Sudditi di una società senza idee

Ferdinando Longobardi

In questo periodo, in tv, sembra vigere la proprietà della metemsomatosi, non tanto la più nota metempsicosi, cioè trasmigrazione delle anime, le quali di questi tempi interessano molto poco, ma trasmigrazione dei corpi da un canale televisivo all’altro. Ed è ecco i profughi d’alto bordo, non nordafricani o cinesi stipati nelle stive di una nave. Ma personaggi di rango, intellettuali, opinionisti (sic!) strappati a suon di euro da un programma all’altro per commentare i fatti o i (mis)fatti del giorno; ospiti che oscillano pericolosamente dalle reti più politicizzate di sinistra a quelle berlusconizzate. In effetti, nell’universo televisivo, è un fatto comprovato, si riconosce tutto a prima vista: l’alta definizione è sul piano tecnologico quel che è l’alta riconoscibilità sul piano dei contenuti. Tutto è agnizione garantita, come la refrigerazione di un frigo o la vernice di un’automobile che vanta qualità. La ripetitività, così evidente nelle telenovele e nei serial, è una struttura rituale, è un elemento costitutivo della nuova religiosità televisiva, anzi del culto larale predisposto dal televisore. Nello spazio descritto dalle telenovele o dalle ormai quotidiane situation comedies della politica nostrana c’è un continuo andirivieni, dove le vicende evolvono così lentamente, in un tempo quasi ideale. La stessa società è ormai ritualizzata, talmente cerimoniosa che sembra non esistere: gli ospedali, gli studi professionali, le università, i posti lavoro in genere sono diventati ambienti asettici, sterilizzati dove il conflitto è purtroppo generato non dal confronto di idee e passioni ma solo dall’ambizione, cioè dal tentativo di varcare dei limiti a tutti i costi e, soprattutto, di impedire ad altri di farlo al posto nostro. Anche nelle trasmissioni di approfondimento politico, che in passato – come la tribuna elettorale – nel lessico comune erano diventate sinonimi di noia e pesantezza, è tutto fotoromanzato, tutto già visto e rivisto mille volte, tutto monotonamente già sentito e risentito. Non poi così diverso da ciò che accade nei luoghi di provvisoria aggregazione sociale che ormai caratterizzano la nostra vita di tutti i giorni, siamo davanti al televisore, con lo stesso spirito con il quale rimaniamo in coda nel traffico o in fila alle Poste, con lo sguardo perso nel vuoto o, al massimo, dritto a fissare i capelli o la targa di chi ci precede.