Nuove dipendenze: il gioco

 Benny Limone

C’è il tipo che saltella felice perché si è appena aggiudicato quattromila euro al mese per venti anni, quell’altro che è diventato milionario giocando online e chi invece si accontenta di vincere poco ma con la stessa facilità con cui si centra un bersaglio enorme da pochi centimetri. Cambia la formula ma non la sostanza: Win for Life, Superenalotto, Gratta & Vinci, benvenuti nel gioco legalizzato, l’illusione di cambiare la propria vita in un attimo, con la complicità di una pubblicità ingannevole che attecchisce soprattutto tra i più deboli, sotto la rassicurante egida dei Monopoli di Stato. Ma non è tutto; iscriversi a un sito di scommesse è un’operazione elementare, anche per chi non è un genio dell’informatica: pochi click, una carta di credito e dopo qualche minuto si è proiettati nel mondo dell’azzardo: non più soltanto gli eventi sportivi e il poker ma anche la scopa e la briscola. Si parte con una serie infinita di promozioni e bonus che hanno lo scopo preciso di accalappiare il cliente, abituarlo al gioco e fidelizzarlo ma il problema è uscirne, perché a dispetto di tanta solerzia iniziale, chiudere un conto può richiedere anche vari mesi e, se versarci dei soldi è sempre possibile, non è permesso ritirarli prima di averli giocati. Il che equivale a dire che chi deposita mille euro e ne perde cento, non può tirarsi indietro e riprendersi i novecento restanti, perché si prelevano soltanto le vincite, eventuali e molto rare, a dispetto degli spot che ce le fanno sembrare quasi scontate. E’ evidente come tutto ciò alimenti un circuito vizioso in cui, cercando di recuperare, probabilmente si finirà per perdere tutto. L’immagine idilliaca che ci presentano i media non è assolutamente rispondente al vero, perché, a fronte di pochissimi fortunati, sono sempre di più le persone che si rovinano con il gioco, cadendo in forme di dipendenza più o meno gravi che arrivano a compromettere seriamente la sfera finanziaria, relazionale e lavorativa, nonché l’equilibrio psicologico del soggetto interessato, fino a sfociare, in alcuni casi, in sindromi depressive e suicidio. E’ oltretutto un problema che riguarda, in modo trasversale, tutte le classi sociali, dal povero pensionato in cerca di fortuna alle casalinghe frustrate dai conti che non tornano ma anche ragazzini che, grazie alle nuove tecnologie, riescono facilmente ad aggirare il divieto per i minorenni e contribuiscono a far abbassare drasticamente l’età media del giocatore patologico. La problematicità del “gambling” è poco conosciuta, sicuramente per il fatto di avere un’apparenza innocua, socialmente ben accettata e con profonde tradizioni popolari ma, quando il piacere del gioco, per una serie complessa e profonda di cause, diventa un impulso incontrollabile, gli effetti possono essere devastanti e bisogna intervenire. Ma come colmare il vuoto a cui, attualmente, si trova di fronte chi decide di affrontare seriamente il problema? Un intervento valido dovrebbe analizzare il fenomeno in tutte le sue sfaccettature, con l’ausilio di psicologi, sociologi, psichiatri e commercialisti, giungendo quindi ad elaborare una forma di aiuto che si snodi lungo due direttrici principali: da un lato una struttura di sostegno che, partendo da un’analisi del territorio e da un censimento dei giocatori compulsivi, li segua in tutto il percorso riabilitativo: analisi del debito, sostegno finanziario iniziale (grazie a convenzioni e accordi con istituti di credito), supporto psicologico e psichiatrico, consulenza legale; dall’altro progetti di legge volti a sopperire all’attuale carenza normativa e a risolvere il paradosso di uno Stato che, promuovendo e incentivando l’azzardo in tutte le sue forme, finisce per diventare il primo responsabile delle diverse patologie causate dall’abuso del gioco.