Una proposta per il Museo di Paestum
In un precedente intervento evidenziavo la grave condizione in cui versa il Museo archeologico di Paestum, ipotizzando, come precondizione, una soluzione praticabile per rivitalizzarlo, tutelarlo e renderlo strumento di sviluppo e attrattore turistico. Porre il problema del Museo non è esercizio da elite culturale, ma cercare di andare incontro alle nuove tendenze che negli ultimi quattro anni hanno visto proprio nell’industria culturale il settore che maggiormente ha prodotto sviluppo. La performance in termini dinamici del sistema produttivo culturale registra una crescita economica (in termini di valore aggiunto nominale) del 3%, mentre l’economia italiana non ha superato lo 0,3%. Quanto al dato occupazionale, il sistema produttivo culturale interessa il 5,7% dell’occupazione totale nazionale e ha segnato un aumento dell’occupazione di quasi un punto percentuale (+0,9%), contro una flessione subita a livello complessivo nazionale di circa due punti percentuali. Oltre a questa costatazione c’è un altro elemento da tenere presente. I comportamenti turistici risultano in via di evoluzione. Sono le vacanze brevi ad avere importanza. I consumi sono concentrati proprio in questa categoria. La vacanza breve tende a coincidere, quasi sempre, con il week end. È da notare che, di fatto, le vacanze brevi tendono a diventare sempre più lunghe! L’interesse del turista si orienta per il periodo primaverile e pasquale e la vacanza estiva man mano si sposta nei cosiddetti mesi di spalla, giugno e settembre. È un complessivo processo convergente alla destagionalizzazione delle vacanze. Tale tendenza comporta che l’esperienza turistica vada a concentrarsi sulla pluralità e sulla velocità a scapito di quella settoriale e monotematica. Per questo motivo le città d’arte che offrono altri attrattori, insieme all’esperienza culturale (o viceversa), sono tornate a essere i prodotti turistici più richiesti, sopravanzando notevolmente le località soltanto balneari. Il Museo di Paestum è oggi il depositario di beni d’irripetibile valore storico artistico che restano “custoditi” (è il caso di dirlo!) e per niente valorizzati e integrati nel complesso sistema dell’interdipendenza produttiva. Si pensi che, a fronte di circa 300 lastre dipinte, soltanto 25 sono esposte al godimento dei visitatori; senza contare le stupende tombe, una delle quali, forse la più bella, ritrovata lo scorso anno grazie all’azione della Guardia di Finanza, è giacente nei sotterranei! Lo studio più accreditato per l’esame del rapporto tra turismo culturale e ricaduta economica è offerto da Confindustria-Federturismo applicando il RAC, un indice che consente di analizzare il ritorno economico degli asset culturali proprio dei siti Unesco. Dai dati ufficiali forniti dalle strutture di gestione dei siti, risulta che gli Stati Uniti, con la metà dei siti rispetto all’Italia, hanno un ritorno commerciale pari a sette volte quello italiano, la Gran Bretagna, con poco più della metà dei siti, un ritorno quattro volte maggiore e la Francia, con un terzo di siti in confronto all’Italia, un ritorno economico superiore di tre volte. L’analisi riferita a Paestum risulta ancora peggiore della media nazionale, quasi al limite del catastrofico. Mi si dirà: il patrimonio di cui è depositario il Museo è per sua natura non produttivo di profitto, perché esso rappresenta un costo. Il punto è proprio qui. Urge trasformare un centro di costo e di spesa in un centro di profitto e di introito; fare in modo che l’immenso patrimonio, come ogni patrimonio, diventi strumento di investimento inserendosi in un circuito produttivo rivolto all’autofinanziamento. Si tratta di riconsiderare e gestire in modo nuovo il luogo dove il patrimonio culturale e la sua storia sono conservati. Bisogna avere il coraggio politico di guardare al Museo in modo innovativo, di farlo centro non di collezione ma di vita articolata, luogo di esperienza complessa e multiforme, che si svolga in tutti i periodi dell’anno e coinvolga innanzitutto i residenti perché ne facciano uno spazio della loro vita per offrirlo come luogo vitale al turista. Per evidenziare l’assurdo modo di considerare e gestire i musei bastano una domanda e una risposta emblematiche. Perché nei Musei non ci sono sedie o spazi dove ci si possa fermare? Forse perché chi entra dà fastidio e si vuole che vada via al più presto? Non c’è niente nel Museo che “suggerisca” al visitatore di fermarsi! Senza ricorrere agli esempi che ci vengono dagli altri Paesi (USA, Regno Unito, ecc.), basta guardare a qualche esempio virtuoso in Italia che ha saputo crescere integrandosi con altri comparti dell’economia. Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano costituisce il caso esemplare di un’eccellente gestione non solo efficiente ma anche produttiva di reddito. La sua gestione ha conseguito il risultato di un bilancio costituito per l’80% da autofinanziamento. Dal 2000 il Museo ha assunto la forma giuridica di Fondazione di diritto privato. Le risorse provenienti dall’esterno e dagli sponsor si sono tradotte in nuovi modelli organizzativi, investimenti e realizzazione di attività innovative finalizzate al coinvolgimento diretto dei cittadini. Il capitale pubblico si è arricchito di quello privato attraverso un azionariato diffuso, varie forme di partecipazione (servizi, competenze, conoscenze, impegno lavorativo, beni mobili e immobili, ecc.). Grandi e piccole aziende, Università, Enti locali, persone fisiche, associazioni, istituzioni, ecc., hanno rivitalizzato un luogo “chiuso” aprendolo al “territorio” anche in forma “virtuale” con i suoi tre milioni di visitatori. In primavera a Capaccio si rinnoverà il Consiglio comunale. I nuovi candidati si misureranno anche su questo problema? Avendo chiaro, ovviamente, prima un concreto progetto e poi il coraggio politico e amministrativo di guardare al Museo in modo innovativo, di farlo centro non di collezione ma di vita articolata, luogo di esperienza complessa e multiforme, che si svolga in tutti i periodi dell’anno e coinvolga innanzitutto i residenti perché ne facciano uno spazio della loro vita per offrirlo come luogo vitale al turista.
professore, professore, lei sarà anche una buona penna (e chi non lo è avendo tempo di scivere) ma a parte che i suoi scritti sono sempre lunghi, lunghi, lunghi, non sarebbe il caso che invece di dare solo consigli su consigli si prodicasse per qualcosa di costruttivo per capaccio paestum? siamo stufi di parole e paroloni. E dai… qua sempre che lei e tanti altri avete sempre una soluzione ma mai vi prodicate per qualcosa di reale piuttosto che scrivere e scvrivere. Mi scusi, saluti.