Come si fa a chiamarla bravata?

Giovanna Rezzoagli

E’ successo ancora, questa volta ad Arzano, in provincia di Napoli. Un gruppo di adolescenti, un “branco” come enfaticamente si sente da più parti conclamare, hanno convinto una loro giovane amica a seguirli in un luogo appartato per poi abusare sessualmente di lei. E’ successo altre volte nel nostro Paese, e ciò che inquieta è l’incremento di questi episodi, incremento di tipo esponenziale, indice di un problema che affonda le sue radici in un substrato sociale malato. Proprio come accade agli organismi, anche le società si ammalano, non di rado i sintomi delle patologie sociali rimangono a lungo silenti, ma quando s’innesca il processo di flogosi, ovviamente in senso traslato, l’infezione ha già colpito duramente. La storia di Arzano è simile a tante altre: ricordiamo Brindisi, dove nel novembre 2009 furono arrestati quattro minori per violenza carnale di gruppo continuata su due coetanee, ed ancora a Brescia lo scorso marzo cinque minorenni arrestati per stupro di gruppo nei confronti di una compagna di classe, in questo caso lo stupro avvenne in classe durante la lezione. E’ successo anche  a Martinsicuro, a Casamicciola, a Teramo, a Rho, dove la vittima era portatrice di handicap. Un elemento che ricorre con frequenza in tutte queste storie drammatiche è l’appartenenza degli stupratori alle cosiddette “famiglie bene”, come se la violenza sessuale fosse una piaga sociale che riguardasse il degrado e/o il disagio sociale. Altro punto di comunanza tra la maggior parte di questi episodi è il sentirli definire “Bravate”, come se fossero marachelle compiute in compagnia, dove la responsabilità non è mai di uno solo. Spesso si sentono definire questi stupratori come “bravi ragazzi”, senza precedenti e senza grossi problemi. In parole povere, si cerca in tutti i modi di spiegare i molteplici perché che portano alle violenze di gruppo tra minori. Spiegare, attenzione, sminuendo la responsabilità soggettiva. A quattordici anni si è consapevoli di ciò che si compie? Per la legge italiana si, anche se la competenza a perseguire i reati compiuti dagli adolescenti in età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni spetta al Tribunale dei Minori. Come arginare quello che è, con tutta evidenza, un social problem emergente? Rispondere è estremamente complesso, ma appare sin troppo evidente che sminuire la portata dei fatti è estremamente pericoloso. In primis perché nessuno, e sottolineo nessuno, spende parola sulle vittime. In verità, nel nostro Paese si tende a disquisire molto dei carnefici, sul loro recupero, sul perché delle loro azioni, se sono soggetti sani o patologici e chi più ne ha più ne metta. Abbiamo esperti praticamente su tutto, per cui sappiamo vita morte e miracoli di ogni criminale, ma su ciò che sottende ai crimini, poco o nulla, ammesso e non certo concesso che ciò che viene divulgato sui crimini sia effettivamente proposto da esperti competenti. Le vittime finiscono in sottofondo. E questo è il uno dei sintomi della grave malattia che ha colpito la nostra società. Società che si scopre tristemente voyeuristica, drammaticamente incapace di educare moralmente ed eticamente i suoi figli. Un primo tentativo di riequilibrare questo spaventoso divario tra vittime e carnefici è stato posto in essere lo scorso anno dal Tribunale di Milano, dove è stata emessa una sentenza storica: per lo stupro continuato di una dodicenne pagano i genitori degli stupratori minorenni. Quattrocentocinquantamila euro per risarcire i danni morali e materiali subiti da una giovane che avrà la vita segnata per sempre. Per una “Bravata”. Una cifra irrisoria, a mio parere, se paragonata al trauma subito dalla ragazza, ma che è volta a sottolineare come la violenza sessuale perpetrata dai ragazzi nei confronti della giovane sia sinonimo della mancata “educazione dei sentimenti e delle emozioni che consente di entrare in relazione non solo corporea con l’altro” da parte dei genitori dei carnefici, che non hanno prestato attenzione e non si sono impegnati affinché “il processo di crescita” dei propri eredi “avvenisse nel segno del rispetto dei sentimenti, dei desideri e del corpo dell’altra/o. E con questo vale la pena sottolineare la gravissima mancanza di una puntuale e competente educazione ai sentimenti ed alla sessualità nella nostra società. Nelle scuole non si pone in essere, e laddove si approcciano questi temi, sovente sono Docenti per nulla preparati sul piano psicologico e comunicativo per farsene carico. La nostra è una società malata, nascondere la testa sotto la sabbia non aiuta nessuno. La cura? Cominciare ad aprire gli occhi, inasprire le pene, educare sin da piccoli al rispetto, insegnare a riconoscere i sentimenti propri ed altrui sin dalla più tenera età ed avere il coraggio di portare l’educazione sentimentale e sessuale nelle scuole di ogni ordine e grado. E, soprattutto, finirla di chiamare “bravi ragazzi” gli stupratori e piantarla di definire “Bravata” lo stupro di gruppo.

11 pensieri su “Come si fa a chiamarla bravata?

  1. Dottoressa, lei mi piace sempre di più. Sempre garbata, gentile, però pronta a sfoderare gli artigli per dire le cose chiare. Ho visto che non è di Salerno, peccato, sono sicura che scriverebbe magnificamente della nostra bella città. Complimenti cari.
    Ester

  2. Gentile Ester, Le Sue parole mi onorano. È vero, io non sono di Salerno. Sono un’emiliana che vive in Liguria. Ci tengo molto a precisare che non sono Dottore, sono Counselor, ciò a fine di evitare sgradevoli malintesi e per rispetto di chi legge. La ringrazio calorosamente per l’apprezzamento.
    La saluto cordialmente.
    Giovanna Ganci

  3. Gentilimma Giovanna, io sono salernitana. Salerno è un’altra realtà rispetto all’area napoletana e flegrea. Figurarsi la Liguria (dove comunque non mancano azioni di microdelinquenza). Devo riconoscere, però, che l’area intorno allo splendido Vesuvio è un’altra cosa, parlare di bravata in quella realtà degradata mi sembra davvero come non voler vedere lo stato in cui vivono intere comunità, ossessivamente preda della grande delinquenza organizzata e della microdelinquenza. Adolescenti che violentano una ragazzina è soltanto un piccolo spaccato di “una scuola di delinquenza” che nasce prima in famiglia, che si amplia e si aggiorna nelle scuole e che, infine, diventa modo di vivere. Grazie per il suo contributo serio e professionale.

  4. Gentilissima Luana, grazie per il Suo commento e la Sua attenzione. Io non conosco la realtà di Salerno, di Napoli, in realtà non conosco realtà locali se non la mia perchè non mi è possibile viaggiare. Nel mio articolo ho inteso descrivere un problema che riguarda tutta l’Italia e non solo determinate zone. Sono partita dall’episodio avvenuto in provincia di Napoli, ma solo perchè ultimo in ordine di tempo e perchè definito, appunto, bravata su alcuni network. Potrebbe essersi verificato sotto casa mia e il mio scritto non avrebbe visto modifiche se non i nomi dei luoghi.In Liguria non vi è solo microcriminalità, soprattutto nella periferia di Genova esistono vere e proprie bande con rituali che prevedono azioni delinquenziali gravissime, come il pestaggio di anziani inermi. Lei la chiama “scuola di delinquenza”, ed ha ragione, io mi sforzo di andare indietro e vedo una profonda indifferenza verso l’Altro, che nulla di buono porterà al futuro, tanto a Salerno che a Milano o a Chiavari. Come professionista che opera nel sociale, ritengo urgente una presa d’atto di questa realtà. Nel mio piccolo cerco di scrivere per portare all’attenzione di chi legge aspetti forse meno valutabili a prima vista dei vari fenomeni sociali, ma sono i commenti dei Lettori che aiutano la riflessione di tutti. La ringrazio ancora e La saluto cordialmente.
    Giovanna Rezzoagli Ganci

  5. Gentile Giovanna,
    come si fa a chiamarle bravate? Basta accendere la TV e sentire la notizia. E’ la nostra morale comune plasmata dai media che ormai la ammette come bravata. Basta fare attenzione all’uso della parola, all’arte del giornalista nel mutare in fenomeno sociale ciò che è un disegno criminoso. Se poi ci mettiamo la peculiarietà della città, il disagio ecc. ecc. montiamo la panna e basta. Occorre che la società prenda atto che chi commette ciò commette un delitto contro la persona e questo esige la certezza della pena anche come deterrente. Ma siamo in Italia …
    Grazie per i suoi scritti che risvegliano il senso critico dei lettori di questo giornale.
    Cari saluti
    Valentina

  6. Sono io a ringraziare per il commento. Lei tocca un tasto dolente, la comunicazione. Esiste il cosiddetto “significato suggestivo della parola” che imprime appunto suggestioni. Definire stupro una bravata diminuisce l’impatto negativo che tale crimine ha e che deve essere necessariamente stigmatizzato. Io giornalista non sono, ma conosco abbastanza bene la psicologia della comunicazione per sapere come un’informazione formalmente corretta aiuti la comprensione delle situazioni, e viceversa come sia facile inoculare suggestioni negative o positive circa un evento secondo ciò che si vuole determinare. Questo però non è etico, così come non è etico sfruttare paure, contagi emotivi, nonché personale visibilità per porre in essere apologia di qualsiasi elemento. Se si vuole costruire una comunicazione efficace, a mio parere, è necessario stimolare lo spirito critico di chi legge, non servire tesi preconfezionate. Altrimenti trattasi di condizionamento.
    Cordialmente.
    Gioovanna Rezzoagli Ganci

  7. Cara Dottoressa Giovanna, Oggi. . grazie ai giornali e alla televisione, si sa vita e miracolo di ogni “stupro”, ma solo quelli denunciati. ho , quindi ,il sospetto che di stupri che non vengono al “pettine” se ne fanno a iosa.
    Anche un tempo lontano se ne facevano, ma rimanevano nel “cassetto” del rione dove veniva consumati, tanto, non vi era la possibilità di espanderlo ai quattro venti come oggi. I mezzi mediatici come ora non esistevano affatto. Ma posso dire che di stupri se ne facevano ed anche tanti.
    Penso che molti di detti stupri avvengono anche con l’accondiscendenza di chi li riceve, come dire : prima si vuole e poi si denuncia.
    Ricordo un episodio accaduto tantissimi anni fa , parlo degli anni trenta: avevo uno zio avvocato che dovette difendere un uomo che aveva stuprato una ragazza. Mio zio portò questa tesi:
    “ se si tenda d’infilare il filo di cotone nella cuna dell’ago mentre l’ago lo si muove di continuo a destra e a sinistra , come si fa ad infilare il filo?” Mio zio, con bravura, vinse la causa .
    Voglio dire che , certe volte è anche colpa di certe ragazze che provocano gli uomini fino all’eccesso.
    Ma ben vengano le punizioni severe per chi stupra , anche se sono stati provocati all’eccesso,
    Chiaramente, un po’ di colpa ce l’hanno anche i genitori che non sanno tenere a bada i propri figli. Devo anche asserire che tali fattacci si verificano in ogni dove, senza esclusione di località.
    La dottoressa Giovanna c’illumina sempre con argomenti sentiti e problematici. Un abbraccio

  8. mi piace moltissimo l’articolo della vostra Counselor, ma apprezzo anche il dibattito che lo segue. Mi piacerebbe che anche altre persone che scrivono su questo giornale dicessero la loro. io penso che lo stupro sia odioso e che vada sempre condannato.
    MariaLuisa

  9. Carissimo Alfredo, Lei ha ragione, le statistiche affermano che sono moltissimi gli stupri impuniti e tanti quelli mai denunciati. La colpa in buona misura è della nostra cultura, che tende a deresponsabilizzare il ruolo del maschio stupratore. Fondamentale parlarne, parlarne e ancora parlarne.
    Un caro abbraccio.
    Giovanna

  10. Lo stupro è l’esperienza peggiore che una donna possa vivere.Come massimo oltraggio alla persona, molto vicino all’omicidio, esso dovrebbe essere condannato con una pena esemplare.Ma in Itlia la giustizia non è garantita….Oggi poi la vogliono far diventare addirittura un vestito cucito su misura. Cosa ci si può aspettare
    quando un primo ministro dichiara guerra all’indipendenza della magistratura e allo Stato, perchè per lui non devono valere le leggi che vengono applicate a tutti gli altri cittadini? Non è uno stupro anche questo…alla Carta Costituzionale e dunque a tutto il popolo italiano?

  11. Cara Civetta, nel nostro Paese ci sono donne che subiscono molestie e vengono stuprate senza che nemmeno ne abbiano consapevolezza.Sembra incredibile eppure é così. Ci sono donne cresciute da madri che alimentano esse stesse la cultura maschilista che ancora permea la nostra cultura, come Lei giustamente fa osservare, a tutti i livelli. Parlarne, parlare e confrontarsi, l’unica via per cambiare la cultura in cui crescere un?Italia migliore.
    Cordialmente.
    Giovanna Rezzoagli

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