In difesa dell’avvocato-deputato Maurizio Paniz

 Fulvio Sguerso

Esiste in questo nostro (bel?) Paese democratico e fondato sul lavoro (almeno secondo il primo articolo di una Costituzione che – a detta di molte persone dabbene, ormai, dopo la “rivoluzione liberale di massa” avviata da un geniale imprenditore prestato alla politica per puro amor di patria – ha fatto il suo tempo) una  genia di gazzettieri e di opinion makers televisivi di basso profilo che, per motivi i più disparati, ma principalmente per una loro mala disposizione d’animo dovuta a pregiudizi e a invidia nei confronti di chi sta più in alto di loro e più vicino all’imprenditore di cui sopra, non fanno che contestare. irridere e denigrare fior di galantuomini e di professionisti che esercitano con onore il loro mandato parlamentare e il loro mestiere di apologeti del leader carismatico. Una vittima di questi malevoli e prevenuti diffamatori di professione è – come dubitarne? – l’avvocato-deputato Maurizio Paniz, colpevole, a loro dire, di impiegare, o svilire, o addirittura prostituire la sua indiscussa bravura e competenza tecnico-giuridica  argomentando e cavillando in modo pretestuoso e tartufesco, per smontare le gravi imputazioni che pendono sul capo del Cavaliere, o per giustificare sempre e comunque il suo operato e la sua condotta, così pubblica come privata. Prendiamo una delle incredibili vicende che ha esposto ingiustamente  il nostro (caro?) Paese ai lazzi e alle beffe dell’opinione pubblica mondiale – quella nostrana, si sa (a parte quella pregiudizialmente prevenuta) sembra digerire di tutto e di più –  intendo la famosa telefonata notturna del Cav. alla Questura di Milano, per segnalare che la minorenne Karima el Marouk (in arte Ruby Rubacuori) arrestata per furto era in realtà la nipote di Mubarak. Parola di ex premier. Che cosa ha sostenuto di tanto scandaloso il nostro deputato-avvocato dinanzi alla Giunta per le Autorizzazioni a procedere della Camera? Ha sostenuto che, in allora, il Presidente del Consiglio in carica credeva veramente che Ruby fosse la nipote di Mubarak, e quindi era lecito sollevare il conflitto di attribuzione per trasferire il fascicolo dell’inchiesta dal Tribunale ordinario di Milano al Tribunale dei ministri, sospendendo il rito abbreviato, dal momento che quella famosa (o famigerata) telefonata in Questura era stata fatta dal premier in quanto premier nell’esercizio delle sua funzioni, onde evitare un incidente diplomatico con il premier (in allora) egiziano, e non in quanto cittadino Berlusconi Silvio, cui non competeva certo di interferire o premere sulle decisioni degli inquirenti . Ora ditemi voi, dov’è lo scandalo?  La povera Ruby, si è poi accertato, è marocchina e non egiziana, è di umili origini e senza fissa dimora; ma è stata lei stessa a dichiarare agli inquirenti che, quando ha conosciuto il Presidente Berlusconi, gli ha confidato di essere figlia di una nota cantante egiziana e nipote del premier Mubarak, purtroppo caduta in disgrazia; forse che il Cavaliere, notoriamente tenero di cuore, poteva non crederle e, in caso di bisogno come quello in oggetto che tanti guai gli ha poi procurato, non aiutarla anche a costo di far pensar male i soliti malpensanti?  Quanto al “vero” movente di quella innocente ma – ammette il Nostro con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue – piuttosto incauta telefonata, non lo sfiora  il minimo dubbio che possa essere stato men che nobile e cavalleresco (come d’altronde s’addice a un Cavaliere): salvare una povera immigrata minorenne dal Beccaria o da altri tristi istituti  di correzione e recupero per minori sbandati e devianti. Prova ne sia che, per l’affido, ha subito pensato alla fidata consigliera Nicole Minetti. E qui c’è poco da ironizzare: forse che la Minetti non è una donna di mondo esperta delli vizi umani e del valore (o dei valori)? Ma veniamo ora all’ipotesi del ricatto e alla ridicola ipotesi di estorsione ai danni del nostro estroso, spiritoso e bon vivant ex Presidente del Consiglio imbastita dall’incompetente (territorialmente) procura napoletana; anche in questo caso le controdeduzioni difensive dell’avvocato Paniz sono ineccepibili. L’ intervista rilasciata al Corriere della Sera del 2/09/11, dopo l’arresto con l’accusa di estorsione di Tarantini , l’amico imprenditore (?) del premier che organizzava il presunto giro di escort a Palazzo (Grazioli) per far divertire il Principe affaticato dagli affari di Stato, oltre che dall’accanimento inquisitorio a fini politici e destabilizzanti di certe procure, è un’altra dimostrazione del suo alto e imperturbabile stile. Alla precisa e tendenziosa domanda del giornalista Lorenzo Salvia circa la ipotizzata ricattabilità del premier,  risponde correttamente così: “Non conosco gli atti processuali e quindi non faccio riferimento alla situazione specifica, però una cosa va detta: il ricatto è possibile nei confronti di tutti e Berlusconi è meno suscettibile di subire ricatti perché, vista la sua posizione, è in grado di valutare meglio la situazione e prendere le decisioni conseguenti”. Infatti ha deciso di non presentarsi in udienza alla procura di Napoli, dal momento che, come ha precisato,  non ha subito nessun ricatto, ma ha solo aiutato un amico in difficoltà, ora in carcere, costretto persino a ridimensionare drasticamente il tenore di vita suo e della sua famiglia. Come ha sostenuto giustamente anche Giuliano Ferrara, dall’alto della sua indiscussa autorità professionale, è forse un reato la generosità? Quanto poi alla ricattabilità, non è forse vero che tutti noi abbiamo qualcosa da nascondere, una pena segreta o un vizio assurdo, come diceva Cesare Pavese, che  vorremmo tenere solo per noi e non far sapere agli altri? “Scusi –  insiste l’intervistatore – ma al telefono con Tarantini, Lavitola dice che Berlusconi deve essere tenuto sulla corda, messo con le spalle al muro. Sembra proprio il piano di un ricatto, non crede?”. A questa nuova e documentata (apparentemente) obiezione, il Nostro controbatte da quel consumato e raffinato causidico che è: “Non si può assolutizzare il contenuto di una frase tirata fuori da una conversazione telefonica. Bisogna valutare non solo i fatti ma anche gli antefatti, le telefonate successive e quelle precedenti”. Giustissimo: una frase fuori contesto può assumere un significato diverso da quello originale, e non ci si può basare su una frase sola, per di più trascritta, per giudicare l’intenzione e il tono di chi sta parlando, che può benissimo essere, come probabilmente è stato in questo caso, ironico e scherzoso. Ma l’intervistatore non si dà per vinto: “Ecco, in un’altra telefonata Berlusconi dice a Lavitola che vuole andare via dall’Italia perché è un Paese di m…Pare la reazione di un ricattato, no?”.  E perché mai? Stai a vedere che un’espressione dal sen fuggita in un momento di sconforto nel corso di un dialogo tra persone amiche, può essere usata ad arte per rivelare lo stato d’animo di un uomo sotto ricatto! Ha ragione l’avvocato-deputato nel rispondere: “No, mi sembra piuttosto un momento di delusione nei confronti delle persone che lo circondano. Può capitare anche agli uomini più forti”.  Come è vero! E come è detto bene! Non c’è solitudine maggiore di quella che circonda i grandi uomini e i protagonisti nella storia di una nazione! Ma l’intervistatore, per niente commosso, incalza: “A proposito delle persone che lo circondano, come già sarebbe capitato a Emilio Fede e Lele Mora, Lavitola avrebbe fatto la cresta incassando una parte dei soldi destinati a Tarantini. Nemmeno questo è un pericolo per l’autonomia del premier?”. Su questo punto, a riprova della sua obiettività, Pamiz ammette che qualche rischio il  (non più) premier lo possa correre, ma sono  rischi, anche qui, inevitabili per chi agisce in grande e per il bene comune: “Capita spesso che intorno a persone importanti ce ne siano altre di minore spessore che approfittano della sua amicizia”. Come, appunto, i personaggi citati dall’intervistatore, purtroppo rivelatisi infidi. Ma chi poteva mai sospettarlo? Men che meno il Cavaliere, sempre fiducioso nella bontà del prossimo. “Ma non mi lascio impressionare – prosegue Paniz – dalle prospettazioni dell’accusa. Ne ho rovesciate talmente tante, da avvocato, che penso sia più prudente aspettare gli sviluppi”. Ineccepibile, non vi pare? Ma l’ostinato e malizioso giornalista del Corriere sembra affezionato all’ipotesi del ricatto, infatti chiede: “Se l’inchiesta dovesse accertare che ha ceduto al ricatto, Berlusconi si dovrebbe dimettere?” Domanda ingenua, la risposta dell’avvocato-deputato è: “Assolutamente, no. La decisione di dimettersi va presa in base ad una valutazione politica, i fatti personali non devono incidere”. Su che cosa? Sulla vita pubblica. Un conto (e qui riassumo per non annoiare ancora il paziente  lettore), argomentava  magistralmente Paniz,  è il comportamento di un uomo politico in pubblico, un altro il comportamento privato del medesimo, che non riguarda (o non dovrebbe riguardare) la sfera pubblica ma solo quella privata che, fino a prova contraria, è sacra e inviolabile. Ma le violazioni della sfera privata dell’uomo pubblico Silvio Berlusconi non si contano più, ed è questo il vero scandalo. Come dargli torto?