Che scuola è ?

Aurelio Di Matteo

Dopo il consueto, lungo e intoccabile periodo delle vacanze estive, il prossimo primo settembre inizierà un nuovo anno scolastico. Si sperava che il dibattito fosse diverso. Ormai da qualche decennio non si parla di altro che di tagli al numero delle cattedre, indipendentemente da quello degli alunni che decrescono progressivamente, come se il problema della scuola italiana fosse il numero di docenti e di collaboratori e non la qualità dei contenuti e della didattica. Da più parti si evidenzia l’inflazione e la perdita di valore dei tanti cento e cento e lode, che ormai l’esame di stato dispensa con troppa facilità, senza contare alcuni casi davvero eclatanti, come quella classe in Caltanisetta ai cui alunni nel decorso anno fu attribuito indistintamente il cento, una classe nella quale, evidentemente, si erano concentrati tutti i geni della città. D’altra parte è costatazione unanime la poca rispondenza tra percorso scolastico, titolo di studio e mondo del lavoro. Gli è che dopo il sessantotto, un’improvvisata elaborazione ideologica, fatta di acritici slogan imposti con la violenza delle occupazioni, e la superficialità di docenti nulla facenti, hanno messo in piedi una scuola per somari. La situazione disastrosa della scuola italiana è il risultato di una politica scolastica tutta centrata sulle politiche del personale, che non erano finalizzate alla sua qualificazione, alla differenziazione delle funzioni e della carriera, alla professionalizzazione del compito affidato, ma al solo inserimento in un elefantiaco apparato amministrativo-impiegatizio che ne ha condizionato l’atteggiamento culturale e massificato il ruolo. La scuola è stata trasformata in ammortizzatore sociale, in ufficio di collocamento e in strumento del welfare. Ancora oggi, con miopia pregiudiziale e ideologica, s’insiste su quest’aspetto, enfatizzando il falso problema della riduzione degli organici e lasciando in ombra i lodevoli apporti di una Riforma che almeno ha semplificato e riorganizzato i percorsi. Per il resto il Ministro Gelmini si è fermato proprio all’inizio della vera riforma. È ora che ci si renda conto della necessità, invece, di una scuola per i migliori, una scuola per chi è motivato, una scuola di eccellenza, nella quale lo studio non sia imposizione ma scelta responsabile e il rigore non il volto dell’autorità ma stile di vita e costume quotidiano. Per fare ciò servono poco, o niente, Regolamenti, Direttive e Linee guida; ma una decisa svolta culturale che ci liberi da alcune presenze giuridiche, veri anacronistici totem che esistono solo da noi. Alla politica si chiede di interrogarsi sulla persistenza e sull’utilità didattica e sociale di un esame, che nella struttura esterna è rimasto pur sempre quello gentiliano, con i suoi riti, i suoi formalismi, le sue prove che, seppur semplificate e modificate, si riducono nella quasi totalità allo svolgimento di un tema, anche se camuffato da saggio breve o da articolo di giornale, alla traduzione di una versione o alla soluzione di un problema di matematica; una continuità data da tutto l’apparato scenico: mamme in ansia, padri in cerca dell’”amico”, candidati impegnati a “convincere” una Commissione delle proprie abilità e conoscenze, molto spesso con l’ausilio di una cartucciera e quasi sempre facendo sfoggio di un’asintattica retorica come arte di persuasione. E l’immancabile dopo esame, con le interminabili e vuote discussioni sulla “oggettività” della valutazione della Commissione esaminatrice? Alla politica scolastica si chiede di porre il sostanziale problema se sia ancora utile mantenere il valore legale di un titolo di studio che non certifica più niente. Una scuola diventata, nel migliore dei casi, solo spazio di socializzazione anziché luogo di acquisizione di saperi e di competenze non ha più alcuna legittimità a rilasciare diplomi con valore legale; come la tanto propagandata e inesistente Autonomia non si concilia giuridicamente con un’attestazione a cogenza legale, per di più in assenza di standard comuni predefiniti e vincolanti.  L’ignoranza ortografica, grammaticale, sintattica e lessicale (e si trattasse solo di questo!) riscontrata nei giovani ventenni iscritti all’Università per i quali molti atenei hanno attivato corsi finalizzati a superare il gap linguistico, non deriva proprio dal degrado culturale in cui versano la formazione e la funzione del personale scolastico, a cominciare da quel ciclo elementare investito pienamente nel 1990 dalla riforma “occupazionale” e non didattica dell’insegnante trino, man mano quadruplicato, quintuplicato e più? Quando un Ministro e un Governo avranno la forza e la chiarezza politica di risolvere i veri problemi della Scuola italiana che sono ben altri da quelli connessi a una salutare e necessaria razionalizzazione dell’impiego delle risorse umane? L’annuale studio-rapporto dell’OCSE li ha ampiamente e oggettivamente documentati e analizzati. Un dato di quel rapporto è emblematico dei mali della scuola italiana e della fallimentare politica perseguita, sulla quale ancora s’insiste da una parte per cavalcare la protesta e dall’altra per acquiescenza a essa. In Italia sono addetti agli Istituti scolastici 156 unità lavorative per ogni 1000 alunni; la media OCSE è di 116 e l’europea di 123; di contro la scuola italiana, sempre nelle periodiche rilevazioni della stessa organizzazione, risulta l’ultima e talvolta la penultima. L’Italia, insomma, è il Paese nel quale gli alunni passano più ore a scuola, hanno a disposizione il maggior numero di personale e costano alla collettività, complessivamente, molto più degli altri Paesi industrializzati. Se la qualità della scuola non è legata alla quantità delle ore di lezione, alla quantità di risorse investite e al numero di personale impegnato, significa che a non funzionare è la qualità del personale preposto alla formazione e istruzione. E allora sarebbe meglio chiudere la Scuola e ricominciare da capo, prioritariamente con una seria politica di formazione, selezione, reclutamento e valutazione del personale scolastico a tutti i livelli.Il problema della scuola italiana è tutto qui: il resto è solo spot televisivo e aria fritta.

 

 

2 pensieri su “Che scuola è ?

  1. Caro Direttore,
    il ragionamento del sig. Di Matteo potrebbe calzare a pennello se ci trovassimo davanti ad una riforma vera della scuola. Invece, siamo solo davanti a tagli alla scuola pubblica attuati anche con il solito manuale Cencelli e regali alla scuola privata, in barba allo stesso dettato dell’art.41 della Costituzione Italiana che questo Governo di buontemponi ha anche pensato bene di ingabbiare nel Patto di stabilità.
    Pertanto,lungi da me il non voler rispettare le opinioni altrui, inviterei il sig. Di Matteo ad osservare bene la nuova realtà di scuola pubblica che stanno disegnando la Moratti e la Germini.

    IL QUADRO NON E’, poi, COSI’ INCORAGGIANTE!

    Cordiali saluti,
    Onofrio Infantile
    Giov. 1° settembre 2011

  2. ogni anno il dottor di matteo ci diletta, quasi in contemporanea con la ministra gelmini, sulla scuola italiana, dei suoi problemi e dei suoi tanti difetti, quasi mai dei pregi e talenti. e ci lascia, dopo aver letto la sua analisi ocse, con la bocca amara e veramente sconsolati. alla fine ci rendiamo conto che non c’è rimedio e che tutto sommato la nostra ministra – prima incintissima ora mammissima – quasi fosse stata l’unica donna incinta del mondo ed ora l’unica mamma dell’universo – ha ragionissimo, e che meno male che abbiamo avuto cotanta fortuna ad avere una così capace. io a sentire la ministra e a leggere il professore di matteo mi sono sembrati uguali! e si sa che se due dicono la stessa cosa allora è la verità!
    mò prefessore mi dovete scusare se faccio alcune aggiunte, così tanto per completare il quadro.
    per prima cosa mi piace ricordarvi che l’Italia è lunga e stretta ed è piena di montagne, ha pochi centri urbani e tantissimi piccole centri periferici, e che non ci sono tante infrastrutture e perciò capita che -che ne so immagini il cilento- per fare solo 20-30 km ci vogliono delle ore. sarà d’accordo con me che questo è un limite alla mobilità degli studenti e che per questo c’è l’esigenza di una scuola diffusa.
    io sono d’accordo con voi, professore, che la scuola deve essere migliorata e resa migliore -più performante- però qua non c’è stato governo che non abbia promesso di fare questo- in questi giorni sono 10 gli anni di governo del primo ministro silvio berlusconi -sarete d’accordo con me che è tanto tempo- tanto da essere il primo ministro più longevo della storia repubblicana. ecco la mia proposta, mettete insieme la sua analisi e confronti la performance della scuola italiana in questo lasso di tempo e allora ci direte che proprio con il nostro petit satiro dal culo flaccido si sono avuti i peggioramenti maggiori. tornando alla ministra sarete concorde con il sottoscritto, professore, nell’affermare che la cosidetta riforma gelmini è stata solo un taglio alle risorse, risparmio di pecunia, con l’aggiunta di salvaguardare le scuole private. nientaltro solo taglio di soldi. e i danni caro mio professore sono principalmente in periferia.
    per il resto sono d’accordo che gli insegnanti sono una stupida casta conservatrice che preferisce guadagnare poco e lavorare poco.
    chiudo, ma avrei tanto da dire, aggiungendo un ultimo pensiero: a mio parere prima di qualsiasi riforma c’è bisogno che tutti siano concordi che la scuola pubblica -intesa come scuola di tutti- è la vera ed unica priorità, secondo che se non si inizia con gli investimenti in nuove, moderne, adeguate strutture allora è solo aria fritta fatta apposta per tirare la volata alla ministra incintissima e mammissima di turno.
    cordialità

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