Mirafiori caput mundi

 Angelo Cennamo

Fare l’operaio alla Fiat non è esattamente come farlo alla F.lli Rocchetti srl di Bordighera ( denominazione di fantasia alla quale ricorro per mera esemplificazione). Vivi sotto i riflettori 24 ore su 24, manco fossi un concorrente del “Grande Fratello”. Fuori dalla fabbrica ti aspettano frotte di cronisti. Quando ti va male, ci trovi un inviato di Santoro o un Jimmy Ghione di “Striscia la notizia”, pronti a molestarti con le solite domande sulla delocalizzazione dell’azienda e la tutela dei diritti costituzionali. Non mi sorprenderei se tra qualche giorno i tg dovessero mostrarci l’assemblaggio in diretta di una Panda, o la pausa pranzo di un quadro. Non escluderei neppure che il prossimo festival di San Remo si svolgesse nello stabilimento di Pomigliano, con la Camusso a presentare la kermesse e Marchionne a fare il direttore artistico. Per la Fiat farebbero questo ed altro. Del resto è comprensibile : la nostra economia è fatta di piccole e medie imprese. Le grandi industrie, come quella torinese, si contano sulle dita di una mano. E allora la vicenda complicata di queste settimane non può non guadagnarsi le prime pagine dei giornali per la sua posta in gioco, che è più alta di quanto si pensi. Il braccio di ferro tra Sergio Marchionne e la Fiom, l’ala oltranzista del sindacato rosso, ha, infatti, un significato che va ben oltre il destino delle migliaia di operai che lavorano alla catena di montaggio di Mirafiori. E’ la contrapposizione tra due mondi che si danno il cambio, proprio come avviene con i turni di una fabbrica. Ma con una differenza : chi lascia il posto, lo fa per sempre. A lasciare è la Fiom, il microcosmo di una realtà dissoltasi nella dura competizione del mercato globale, dove Landini e soci appaiono come i protagonisti di “Ritorno al futuro” : la loro immagine si sbiadisce con l’avanzare della modernità. I resistenti giudicano Marchionne alla stregua di un ricattatore, di un padrone che si preoccupa solo del profitto della sua azienda e che non ha a cuore la sorte dei suoi sudditi. Anche nel linguaggio la Fiom cede ai clichè degli anni ’70, quando il datore di lavoro era considerato un nemico da contrastare con ogni mezzo. Ieri sui muri di Torino sono apparse delle scritte inquietanti. Messaggi che ci riportano indietro nel tempo, ad una stagione infausta, dominata dal delirio collettivo di chi non aveva compreso le ragioni del capitalismo e del suo inevitabile progredire. Oggi Mirafiori è di fronte ad un bivio : sopravvivere, competendo nella giungla della globalizzazione, o scivolare nel fallimento per colpa di chi si ostina a rivendicare diritti non più difendibili.

 

6 pensieri su “Mirafiori caput mundi

  1. Non se ne può più! Questi commenti alla vicenda di Mirafiori sono davvero insopportabili. Da settimane sono tornati per l’ennesima volta all’attacco quelli che per due decenni ci hanno raccontato frottole. Esattamente gli stessi che sostenevano la necessità di cambiare il sistema pensionistico per garantire la pensione ai giovani, che bisognava fare le privatizzazioni per aumentare la qualità e diminuire il costo dei servizi, che dovavamo dimenticare il posto fisso per rendere più competitivo il Paese e che “flessibilità” non significava affatto “precarietà”, che il mercato era in grado di regolarsi da solo e che la finanziarizzazione dell’econimia mondiale avrebbe portato solo benessere e ricchezza. Praticamente non ne hanno azzeccata una!
    Ora la Fiom starebbe difendendo diritti “indifendibili”, come 10 minuti in più di pausa su otto ore di lavoro alla catena di montaggio o la possibilità di scioperare e quella di fare lo straordinario per scelta e non per forza. Mentono sapendo di mentire quando dicono che avviene così in tutto il mondo. In realtà i paesi che hanno fatto altre politiche in questi anni ora stanno facendo scelte opposte, investendo proprio nel reddito dei lavoratori e nei loro diritti per uscire dalla crisi. Ma questo è davvero un paese strano, dove uno che guadagna mille volte più di un operaio può permettersi impunemente di dettare regole inaccettabili e di ricattare, nel vero senso della parola, chi vive con poco più di mille euro al mese. Forse è davvero ora di immaginare una vera alternativa!

  2. Mi permetto di ricordarle che in altri Paesi, ad esempio in Germania, con il “ricatto” della delocalizzazione, le grandi industrie hanno ridimensionato il potere negoziale dei sindacati. Negli Usa ( non solo in Polonia o in Serbia) stanno incrociando le dita perchè al referendum vincano i “No”. Lì sono disposti a lavorare alle condizioni del “padrone” Marchionne, senza tante recriminazioni.

    AC

  3. Mi auguro che i sindacalisti vadano finalmente a lavorare, come i lavoratori che pretendono di rappresentare. Mi auguro che il sindacato, colpevole dello sfascio in cui versa questo paese, scompaia. Mi auguro che la massificazione prodotta dalle potiche sindacali, la mancanza di meritocrazia nel pubblico e nel privato, la mortificazione della capacità dei singoli scompaiano con il sindacato. Mi auguro che finalmente chi lavori di più, chi sia più capace, guadagni di più e chi non lavori o non sia capace, guadagni di meno. Mi auguro che la rovina prodotta dalla peggiore ideologia della sinistra, rappresentata dal sindacato, che ha promosso solo la mediocrità, la clientela, la corruzione politica, i lavativi, gli scansafatiche, cessi finalmente. Ma queste sono solo speranze e illusioni. Il sindacato occupa il potere e nemmeno la Fiat riuscirà a cacciarlo via. A calci nel sedere, come merita. In questo paese, checchè se ne dica da parte dei radical-chic e dall’aristocrazia e oligarchia di sinistra, il potere non è del governo o della maggioranza o della destra, ma di quelle lobbies di potere che da sessanta anni dominano la vita della nazione: giornalisti politicamente corretti, alta borghesia ( rigorosamente di sinistra), sindacalisti, massoneria, banche ( con il cuore ancora a sinistra, vedi MPS), magistratura, ecc.ecc. Nessuna libera elezione ci ha consnetito finora di cacciare dal potere reale queste cosche, che avvelenano la vita del paese, e ne impediscono qualsiasi riforma, che ne diminuirebbe i privilegi. Questa è pura verità, anime belle, e non quella che vi raccontate nei vostri salotti, con le sciarpe di cachemire, o sulle prime pagine degli aristocratici giornali in vostra mano.

  4. Mi scusi, ma non è affatto così. La prego di dare un’occhiata agli ultimi accordi fatti in Germania nel settore auto e non solo.

  5. Si legga l’editoriale ” La svolta tedesca che manca”, a firma di Roger Abravanel, sul Corriere della sera di ieri, 12 gennaio.

    AC

  6. L’accordo di Mirafiori e’ solo uno delle migliaia di capoversi del lungo libro demenziale che non solo non risolvera’ i problemi della Fiat o dei suoi lavoratori, ma neppure salvera’ l’ex Belpaese da una catastrofe annunciata ed ormai visibile ad occhio nudo. Tanto evidente che nessuno da noi associa il problemi dell’economia globale a quelli dell’economia nazionale e ripensa al nostro sistema industriale e produttivo tenendo conto dell’innovazione e della ricerca. I prossimi anni non si giocheranno sul comparto automobilistico o su quello metalmeccanico in generale, destinati presto a ‘trasferirsi’ in Cina, India, Sudamerica o in qualche regione dell’ex Est Europa.

    Marchionne ha fatto il suo lavoro. Il manager di formazione canadese rappresenta gli interessi degli azionisti. La sua volonta’ di ottenere il maggior vantaggio per la famiglia Agnelli e per gli altri soci e’ parte intrinseca dei motivi per i quali riceve un lauto stipendio. Forse e’ l’unico incolpevole in questa faccenda.

    Diverso e’ il giudizio che deve essere espresso per i sindacati. Uil e soprattutto Cisl ormai da tempo sono diventate delle organizzazioni misteriose, non vanno dimenticate, nemmeno, le responsabilita’ della Cgil. Il processo di smantellamento del ‘vecchio’ mondo del lavoro nazionale e’ in corso da anni, non e’ stato Marchionne ad inventarlo. I contratti precari, lo sfruttamento intensivo, gli stipendi minimi, le collusioni tra sindacati e vertici delle aziende per ‘proteggere’ i propri iscritti (a scapito dei lavoratori ‘semplici’) o per favorire le carriere di alcuni sono norma in Italia. La separazione tra ‘sindacalisti’, ‘lavoratori’ e ‘cittadini’, inoltre, e’ ormai profonda, tanto che si e’ arrivati a coniare un termine apposito per definire la differenza persino di linguaggio tra i ‘funzionari di apparato’ ed i ‘poveri cristi’, lanciando la parola ‘sindacalese’.

    L’intesa Fiat, insomma, non e’ solo la Caporetto del sindacalismo e dei progressisti italiani, ma peggio la vittoria dei piu’ stolti. Di quelli che in nome del ‘pragmatismo’ non riescono a guardare al di la’ del proprio naso e si illudono di poter mantenere in vita un sistema ‘espansivo’ che sta cedendo senza trovare alcuna valida alternativa.

    Domani dovrebbe essere un altro giorno, ma il rischio che non lo sia e’ alto. Fino a quando saranno gli ignoranti a decidere.

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