Regione: Mucciolo, a proposito di federalismo fiscale

Sono stato e resto tra i critici più severi del federalismo fiscale e soprattutto oggi, a fronte della difficile situazione economica-finanziaria in cui versa il paese, ritengo ci sia bisogno di un grande progetto politico nazionale che affronti le questioni reali degli Italiani. Il Federalismo Fiscale, imposto dalla Lega, sin dall’inizio ha destato in noi del Sud fondate preoccupazioni e timori, mentre nel centro-nord ha alimentato attese positive dove cittadini ed esponenti politici hanno pensato e pensano di poter disporre liberamente delle tasse che lo Stato preleva dai loro territori. E questo è stato l’humus in cui ha trovato lievito la crescita della Lega. In realtà da quando il problema è stato posto non si è sviluppato nel merito un confronto vero. Si arriva al varo della legge 42/2009 in una sorta di rassegnazione di forze fuori e dentro il Governo, subendo quest’ultimo il ricatto cinico della Lega. Una sinistra balbuziente, nonostante le incognite di prospettiva trattandosi di legge delega in attuazione dell’Art.119 della Costituzione, rispetto alla legge proposta assume nella sostanza un atteggiamento positivo. Il PD infatti, preoccupato di perdere consensi nel centro-nord si astiene e IDV vota addirittura a favore. L’Art. 119 della Costituzione, in ossequio al principio dell’autonomia finanziaria, stabilisce che i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni applicano tributi ed entrate proprie, dispongono di compartecipazione al gettito di tributi erariali, ricevono una quota di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscali per abitante, per consentire agli Enti di finanziare le funzioni pubbliche, che purtroppo non sono ancora chiaramente definite. Ma i Decreti attuativi messi in essere vanno certamente non nella direzione dello spirito dell’Art.119 della Costituzione. Il Decreto sul Patrimonio affida agli Enti le rogne, non un solo bene che possa produrre ricchezza. Il Decreto sulla Municipalità Fiscale, pur avendo accolto una serie di suggerimenti significativi degli Enti locali, come la modifica del meccanismo di fiscalizzazione dei trasferimenti erariali, la compartecipazione al gettito IVA…, mantiene in piedi nodi di fondo. Vengono infatti ridotte le risorse complessive attribuite ai Comuni rispetto alla situazione di partenza, viene riconosciuta un’autonomia tributaria limitata e sbilanciata sui soggetti non residenti (vedi seconde case…!); vengono attivate misure frenanti dello sviluppo, come la tassa sui turisti e nel contempo penalizzanti per i Comuni non a vocazione turistica. E poi non vengono definiti i meccanismi perequativi. La perequazione avverrà in base ai fabbisogni standard o alla capacità fiscale degli Enti? Come non vengono stabiliti i meccanismi di definizione degli standard che dovranno portare al graduale superamento della spesa storica. E poi di quale federalismo vogliamo parlare se nel decreto è stato confermato il taglio dei trasferimenti della manovra economica 2011-2012 a cui si aggiungono gli ulteriori tagli, insopportabili, con la manovra attualmente in discussione. Gli Enti locali per mantenere i servizi del 2010 aumenteranno le tasse? Il Decreto sulla Fiscalità Regionale prevede che alle Regioni restano i tributi oggi disponibili e cioè IRAP, addizionale IRPEF, compartecipazione IVA… Restano però interrogativi preoccupanti. Se a partire dal 2013 si prevede la cancellazione di tutti i trasferimenti correnti ai Comuni, questi ultimi come assicureranno i servizi? E poi, se il fondo perequativo per le Regioni verrà attivato nel 2014 e per i Comuni nel 2016, cosa succederà da qui a quella data? In questo modo verrebbe applicato un federalismo ingiusto senza alcuna garanzia per le aree deboli e quindi per il Mezzogiorno. Mancano poi le garanzie politiche. Un processo difficile, complesso, pieno di rischi anche per la tenuta dell’unità nazionale, presuppone una modifica costituzionale che istituisca la seconda camera e cioè il Senato delle Regioni; come anche la necessità di una nuova legge elettorale che elegga e non nomini i Parlamentari, perché possano rispondere alle esigenze dei rispettivi territori di appartenenza e non a chi li ha nominati.