Catenacci: la zattera del Prefetto (2^parte)

 Aldo Bianchini

Correva l’anno 1990 e Corrado Catenacci era più che mai in sella alla prefettura di Salerno con la fama di “prefetto di ferro” costruita un po’ per stile di vita e molto per effetto del carattere burbero e arcigno, forse anche scostante, dal quale tuttavia ha attinto la linfa per il suo decisionismo solitario. Nel corso della sua lunga carriera ha sciolto ben 25 consigli comunali per contiguità con le cosche mafiose, arrivando addirittura a rischiare la vita affrontando ed arrestando tre pericolosi criminali. Insomma, come ho già scritto nella prima puntata, Catenacci è un uomo veramente tutto d’un pezzo. Non aveva ben calcolato, però, l’effetto boomerang che il suo decisionismo avrebbe potuto generare sbattendo sul muro di assoluta trasparenza, e anche di ignoranza, del vice sindaco Umberto Tommasiello del piccolo comune di Pertosa. Quell’anno, il 1990, andava in scena una delle tante protese dei cittadini di Pertosa che reclamavano la titolarità nella gestione delle grotte contro l’irruenza di Auletta, comune vicinioro e parecchio più grande. Il sindaco Rosario Morrone, per tagliare corto, decise di convocare il consiglio comunale sulla zattera che traghetta i turisti all’interno delle splendide grotte. Si temevano subbugli e scontri tra le due popolazioni e il prefetto Catenacci, in perfetta sintonia con il capo della procura della repubblica di Sala Consilina Domenico Santacroce, inviò sul posto il capitano dei carabinieri Gangemi con una cinquantina di militari dell’arma. Apriti cielo, le proteste invece di fermarsi si accentuarono, tanto che il vice sindaco Tommasiello scrisse di proprio pugno e con qualche simpatico strafalcione il seguente manifesto che per ragioni comprensibili pubblichiamo con le stesse parole utilizzate all’epoca: “Ordino al prefetto Catenaccio di farsi i cazzi suoi se ne ha, e se non ne ha di no romperci i nostri. E se tutti i Prefetti d’Italia fossero come il prefetto di Salerno si diino alla produzione e vadino a zappare. F.to: Umberto Tommasiello”. Ovviamente l’apparizione del manifesto scritto a mano scatenò il pandemonio, il capitano Gangemi sequestrò lo scritto e relazionò, come da dovere d’ufficio, alla Procura di Sala Consilina. Nei giorni successivi il buon Tommasiello cercava solidarietà per il suo gesto a tutti ed anche alla stampa locale e nazionale. Lo lasciarono da solo. Dopo qualche tempo fu anche processato e condannato a sei mesi di reclusione con sentenza passata in giudicato. Probabilmente la vicenda non scalfì neppure minimamente la grande fermezza del prefetto di ferro Corrado Catenacci ma il fatto o meglio “il fattaccio”  fece il giro di tutto il Paese ed ebbe, soltanto a sentenza pronunciata, grande eco mediatica. Una eco che produsse un effetto inaspettato per lo stesso Tommasiello. Dopo qualche tempo dal verificarsi di quella vicenda il sindaco di Pertosa Rosario Morrone, stufo delle continue polemiche con Auletta, si dimise e fece di tutto per consegnare la sua poltrona al verace e non facilmente arrestabile suo vice Umberto Tommasiello che ebbe così il suo momento di gloria rimanendo seduto per qualche tempo sullo scranno più alto del piccolo comune delle famosissime grotte. Insomma, come dire che le cose brutte non vengono solo e soltanto per nuocere.