Sassano: “Deportati, l’inferno, cibo, carne umana”

  Michele D’Alessio

Giovedì mattina (9 dicembre) nel teatro Augusteo di Salerno, il Prefetto di Salerno il Dott. Sabatino Marchione, ha consegnato a parenti e reduci ancora in vita la Medaglia D’Oro del Presidente della Repubblica. La cerimonia si è svolta, in un’atmosfera commovente ed emozionante tra ricordi e reminiscenze atroci dei deportati nei Lager nazisti, ma non sono mancate nemmeno le critiche ed i rancori ed è emblematica l’espressione Letteraria di Vincenzo Pezzato  93 anni di Vibonati “ Dopo 65 anni, qualcuno si ricorda di noi e di ciò che abbiamo vissuto, abbiamo visto morire migliaia di compagni, torturati e massacrati…”. Tra i 22 Riconoscimenti, c’erano anche tre del Vallo di Diano, Angelo Bruno di Sant’Arsenio, Giuseppe  Di Pierri di Montesano  e  Ottavio  Ferro di  Sassano, purtroppo tutti e tre scomparsi da diverso Tempo; a ritirare le medaglie al loro posto sono stati i loro figli accompagnati dai  Sindaci o delegati del loro Comune di Provenienza. Toccare e parlare di questi argomenti e storie è sempre molto delicato e non sempre è facile per chi li ha vissuti, ma per non dimenticare chi ci ha regalato la libertà e l’indipendenza  in cui viviamo, ci siamo promessi di raccontare o almeno di dare un breve ricordo di questi uomini, anche se, attraverso, le  narrazioni e i ricordi  dei figli. Iniziando da Ottavio Ferro di Sassano. A riceverci a casa, anzi sull’ ingresso di casa, anche se fa un freddo da brividi e da ribrezzo (il cielo si sta già preparando al primo anticipo di neve) ma  questi, non sono niente rispetto a quelli che verranno più avanti. Ad accogliermi cortesemente è direttamente Domenico Ferro, figlio di Ottavio, maresciallo in servizio dell’esercito; ci accomodiamo in salotto, sulle pareti si scorgono innumerevoli foto e riconoscimenti del ministero della Difesa e della Repubblica Italiana; oltre a suoi personali ricordi, anche i meriti al Valore militare di suo padre Ottavio. Dopo le solite chiacchiere di rito, inizia a parlarmi di suo padre ma con questa premessa “…mi avrebbe fatto piacere, che sia il riconoscimento del prefetto, fosse stato fatto direttamente a mio padre, e che qua ci fosse stato Lui al mio posto, il merito di questo è tutto suo, e Lui che ha sacrificato i migliori anni della sua giovinezza, della sua vita  in guerra (nove anni), per il suo paese… mi dispiace solo  che questi riconoscimenti sono avvenuti dopo sedici anni dalla sua morte  (1994) …ma è solo una consolazione morale…”  E’ visibilmente commosso, e non lo nasconde,  poi si scioglie ed apre il suo “animus confidendi” iniziando a parlami di suo padre “…Mio padre è nato a Sassano il 16 Settembre del 1916, nel bel  mezzo della prima guerra mondiale, è sempre vissuto qua a Sassano, con tutta la sua famiglia, anche dopo il congedo militare dalle Armi, avvenuto nel 1945. Prima di essere arruolato nell’esercito, come quasi tutti i giovani dell’epoca,  faceva il contadino e aiutava nell’azienda di famiglia; quando capitava si faceva qualche giornata di lavoro, come operaio o per il Consorzio di Bonifica del fiume Tanagro: erano tempi difficoltosi, per qualche lira si faceva di tutto,  per sè  e la propria famiglia. Poi, nel 1936, a 20 anni, appena compiuti, fu chiamato alle armi; dopo un breve periodo di addestramento, fu inviato in Africa, per le guerre Coloniali dell’Africa Orientale (dal 9 maggio 1936, Unione di Eritrea, Abissinia e Somalia Italiana) dove combattè per quattro anni fino al 1940, fece sei campagne di guerra, per questo gli sono state riconosciute tre croci al merito; anche  in questi anni, ne ha visto di atrocità e di vittime, anche innocenti, ma non erano niente rispetto a quello che succedeva nelle colonie Africane a dominio Tedesco. Nel 1940, tornato in Italia, dopo un congedo breve, di pochi mesi, fu richiamato alle armi, prima per l’addestramento delle giovani leve appena arruolate, poi fu mandato in prima linea, sul fronte dei Balcani, per due anni ha combattuto in Grecia, Albania e nell’ ex Iugoslavia (attuale Croazia) fino all’Otto Febbraio del 1943.  Il giorno in cui fu fatto prigioniero dai Tedeschi, gli fu chiesto di collaborare con i Tedeschi, ma Lui come tanti altri Italiani si rifiutarono, per questo fu deportato e internato nel campo di concentramento nazionalsocialista di Gross-Rosen  situato presso l’omonima città di Gross-Rosen (oggi Rogoźnica in Polonia) in Bassa Slesia. Per due anni rimase lì, fino alla liberazione dell’accampamento avvenuto  il 14 febbraio, 1945, dall’ Esercito rosso (Armata n.52 Sovietica). Dai  racconti di mio padre , furono due anni di vero inferno, lavorò nelle miniere di carbone o nelle cave  di pietra. Venivano picchiati, umiliati e offesi nella loro dignità. Ogni sera, a fine giornata venivano pesati, e chi era meno di 40 chili veniva bruciato vivo, ritenuto non idoneo; per questo e per la sopravvivenza si mangia di tutto, a volte anche carne umana. Le atrocità erano mostruose. I detenuti dei lager subivano maltrattamenti perversi, la fatica del lavoro forzato che li portava alla morte, la fame, tutte le atrocità che conosciamo anche attraverso testimonianze di persone che hanno vissuto quei momenti, ci continuano a toccare profondamente in un dolore sempre nuovo, portarono alla morte migliaia di donne e uomini attraverso terribili tormenti. Gross-Rosen è famoso per il brutale trattamento riservato ai prigionieri, principalmente resistenti alle forze tedesche catturati e deportati senza processo e senza che nessuno, neppure i parenti più stretti, sapesse nulla circa il loro destino (e per questo scomparsi nella «notte e nella nebbia»). La maggior parte della popolazione del campo era comunque formata da ebrei. La popolazione ebrea del campo proveniva principalmente dalla Polonia e dall’Ungheria ma non mancarono internati da Belgio, Francia, Grecia, Jugoslavia, Slovacchia ed Italia. Pensate in due anni ci furono circa 125.000 deportati, e si stima che di questi circa 40.000 morti per il lavoro o durante le marce forzate di evacuazione, fino alla liberazione del campo (14 febbraio 1945). Libero, mio padre tornò a piede fino al confine italiano, dopo tre mesi di marcia (Maggio 1945) e dopo pochi mesi si congedò definitivamente” Appena passata un po’di emozione chiediamo al Maresciallo  se per questi anni di guerra, prigionia e internamento al padre  gli è stato riconosciuto qualche cosa, sia morale che economica “ ..A parte la medaglia personale di bronzo di ieri, da parte del presidente della Repubblica, con inciso > Medaglia d’onore ai cittadini Italiani deportati e internati nei lager nazisti  1943/1945 > non gli è stato mai riconosciuto niente altro, neanche dalle Istituzioni Locali; dal lato economico bisogna dire che anche qui ci sono state  grandi  beffe, oltre alle sofferenze, chi è stato prigioniere dei Tedeschi non  ha mai percepito soldi, perché la Germania pur sconfitta, non ha mai pagato  e riconosciuto i suoi crimini di Guerra, al contrario della Gran Bretagna. Posso aggiungere che i riconoscimenti, vengono dati non solo dopo anni, ma anche solo dietro richiesta ufficiale alla Repubblica. Anche se questo ha solo valore morale…e per mio padre e per chi ha vissuto quell’inferno contano ben poco”. C’è da chiedersi cosa fa e ha fatto l’Italia? Ci sono ancora tanti italiani  che hanno consumato anni di vita  o perso la vita, senza alcuna onorificenza a “…questi uomini che sono l’orgoglio di questo Paese” come li definisce il Prefetto Marchione.