Orecchio da sommelier

Antonio Pirpan

Dopo una sfibrante riunione sindacale a Roma, mi infilai in un elegante ristorante di Trastevere con tante stelle da formare una piccola costellazione. Fuori pioveva a dirotto. Mentre aspettavo per ordinare da mangiare, venni attratto dalla scenetta che, nel frattempo, si svolgeva al tavolo accanto, dove sedeva un signore di mezza età, largo di spalle, dall’apparenza “pieno di soldi”. Non so perché, ma la scena cominciò a interessarmi quando arrivò il vino, cullato fra le braccia di un cameriere in frac, dall’accento francese: dopo aver inquadrato il cliente da dietro il suo formidabile naso, seguendo il rituale di quasi adorazione, presentò la bottiglia del vino con un condiscendente “Monsieur?” L’uomo, per niente contagiato dall’hauteur dei camerieri d’oltralpe, con aria di affettazione, ignorò l’assaggio offerto e chiese, invece, il tappo della bottiglia. A questo punto, come immagino avreste pensato voi, mi aspettavo quasi che lo annusasse, ma lui, con uno sguardo altero al sommelier, e con u gesto degno del vecchio De Gaulle, avvicinò il tappo all’orecchio e lo inserì nel padiglione auricolare. Allungai il collo e aspettai. Dopo una pausa di riflessione, il mio simpatico vicino di tavolo annuì con aria da consumato intenditore, e sentenziò: “Suona buono, versate pure”. Musica per le sue orecchie, non per le mie, e quando finalmente ordinai il pranzo, chiesi da bere acqua minerale liscia.