A Gerusalemme mostra sugli angeli presso il museo d’Israele

don Marcello Stanzione

Nell’antico tempio di Gerusalemme erano raffigurati gli angeli. All’interno del Santo dei Santi c’era l’Arca dell’alleanza, fiancheggiata da due enormi statue di cherubini, alte cinque metri e con le ali spiegate, fatte con legno d’ulivo rivestito d’oro: queste raffigurazioni hanno particolarmente stimolato l’immaginazione degli artisti nel corso degli anni. Su ciascuno lato dell’entrata nel vestibolo erano collocate due enormi colonne di bronzo cave all’interno . alte quasi dodici metri per un diametro di due – decorate con un motivo di melagrane e sormontate da capitelli a forma di giglio. Erano state fuse da Chiram, un esperto in ogni genere di lavoro in bronzo inviato dal re Chiram di Tiro, e furono chiamate Iachin e Boaz , nomi che probabilmente significano “possa egli fondere” e “con forza”, anche se esistono molte interpretazioni simboliche di ciò che queste colonne possono rappresentare. Anch’esse hanno una lunga storia nell’immaginario occidentale. Furono queste colonne a ispirare, per esempio, Bernini, l’artista italiano del diciassettesimo secolo, quando eresse le colonne del Baldacchino – il famoso monumento che si innalza sulla tomba di san Pietro al centro della basilica di San Pietro a Roma -, importando l’architettura simbolica del Tempio nel cuore della cristianità cattolica. Il presbiterio medioevale, sostituito dall’attuale San Pietro, era stato decorato con dodici colonne intrecciate in marmo bianco che, secondo la leggenda, Costantino aveva portato a Roma dal Tempio di Salomone. Il nuovo disegno del Bernini riecheggia  la forma di quelle colonne, sebbene da lui forgiate in bronzo come quelle del Tempio, e anche gli angeli scolpiti intorno al tetto del Baldacchino richiamano un’analogia nel Tempio. Bernini stava seguendo un’analogia di lunga data. Tiberio Alfarano, chierico di San Pietro che morì nel 1596, scrisse: “L’imperatore Costantino e papa Silvestro non fecero riguardo al corpo e all’altare dell’apostolo Pietro diversamente da quanto Mosè e Aronne fecero per l’Arca dell’alleanza…per ordine di Dio costruirono il centro del Tabernacolo sotto le ali dei cherubini. E Salomone fece lo stesso nel Tempio”. Come la tomba di san Pietro è paragonabile all’Arca, così la Chiesa lo è al Tempio, con tutta la sua valenza simbolica. L’analogia risulta enfatizzata dalle decorazioni dell’edificio. Osservando il soffitto della Cappella del Santo Sepolcro in San Pietro, è possibile vedere un rilievo a stucco di Salomone che costruisce il Tempio. Le colonne sono identiche a quelle del Baldacchino. Il quotidiano cattolico “ Avvenire” del 21 dicembre con un articolo a firma di Giuseppe Caffulli dava la notizia che a  Gerusalemme sono in mostra antiche stampe,dipinti , incisioni e preziose ketubbot (contratti matrimoniali finemente decorati) che raffigurano cherubini, serafini e arcangeli. Presso il Museo d’Israele a Gerusalemme si è aperta dal 21 dicembre la mostra “Messaggeri divini. Gli angeli nell’arte”  che rimarrà aperta ai visitatori fino al 30 dicembre 2012. Si tratta di una esposizione davvero unica nel suo genere, che offre alla vista del visitatore opere rinascimentali, barocche e contemporanee, ma anche dipinti provenienti da altri contesti culturali (la pittura andina e l’arte islamica). Il tutto per conoscere meglio quel territorio d’eterno tra terra e cielo popolato dalle schiere degli angeli. Tra le opere esposte maggiormente conosciute l’Angelus Novus di Paul Klee. Ma anche dipinti di pittori barocchi come Pieter Latman, Jacob Jordaens e Pedro Orrente, oltre a stampe del Rinascimento tedesco. La riflessione sugli angeli ( e la loro rappresentazione nell’arte) è indubbiamente un elemento ponte tra ebraismo e cristianesimo. Biblisti ed esegeti sottolineano spesso la presenza e il ruolo degli angeli nelle Scritture. Compito primario degli angeli è quello di onorare Dio e di presentare agli uomini la volontà del Creatore. Dotati del dono della profezia, recano benedizioni secondo il volere di Dio. La loro presenza nei Vangeli sottolinea l’ambiente ebraico che ha dato forma al Nuovo Testamento e ci aiuta a collocare la storia della Salvezza nel contesto dell’alleanza con il popolo d’Israele – spiega il francescano padre Fédéric Manns, docente di esegesi del Nuovo Testamento ed esperto di giudaismo presso lo Studium Biblicum di Gerusalemme -. Se, in nome della cultura postmoderna, cancellassimo gli angeli, cosa rimarrebbe del Vangelo dell’infanzia di Gesù o della Bibbia stessa? Il Vangelo di Luca presenta gli angeli all’inizio e poi alla fine della vita di cristo. L’angelo appare a Zaccaria in Luca 1,11 e alle donne che scoprono la tomba vuota di Gesù un angelo dice: “Non è qui, è risorto” (Lc 24,6). E’ un angelo che annuncia a Maria la nascita del Salvatore (Lc 1,26-38). Ai pastori appaiono gli angeli (Lc 2,8-15). Un angelo rassicura Giuseppe (Mt 1,20), gli chiede di partire per l’Egitto (Mt 2,19-22). Si tratta solo di poesia o di qualcosa di più serio?”. Già nel libro della genesi appaiono infatti questi esseri misteriosi. “Dopo il peccato di Adamo e Eva – prosegue il religioso – “Dio scacciò l’uomo e pose a Oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire la via all’albero della vita” (Gn 3,24). Gli angeli intervengono continuamente nella Bibbia. Ricordiamo solo alcuni episodi tra i tanti: due angeli del Signore si presentano a Lot per salvarlo della distruzione di Sodoma (Gn 19,1); nel libro dei Giudici un angelo appare alla moglie sterile di Manoah per annunciargli la nascita di colui che li salverà dai Filistei (Giudici 13,3-7), nel libro di Zaccaria un angelo compare al profeta per dargli delle istruzioni da parte di Dio (Zc 1,8-15)”. Nella tradizione ebraica, i messaggeri celesti sono sempre presenti: vengono infatti creati il secondo giorno della Creazione. Ma non basta. “IL trono di Dio – sottolinea padre Manns – è circondato da quattro angeli: Gabriele, Michele, Raffaele e Uriele. Un esercito celeste sta intorno a Dio. Il libro di Ezechiele , nella descrizione del carro di Dio, menziona i cherubini, i viventi e gli Ofanim (Ez 1,4-28). Ognuna delle 70 nazioni esistenti, secondo Genesi 10, possiede un  principe angelico che la protegge”. In ambito cristiano, specie sotto la spinta del razionalismo occidentale, il culto degli angeli ha conosciuto però alterne fortune, considerato ora un orpello del passato ora una sorta di rivincita new age. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Paolo, nella Lettera agli Ebrei, ci dice che gli angeli sono “spiriti ministri inviati per un servizio in favore di quelli che devono ereditare la salvezza”. Agli albori del cristianesimo si credeva che ogni Chiesa particolare fosse presieduta e guidata non solo dal proprio vescovo, ma anche da un  proprio angelo, nonostante il canone 35 del Concilio di Laodicea (336 d.C.) si espresse formalmente contro al culto degli angeli che si stava diffondendo tra le popolazioni cristiane e cercò di limitarne la pratica. In che misura dunque la mostra che si apre a Gerusalemme può aiutare ad approfondirne l’importanza dei “messaggeri divini” nel mondo della Bibbia ma anche nella cultura contemporanea? Padre Manns non ha dubbi: “Gli angeli sono gli annunciatori di un mondo nuovo, di un’epoca dove le nazioni non esistono più e tutti gli uomini entrano a far parte dell’unico popolo dei figli di Dio. Per questa ragione sottolineare il culto degli angeli e la loro importanza nella pittura e nelle varie forme espressive della cultura d’Oriente e Occidente significa celebrare l’amicizia che nasce dal sapersi tutti amati dallo stesso Dio”. Comunque è opportuno ribadire che riguardo agli angeli La scuola religiosa cristiana e quella ebraica hanno differenti concezioni riguardo l’angelologia, al punto che c’è pochissima continuità tra le due tradizioni. Secondo il pensiero religioso ebraico l’universo è abitato da due categorie di esseri: gli angeli e gli uomini, ma il concetto ebraico di angelo è molto diverso dall’angelo con le ali delle raffigurazioni cristiane. Per l’ebraismo infatti gli angeli sono proiezioni spirituali della divinità e non personificazioni della volontà soprannaturale. Lo studio fondamentale dell’angelologia rabbinica non è trovare intermediari tra Dio e il mondo degli uomini, poiché per la Torah non c’è la necessità di tali intermediari. Il vero scopo degli angeli secondo il pensiero rabbinico è la glorificazione di Dio, e quindi il compito angelico è quello di rendere eternamente onore al Signore. Gli angeli sono tuttavia incaricati di portare messaggi agli uomini, ma in ogni caso non svolgono funzioni di intercessione per l’umanità, avendo unicamente l’incarico di riferire in terra la volontà del Signore. Nel Talmud troviamo anche scritto che l’uomo che compie il bene ha la capacità di creare nuovi angeli, che a loro volta gli forniranno la capacità di continuare a fare il bene innescando così una spirale virtuosa. Una precisazione: il plurale Elohim – pluralis maiestatis usato di solito per indicare il vero Dio ebraico – viene impiegato talvolta in riferimento agli angeli, chiamati appunto beni Elohim. Il canto Shalom areche, intonato prima della cena, nella notte dello shabbath non è una preghiera agli angeli, ma un inno per incoraggiare la comunità a non tralasciare le buone abitudini. In effetti la parola ebraica (mal’ach) che indica l’angelo è un termine generico che indica semplicemente “colui che svolge un compito”, oppure l’azione stessa che serve a svolgere il compito. In particolare secondo il Talmud il singolo angelo non può svolgere due differenti missioni, né due angeli possono essere coinvolti in una sola missione, ma ciascuno è creato per un compito specifico, terminato il qual svanisce. Questa concezione è in contrasto con il pensiero che considera gli angeli come entità sì invisibili, ma allo stesso tempo ben capaci di intendere e di volere. Per la scuola rabbinica, in definitiva, non esiste la necessità di trovare intermediari tra Dio e gli uomini e il vero scopo della creazione degli angeli è la glorificazione di Dio. Un’altra fonte della tradizione talmudica ribadisce che gli angeli non hanno libero arbitrio e pertanto non possono decidere, né trasgredire un ordine loro impartito. Nasce da qui la convinzione che satan – il satana della tradizione cristiana – non può avere una personalità propria per due motivi: primo perché non può decidere da se stesso, non avendo il libero arbitrio e secondo perché non può esimersi dal compiere la missione a cui è destinato. Nell’inno di Shalom areche prima vengono invocati gli angeli malachè hasharet – ovvero gli angeli del servizio – che, secondo il Talmud sono due angeli che accompagnano verso casa il fedele che viene dalla sinagoga. Uno è l’angelo dei buoni consigli e l’altro il maligno, il satan. Se al rientro in casa gli angeli constatano che lo shabbath è stato ben preparato , con tutte le candele rituali accese e la tavola ben apparecchiata, l’angelo buono benedice il fedele, augurandogli che anche il successivo shabbath avrà il medesimo successo. In questo caso anche l’angelo cattivo è obbligato a seguirne l’esempio benedicendolo a sua volta la casa. Il canto recita infatti malachè ha Shalom – angeli della pace – perché i due angeli, il buon e il satan si riappacificano benedicendo di comune accordo il fedele. Al contrario, se al ritorno dalla sinagoga gli angeli notano incuria nel rituale dello Shabbat, il satan maledice la cerimonia, seguito dall’angelo benevolo. Il canto prosegue con le strofe Boachem le Shalom e Zetchem le Shalom cioè con il saluto agli “angeli settimanali”, all’entrata degli “angeli sabbatici”, in quanto di sabba ogni fedele attiva l’anima supplementare, cioè sabbatica. Sua gli angeli sia l’anima sabbatica sono dunque simboli utilizzati per rappresentare le speciali forze interiori dell’uomo, quelle che generano e potenziano gli stati d’animo, indispensabili per poter agire.