La tessera, il voto, il segretario, il suo vice, il coordinatore cittadino, quello provinciale, quello regionale : siamo sicuri che dovrà essere ancora questo il lessico della politica del terzo millennio? Soprattutto di quella politica che dovrà traghettare il paese fuori dalla recessione e da quella mentalità assistenzialista che lo ha impoverito fino al midollo? Siamo proprio sicuri che i partiti debbano continuare ad essere delle strutture stabili e costose, degli inutili carrozzoni buoni solo a divorare denaro pubblico e a lottizzare Asl ed enti di vario genere? E che debbano essere amministrati per anni e anni da persone, molto spesso, estranee alla società civile e ai luoghi di lavoro e delle professioni? Ha ancora senso la gerarchia dei segretari, dei vice, e dei loro portaborse, in un mondo che viaggia rapidamente sul web, e che con un semplice clic può decretare il successo e il fallimento di chiunque? Non sarebbe meglio per il Pd, e soprattutto per il Pdl ( nato proprio per rompere le consuetudini della vecchia politica) trasformarsi in grandi comitati elettorali, all’americana, finanziati solo da sponsor privati e da comuni cittadini simpatizzanti? Sarebbe forse l’unico modo per riscattare i recenti fallimenti e gli scandali delle tenebrose tesorerie, ingorde e truffaldine all’insaputa di tutti.     

5 pensieri su “I Partiti? Chiudiamoli

  1. @Angelo:

    credo che la lettura sul PD che dai sia (ahimé) troppo buona. Mi spiego: le primarie del PD vengono vinte da candidati che vengono avvertiti come candidati “di sinistra”. Il PD viene a volte avvertito da parecchi suoi elettori come un partito divenuto eccezionalmente moderato e “inciucista”, incapace di fare gli interessi di chi lo vota, e alle primarie ci si “ribella” a questo facendo passare persone sulla carta magari “sostenute”, ma non esattamente “gradite” al vertice nazionale. La cosa più curiosa è che si permetta di far candidare gente che proviene da altri partiti proprio, cosa sicuramente democratica, ma che presenta evidenti effetti collaterali.

    Anche sull’articolo 18: una parte dell’elettorato potenziale del PD pensa che sia dannoso eliminarlo. E’ un modo di pensare che io rispetto, ma il corto circuito elettori-partito avviene quando poi Veltroni dice che l’articolo 18 non serve. Nessuno spiega all’elettorato correttamente perché se ne potrebbe fare a meno e l’elettorato crede che è venuta a mancare l’ennesima tutela. A questo va aggiunta la confusione con cui escono le notizie dal governo: si parla di far pagare di più il lavoro precario e di meno quello più solido. Ma a questo punto non si capisce più cosa voglia dire “solido”, né perché il datore di lavoro dovrebbe farti un contratto precario.

    Io sono per il modello americano che citi nel finale dell’articolo, sarebbe anche più trasparente: però, a quel punto chi ci ha messo i soldi vorrebbe qualche cosa in cambio. Dici tu: magari è sempre avvenuto…

  2. Se un Partito serve o no, caro Angelo, sarà la storia a determinarlo. Non possono esserlo nè le Istituzioni, nè la Confindustria, nè i poteri dell’Alta Finanza. La politica Istituzione si è appropriata di troppe cose e di troppi poteri in questo Paese. E sembra quasi che nulla possa arrestare la sua sete di dominio. E parole come Costituzione e partecipazione dal basso alle scelte di governo diano ad Essa molto fastidio. Anzi sono molti gli esempi di prepotenza e di strafottenza del potere. Spesso si finge di voler stare alle regole democratiche e poi si va avanti sparati con i voti di fiducia per far passare deliberazioni in gran parte inique, se non addiritura fuori da ogni buon senso umano e addirittura incostituzionali. Specie questi ultimi Governi che si sono succeduti alla guida del nostro Paese (e non mancano esempi simili anche in molte realtà degli EE.LL.!) non hanno fatto altro che mostrare insofferenze rispetto ad ogni regola e diritto costituzionale e la volontà di cancellare definitivamente la nostra Carta costituzionale, che per Noi Italiani che vogliono una società più giusto è qualcosa di sacro che dobbiamo al sacrificio di tanti partigiani che hanno dato la vita contro il nazifascimo e per la liberta del nostro Paese. A chi dobbiamo concedere ulteriore mano libera? A chi ogni giorno disconosce tutto questo ed utilizza utto il suo potere per precarizzare sempre di più la vita di lavoratori, di disagiati, disoccupati per meglio speculare sulla salute, l’ambiente, il territorio e i bisogni sociali.
    Nessuna simpatia per i Partiti politici così come sono adesso. Anch’io riconosco che gran parte dei Vecchi Partiti hanno fatto
    il loro tempo. Essi sono fuori dalla storia non solo perchè hanno smarriti il rapporto con le loro origini ed hanno pensato di poter rappresentare tutto e il contrario di tutti, ma soprattutto perchè hanno inteso l’occupazione delle sede istituzioni solo come mezzo per consolidarsi come partito e per la loro fortuna come gruppi e come singoli, non per spirito di servizio.Ma anche nelle nuove formazioni politiche non è che le cose vadano diversamente. Sta al loro elettorato (se trattasi di gente seria e d onesta!) mandarli a casa. Ma nessun potere in più ai livelli istituzionali. I l problema oggi è come rilanciare di moralizzazione della vita pubblica e una nuova democrazia partecipativa e dal basso. Onofrio Infantile 21 feb.2012

  3. la crisi dei partiti coincide, in buona sostanza, anche con quella di molti enti locali, che sembrano esistere solo per essere occupati dai primi. Credo che la supplenza del governo Monti ( la quale potrebbe durare anche più del previsto)debba essere riempita dai partiti per riscrivere le regole del gioco : nuova costituzione, eliminazione del bicameralismo perfetto, più poteri al premier, nuovi enti locali ( pochi e leggeri)e, soprattutto, nuove facce.

  4. non riesco ad immaginare una democrazia senza partiti. per questo non mi accodo alla tua proposta, per niente nuova e nemmeno improvvisa, che ricalca il tuo modo di ragionare: prima si crea il danno e poi si butta via il bambino con l’acqua sporca.
    credo che i partiti siano necessari ed utili solo che ci vorrebbero diversi. gridare allo scandalo sui costi della politica è veramente populismo sudamericano. è di questi giorni lo scandalo, con tanti di titoloni specialmente sulla stampa destrosa, sui redditi dei ministri dell’attuale governo. scandalo fuori luogo perchè se avessero la compiacenza di confrontarli con i redditi del passato governo allora si renderebbero conto che tutto sommato scandalo non è. ma si sa com’è lo stile liberale, liberista e libertario, cioè di guardare, di distogliere lo sguardo da sé, sempre gli altri con suponenza e superiorità.
    credo infine che tutti ipartiti avrebbero risorse interne, uomini e donne onesti ed intelligenti, che attualmente tengono accantonate. e se il buongiorno si vede dal mattino allora il pdl con la storia delle tesssere false sta partendo in quarta per reiterare il peggio costutme e malaffare che la politica italiana h a vissuto negli ultimi 20 anni.
    ci vorrebbero partiti più partecipati e con meno decisioni prese dall’alto, che facessere politica e non l’ufficio di collocamento. si fà presto a parlare di merito, bamboccioni, sfigati e tutto l’armamentario di nuovi vicabili di questa neo dirigenta con la pancia piena e con l’autista e il canino con il cappotto e magari pure con la erre moscia.

  5. Lo scandalo delle tessere nel Pdl ( ai congressi, ad ogni modo, si vota presentandosi con la carta di identità)è una bazzecola rispetto al furto milionario che è avvenuto nella Margherita e/o nel Pd. Non dico ( come si legge provocatoriamente nel titolo)che i partiti debbano scomparire, ma che andrebbero riformati e tasformati, ad esempio, in comitati elettorali, come accade negli Usa.

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