La politica potere: intervallo o fine di un’ epoca?

Giuseppe Lembo
Siamo ormai al capolinea per la politica-potere nel nostro Paese. Si va lentamente esaurendo il ventennio che doveva inaugurare la Seconda Repubblica italiana; si è trattato, purtroppo, di un sogno abortito sul nascere. La Seconda Repubblica di fatto, non è mai nata. Sulle spoglie della Prima Repubblica, ha saputo costruire solo il potere fine a se stesso, compromettendo la democrazia e lo stesso futuro del nostro Paese che oggi si trova al capolinea, con un popolo sovrano che tale non è, in quanto prono e vittima sacrificale dei poteri forti che hanno espropriato le libertà ed i diritti umani, creando solo falsi miti, false certezze e nessuna concreta prospettiva di futuro. Negli anni settanta il nostro Paese, nonostante le turbolenze e le incertezze aveva creduto nel cambiamento reale e nella partecipazione della gente alla vita pubblica. Ma così non è stato. La stagione delle belle promesse si è lentamente esaurita e così anche alcune importanti leggi, quali la 142/90, ispirata alla figura del Sindaco per la gente e la 241/90, ispirata al protagonismo della cittadinanza attiva; tutto è crollato come veri e propri castelli di sabbia, assolutamente privi di fondamenta. La Prima Repubblica muore nel 1994, portandosi dietro i pilastri della democrazia reale del Paese; sono crollati i partiti, dove è venuto meno il coinvolgimento e la partecipazione della gente; è crollato il sogno di libertà individuale (prima di tutto della libertà dal bisogno); è crollato l’interesse della gente per il bene comune. L’uomo società è andato scomparendo si è annullato dietro la spinta egoistica della centralità di un se stesso, portato al protagonismo di un Io mondo, per fini non di appartenenza allargata, ma di solo possesso delle cose per sé. Se siamo veramente al capolinea, quali saranno le soluzioni possibili per affrontare e risolvere concretamente i tanti mali del Paese? Prima di tutto, ci vuole un nuovo corso della politica; ci vuole la politica vera capace di stare vicina alla gente e di conoscerne i problemi e saperne interpretare attese e desideri, facendo capire la giusta misura dei comportamenti umani ed il giusto rapporto tra diritti e doveri, termini entrambi da ridiscutere in quanto, mentre il primo è fortemente abusato, il secondo invece è del tutto dimenticato, se non cancellato dalla coscienza dei più e dal proprio bagaglio culturale, ritenuto assolutamente inutile ed ingombrante. La politica vera che potrebbe anche manifestarsi nella bella politica, dovrebbe capire la gente e non tradirla, creandone distanze abissali come in questi anni è accaduto per il finanziamento pubblico ai partiti non voluto dagli italiani e cancellato da un referendum che ne aveva determinato la morte; poi la politica-potere ha pensato bene di reintrodurre il costo pubblico della mala – politica, prevedendo un nuovo e più cospicuo finanziamento sotto la forma anomala di rimborso elettorale. Altro tradimento, per niente digerito dal cittadino elettore è quello che riguarda la scelta dei vertici del potere politico della rappresentanza parlamentare, “Parlamento dei nominati”, senza alcun rispetto per il territorio e la vicinanza degli eletti alle proprie realtà di provenienza. E così continuando con le doglianze, a ragione alla base del forte vento dell’antipolitica, c’è da sottolineare il totale crollo di attenzione tra una generazione e l’altra, la scarsa sensibilità per la cultura e la comunicazione autentica, il poco impegno per il mondo giovanile e per il lavoro ed il crescente distacco tra le aree forti del Paese del Nord e quelle del Sud, a cui non resta che piangere, a cui nella logica di sempre, per vivere e/o semplicemente sopravvivere non resta altro che l’ormai consolidata via di fuga, con lo sradicamento mortale di intere generazioni dal Sud verso il Nord e verso le realtà più fortunate e più umanamente capaci di produrre ricchezza e crescenti opportunità di vita. In questo intervallo tra la fine della Prima Repubblica ed il mondo politico in affanno di oggi, si è assistito con le braccia conserti, al crollo di tanti sogni, di tante attese, di tante speranze tradite, sia generazionali che intergenerazionali. Niente si è saputo fare per il Sud, dove smantellate le inutili ed improduttive cattedrali nel deserto, è cresciuto sotto gli occhi indifferenti della politica – potere, della politica – spettacolo, della politica sempre più distante dalla gente, il debito pubblico, un debito elefantiaco e mortale prodotto non solo da Roma (Capitale di un nuovo impero di carta), ma anche nelle diverse realtà territoriali, attraverso i diversi organismi ed enti, spesso inutili e di rappresentanza istituzionale, bravi a fare debiti, a creare voragini mangiasoldi che ci vorranno decenni e decenni di sacrifici per ripianarli, se ci si riesce, prima che arrivi la quasi inevitabile catastrofe economico-finanziaria, a decretare il fallimento del Paese poco virtuoso al centro come in periferia e bravo ad alimentare l’illecito e l’arte dell’arrangiarsi, soprattutto al Sud, attraverso finte pensioni di invalidità, attraverso infiniti favoreggiamenti clientelari e spesso anche mafiosi, attraverso apparati spreconi ed assolutamente inutili ed inefficienti. Lo Stato centrale ha dato l’input e l’esempio a comuni, province, regioni ed organismi satelliti, quali quelli della sanità pubblica, per sostituire l’efficienza di un sistema produttivo capace di produrre ricchezza, con sprechi ed ammortizzatori sociali per assistere e foraggiare improduttività umana e parassitismi. Proprio come nella Prima Repubblica, con punte da vero e proprio iceberg mangiasoldi, si è continuato a consumare risorse senza alcuna copertura finanziaria, creando così l’inizio della fine. In qualche modo un freno allo sfascio veniva dai mercati e dalle esportazioni del made in Italy che tirano ancora bene e rappresentano una salutare boccata di ossigeno per il nostro da tempo morente Paese. Intanto oggi non si esporta o si esporta poco; dalla Cina, si importa liberamente ed a basso costo di tutto e di più. Il nostro Paese è ormai in una condizione di crisi irreversibile perché non produce ricchezza; perché si è adagiato su se stesso e non sa da dove ricominciare, per far ripartire quello sviluppo che non c’è, la cui mancanza rappresenta in sé il male e la stessa causa dell’attuale ed irreversibile crisi politica. Lo sviluppo non si inventa dal niente; lo sviluppo è il frutto e la determinazione di percorsi virtuosi, di politiche sagge e coraggiose, di un comune impegno della società civile che deve saper concorrere insieme per il bene comune. Occorre che il nostro Paese riparta e presto. Per essere virtuosi e credibili, bisogna eliminare i privilegi delle caste, gli sprechi della mala politica e della mala società.