Erik Peterson e gli angeli

don Marcello Stanzione

 Erick Peterson nato ad Amburgo (Germania) il 7 giugno 1890 e morto nella stessa città il 26 ottobre 1960, rappresenta una delle figure teologiche più importanti del XX secolo. La sua vita può dividersi in due fasi: il periodo luterano (1890-1930), in cui si formò allo studio del Nuovo Testamento e attinse con passioni ai Padri e alla tradizione della Chiesa antica, e un  periodo cattolico (1930-60), in cui continuò a curare i suoi interessi storico-sociali e insegnò a Roma presso il Pontificio Istituto di Archeologia cristiana.  Peterson era fondamentalmente uno studioso del Nuovo Testamento che proveniva dalla patristica e rimase un patrologo che si volgeva al Nuovo testamento. Era una testa sistematica che si volgeva al Nuovo testamento e uno storico che apprezzava il dogma”. Sia nella prima sia nella seconda fase della sua vita Peterson fu e si sentì però sempre un “outsider”. Da luterano era convinto che non ci può essere esegesi senza dogmatica. Non si dà Scrittura senza Tradizione, e ciò lo poneva in netto contrasto con le diffuse e popolari tesi liberali di Adolf von Harnack e con le posizioni dialettiche sulla Parola di Dio di Rudolf Bultmann e Karl Barth. Secondo Peterson, infatti, la teologia deve essere subordinata all’autorità dogmatica della Chiesa e non semplicemente alla sola Scriptura. Di questa fase fa testimonianza il carteggio tenuto con Adolf von Harnack, Karl Barth, Karl Ludwig Schmidt e Oscar Cullmann. Ricordiamo che una forte influenza esercitò sul pensiero di deterso il pietismo tedesco. Agli inizi del XX secolo tale movimento costituiva una protesta positiva all’interno dell’ “establishment” luterano di quell’epoca, portando molti giovani a dedicarsi con slancio alla missione e alla testimonianza di fede. Fu proprio questo “pathos” ecclesiale a spingere Peterson oltre il pietismo e alla lettura di Soren Kierkegaard, tuttavia senza trovare pienamente nel filosofo danese quella pace che cercava. Soltanto nella notte di Natale del 1930 con la definitiva conversione alla Chiesa cattolica poté soddisfare il “quarere” dell’intelligenza, del cuore e della passione di fede. Il deficit ecclesiologico dei luterani in Germania era tale da costringerlo in coscienza, in obbedienza alla Scrittura, a chiedere di entrare nella Chiesa cattolica. Si può, quindi, affermare che la scelta di diventare cattolico non nasce da uno spirito polemico, ma da una lunga e sofferta gestazione interiore sulla questione della verità. “Ho cercato di comprendere, non di condannare […]. So di non essere mosso da alcun risentimento”. Anche da cattolico Peterson rimase sempre u “outsider”, avvicinato sempre con sospetto e scetticismo, come si fa con i neofiti appena convertiti, ancor più se costoro sono estremamente eruditi e animati da profonda passione per la fede degli Apostoli. Peterson trascorse gli anni successivi alla sua conversione a Roma, sposando la romana Matilde Bertini da cui ebbe cinque figli. Sia a motivo delle ristrettezze postbelliche sia dell’insufficiente stipendio presso le istituzioni romane, la condizione di vita di Peterson fu molto disagiata. Morì ad Amburgo malato ed esausto il 26 ottobre 1960. La sua tomba si trova al Campo Verano di Roma. Nel periodo luterano Peterson insegnò in varie sedi universitarie: Strasburgo, Gottinga, Bonn, Berlino, Basilea. Nel 1920 a Gottinga conseguì il dottorato e la libera docenza in Storia della Chiesa e Archeologia. Nel 1926 fu pubblicato il suo lavoro di ricerca dottorale che lo rese famoso negli ambi enti accademici teologici e non teologici: Heis Theos, Ricerche epigrafiche, legate all’ambito della storia delle forme e della storia delle religioni. Durante la sua vita Peterson non ha scritto grossi volumi; piuttosto si dilettava a redigere piccoli saggi o brevi trattati in cui affrontava innumerevoli problemi. Era ben consapevole di come le questioni teologiche siano tra loro essenzialmente legate e le une richiamano le altre. Commentando questo stile di Peterson la dottoressa Nichwieb ha affermato che un solo Peterson in un minuto poteva sollevare più domande di quante ne possano affrontare dieci facoltà universitarie. Tra i trattati più importanti di Peterson va annoverato certamente il famoso saggio “Che cosa è la teologia” (1925), in cui egli risponde al saggio di R. Bultmann su “Che senso ha parlare di Dio?”. Altri saggi sono dedicati a questioni ecclesiologiche: al rapporto esistente tra rivelazioni e Chiesa, diritto e carisma, misteri e successione apostolica, i sacramenti, e la questione sull’origine cristologica della Chiesa. Tra questi saggi di carattere ecclesiologico spicca quello su “La Chiesa” (1928). Particolare è certamente un trattato dall’interessante titolo “Il libro degli angeli”, in cui Peterson definisce la Chiesa a partire dalla liturgia. La  rilevanza politica della teologia è un altro dei temi da lui maggiormente affrontati, in particolare nel suo breve saggio “Il monoteismo come problema politico” (1935). Nel periodo cattolico, per ragioni sopra indicate, si ridussero molto le sue pubblicazioni. Nell’ultimo decennio della sua vita pubblicò, infatti, solo tre volumi. I “Trattati teologici” (1951), le “Glosse di teologia” (1956) e “Chiesa primitiva, giudaismo e gnosi” (1959). Alla sua morte Peterson ha lasciato un voluminoso lascito inedito con molti testi e un ampio schedario di patristica a Torino. Peterson  scrisse nel 1935 Il Libro degli angeli, cinque anni dopo la sua conversione al cattolicesimo.  Si tratta della sua opera maestra, come indicò Danielou nel prologo all’edizione francese, poiché in essa convergono le tre grandi dimensioni del pensiero dell’autore: la liturgia, la politica e la mistica. Il libro non è un trattato sugli angeli come Peterson  riconobbe nel prologo alla seconda edizione, ma la comprensione teologica del  luogo degli angeli nel culto della Chiesa. L’opera presenta tre parti: la testimonianza della scrittura sulla liturgia celeste, la partecipazione della chiesa al culto angelico e gli angeli e la vita mistica. Peterson nella prima parte studia il significato delle inclusioni liturgiche nell’Apocalisse. La prima inserzione si trova nel capitolo 4, nella visione del trono di Dio: gli angeli cantano il Santus (4, 8), l’azione di grazie che unisce le lodi della chiesa –  rappresentata spiritualmente dai 24 anziani –  a quella degli  angeli (4, 9), il sacerdozio reale (4, 10), l’inno all’agnello immolato (4, 11). La seconda inserzione si trova nel capitolo 5, che descrive la città celeste fondata dall’agnello vittorioso (5, 9-11), e l’acclamazione del mondo visibile (5, 13). Dall’analisi dei due capitoli conclude che “secondo la testimonianza della Sacra Scrittura, il culto della chiesa è una partecipazione alla liturgia che celebrano nel  cielo gli angeli  e i  beati”. La seconda parte si divide in due sezioni. Nella prima Peterson   paragona il Santus  della liturgia alessandrina, che porta il nome della liturgia di San Marco, e il Santus del profeta Isaia (6, 1-3). Le modifiche del testo di Isaia della liturgia alessandrina  derivano dal principio teologico che i cristiani hanno lasciato il tempio di Gerusalemme e si sono avvicinati  al tempio celeste.  Il culto terrestre comprende tutto l’universo così come lo si descrive nell’introduzione del Santus della liturgia siriaca di Santiago. La chiesa si associa al Santus degli angeli. La conclusione dello studio dei testi delle Scritture e delle liturgie indica per Peterson che “la nostra tesi, secondo la quale tutto il culto terrestre della chiesa deve  concepirsi come una partecipazione al culto che gli angeli nel cielo tributano a Dio, sarà confermata non solo dalla Scrittura, ma anche dalla tradizione della  chiesa, uguale a come si  esprime nella liturgia”. La seconda sezione mostra la partecipazione degli angeli alla liturgia della Chiesa. Peterson sottolinea che secondo la testimonianza della tradizione cristiana, gli angeli svolgono un ruolo nella somministrazione dei sacramenti e nelle benedizioni. Sono presenti e intervengono nel battesimo, nella celebrazione dell’eucaristia, durante sacramento della penitenza e nel sacramento del matrimonio. Sono associati anche alla consacrazione episcopale e accompagnano l’entrata dell’anima nella città celeste. La recita dell’ufficio divino e la preghiera sono  in comunione con gli angeli. Tutte queste idee dimostrano a Peterson   che si può parlare di una partecipazione angelica al culto liturgico: “dimostriamo così che abbiamo anche diritto di parlare di una partecipazione degli angeli nel culto della chiesa”. La terza parte del Libro Degli Angeli  sviluppa  la relazione tra gli angeli e la vita  mistica. Peterson  sostiene una  teoria della mistica in connessione con la liturgia e l’angelologia: la partecipazione dell’uomo al culto liturgico degli angeli  eleva la condizione umana al disopra del loro essere naturale. La stessa espressione teologia significa “non solo conoscenza di  Dio ma anche lode a Dio   alla maniera degli angeli”. In questo linguaggio liturgico Peterson   segnale che si deve cercare la fonte “della vita mistica della  chiesa, che non potrà mai svolgersi se non in  intima unione con il culto della  chiesa. In questo modo tutto quello che sappiamo del mondo angelico abbonda a nostro beneficio, e ci addentra nella profondità della nostra esistenza umana. Vale a dire gli angeli sono qualcosa di più che un decoro poetico del repertorio della poesia e dei racconti popolari. Si trovano nella stessa sfera di Dio, di Cristo e dello Spirito Santo, e anche  nostra. Per noi rappresentano una possibilità della nostra natura, un grado più elevato e più intenso del nostro essere, mai però la possibilità di una fede nuova e diversa. Essi ci illuminano per quanto riguarda le profondità tenebrose della nostra esistenza… Senza dubbio, anche se Peterson  mette l’essere e la vita degli angeli come archetipo per il mistico, riconosce che la meta della vita cristiana non è l’imitazione angelica, dal momento che non c’è mistica senza  Cristo. La persona di Cristo è la risposta alla domanda su cosa  è l’uomo. “Chi vuole incontrare, poi, una risposta chiara alla domanda ‘Chi è l’uomo?’, ce l’ha nell’Ecce homo  del Figlio dell’uomo, coronato di spine”. Questa importanza della  dimensione antropologica della vita mistica con gli angeli permise a Peterson   di riconoscere la profondità delle  insidie da parte del demonio che l’uomo incontra. Anche se, segnala Nichtweiss, “Peterson  non realizzò una riflessione sistematica sui demoni come fece Barth, ma approfondì i concetti demonologici dell’apostolo San Paolo e trasmise quest’insegnamento nei suoi corsi sul Nuovo Testamento”.Dopo la prima pubblicazione del Libro degli angeli nel 1935, nacquero rapidamente recensioni molto positive sul libro. Nonostante ciò l’interpretazione che Peterson diede dei capitoli quattro e cinque dell’Apocalisse e il riferimento a testi liturgici e ai Padri per mostrare che gli angeli hanno  come funzione principale quella di offrire un culto in cielo al quale partecipa il culto della Chiesa, non piacque a Karl Barth.  Egli  obietta che le spiegazioni  date da Peterson sono state le idee dell’angelologia patristica e che la nozione di angelus (messaggero) non ha nessun ruolo nel sistema di Peterson.  Ciò porta Barth a qualificare come astratta la dottrina  degli angeli presentata da Peterson nei primi due capitoli del Libro degli angeli. La discussione teologica fra i due  autori avveniva già da tempo. Peterson aveva scritto varie opere mostrando il suo disaccordo con alcuni punti dottrinali della teologia protestante di Barth e anche di Bultmann. Così nella  monografia Cos’è la teologia?, Peterson annuncia che il compito della teologia è quello di  parlare di Dio”, andando al passo con la definizione di teologia  di Barth e Bultmann come “parola di Dio”.  In altre parole “la teologia è lo sviluppo della parte della rivelazione del Logos che si è espresso in dogma”. Anche la nozione di chiesa separa Peterson  da Barth. Il suo trattato La Chiesa è uno studio neotestamentario e storico sul concetto della  Chiesa che diverge con il concetto della Chiesa che espone Barth. Per Peterson   “la vera Chiesa è lì dove si incontrano queste cose: la legittimità nella successione legale “dei Dodici”, che deriva direttamente dal Signore e una fede come nel caso di dodici apostoli,  che è costretta a prendere decisioni sotto l’impulso dello Spirito Santo”.