“Orizzonti di Mezzanotte” di Ingenito 31 luglio 2011, giorni-42
Dal Capitolo 21 La via di Damasco – 21-30 aprile 2003- Due giorni dopo Ahmed era a Damasco. Da lì avrebbe dovuto trasferirsi in Pakistan per incontrare il grande imam, cosa assai improbabile, o un suo emissario personale, purché dotato delle indispensabili credenziali. L’astuto diplomatico rimase in attesa per una settimana, senza ricevere notizie. Cominciò a diventare sempre più impaziente. Temette per se stesso, della credibilità effettivamente ricoperta all’interno dei vertici della scala dell’organizzazione a cui apparteneva. Forse, questa volta, aveva osato troppo nel richiedere quel contatto ai massimi livelli. Eppure, dentro di sé, sentiva di avere la coscienza a posto. Se, nell’agosto precedente, il principe degli imam lo aveva ricevuto personalmente, dandogli parere favorevole per la missione da compiere, non si poteva mettere in dubbio, ora, la fondatezza della sua richiesta. Doveva per forza esistere una stretta connessione tra i due eventi. Non poteva essere diversamente. Chiunque l’avrebbe capito. Questo pensiero lo rincuorò. Ventiquattro ore dopo avvenne il contatto. Ahmed tirò un sospiro di sollievo. Gli fu fissato un incontro all’interno della moschea principale della capitale, durante la preghiera di mezzogiorno. Vi giunse con parecchi minuti di anticipo. Prima di entrare, si guardò più volte intorno. Non notò nulla di strano. Il numero dei fedeli giunti nel luogo di preghiera diventava sempre più folto. Provò a fissarli negli occhi, cercando di individuare l’uomo giusto. Trovò solo indifferenza. Nessuno prestò particolare attenzione a quell’uomo distratto e curioso, intento a scrutare i propri fratelli, invece di entrare nel tempio a pregare. Quando lo fece era mezzogiorno in punto. Entrò mescolandosi agli altri siriani come lui, disponendosi nell’ultima fila. Non si accorse del fruscio di una tunica che lo sfiorò di fianco. Si chiese come avrebbe fatto a essere riconosciuto dal misterioso interlocutore. Alla invocazione dell’imam, si trovò genuflesso sull’immenso, morbido tappeto, quando sentì una voce sottile bisbigliargli qualcosa all’orecchio.— Allah sia con te, fratello! Colto di sorpresa, Ahmed rispose automaticamente, provando a voltarsi d’istinto.— E con te! — Non muoverti e non guardarmi, ma ascolta attentamente. — gli disse energicamente l’uomo al suo fianco. — Dobbiamo usare la massima prudenza. Anche nel nostro paese ci sono spie e traditori, collaboratori del nemico infedele. — Devo parlare urgentemente con il grande imam o con un emissario da lui personalmente autorizzato. — si affrettò a dire Ahmed — Lo so. Di cosa si tratta? — replicò cortese l’altro. Era anziano. La sua barba bianca e pronunciata, la voce delicata, ma autorevole. Incuteva soggezione. Il diplomatico avvertì su di sé uno strano ascendente spirituale. Benché apparisse come una persona defilata e poco sensibile alle cose del mondo, quell’uomo era il responsabile siriano del movimento terroristico internazionale arabo. Il diplomatico non l’avrebbe mai detto, dopo avergli rivolto uno sguardo furtivo, ma evitando di farsi notare.— Mi dispiace, fratello. Non posso riferirti nulla, a meno che tu non mi presenti le credenziali rilasciate dal nostro grande fratello.— Apprezzo la tua lealtà. — dichiarò l’interlocutore. — Non sono io la persona che dovrai incontrare. Ma ascolta lo stesso attentamente. Il tuo desiderio è stato preso nella dovuta considerazione da chi tu sai. Anche se, purtroppo, c’è un cambio di programma su questo tuo viaggio. Il diplomatico si irrigidì di quel tanto da non passare inosservato. La situazione sembrava complicarsi. Furono interrotti dalla voce del mujaidin, che invitava alla preghiera. Entrambi si genuflessero nuovamente silenziosi. Poi, il siriano riprese. — Non è più Karachi la tua destinazione, ma un’altra! — Ah, sì? — replicò stupito Ahmed. — E qual è?— Sofia, in Bulgaria. — rispose indifferente l’altro.— Perché Sofia? — chiese istintivamente il più giovane connazionale. — Perché non più il Pakistan, dove è così forte e radicato il dissenso contro il governo locale e dove sono tanti i nostri fedeli amici e fratelli di cui fidarsi? — I controlli dei servizi segreti pakistani presso i loro aero-porti e le principali vie di comunicazione nazionale si sono improvvisamente irrigiditi negli ultimi mesi. — rispose tranquillo l’altro.— Fonti riservate provenienti da esponenti della nuova élite del nostro movimento terroristico, infiltratisi nei corpi speciali della polizia pakistana, ci hanno fornito notizie assai preziose al riguardo. — aggiunse. — Da qualche mese, su sollecitazione del Pentagono e, in particolare, della CIA, l’infame governo collaborazionista di Karachi ha disposto una ricerca individuale su tutti gli arabi, in particolare siriani, yemeniti, libanesi, iracheni, iraniani e afghani entrati ufficialmente in Pakistan per più di una volta nell’ultimo anno, specie per quelli provenienti dai principali paesi dell’Europa Occidentale. Non siamo riusciti a sapere le ragioni vere di questa decisione così improvvisa. Sappiamo solo che, qualora quelle visite dovessero reiterarsi, tutti coloro che appartengono alle categorie dei giornalisti, fotografi, addetti militari e culturali presso le ambasciate straniere, gli stessi diplomatici, tranne quelli elevati al rango di ambasciatore, così come qualsiasi imprenditore non particolarmente noto nell’ambito dell’import-export internazionale, saranno fotografati e seguiti passo passo in tutti i loro successivi spostamenti. La fonte è riservatissima, ma certa, come ti ho già spiegato. Fu a questo punto che Ahmed accigliò la fronte e cominciò ad oscurarsi in viso. Da tempo, un pensiero fisso gli martellava la mente. Per quanto lo rimuovesse, quel trapano sottile chiamato preoccupazione perforava la piccola, invisibile ombra interiore del dubbio. Giorno dopo giorno, in maniera permanente, senza che riuscisse a liberarsene. E, attraverso di essa, il pensiero, la mente, il cervello. Trapassati da una lacerazione che si trasformava in un corpo prestato dalle ombre alle ombre. (…)