La Napoli che Eduardo non ha conosciuto

Angelo Cennamo

Lunedì sera, rai uno, in uno sprazzo di rarissimo impegno divulgativo della cultura nazionale, ha mandato in onda “Filumena Marturano”, la commedia che più di ogni altra ha reso celebre Eduardo in tutto il mondo. La versione televisiva, riadattata all’occorrenza in lingua italiana, ha consentito a milioni di persone, e speriamo tra queste anche tanti giovanissimi, di avvicinarsi al mondo del teatro attraverso uno dei suoi più grandi capolavori. Da napoletano disincantato, ma impenitente, non mi sono fatto sfuggire l’evento che, per almeno un paio d’ore, è servito a riconciliarmi con quel luogo straordinario e con la sua parte migliore : l’arte del palcoscenico. Era da poco terminato il telegiornale con il suo immancabile servizio sui rifiuti. A Riviera di Chiaia, la strada che aveva conosciuto le “gesta” di Domenico Soriano, l’amante distratto e poi marito di Filumena, c’era un militare che spalava i sacchetti della monnezza, ammassati lungo i marciapiedi, tra le auto in sosta. Lo spettacolo avvilente mal si conciliava con quanto sarebbe andato in onda di lì a poco. Dalla monnezza a Eduardo il passo non è breve. Ma poi la recitazione superba di Massimo Ranieri e di Mariangela Melato ha di colpo cancellato lo scenario infernale della città moderna, e scaraventato i telespettatori nello spazio magico dell’emozionalità, a scrutare gli abissi dei sentimenti umani che nessuno come Eduardo ha saputo esplorare e raccontare. Quella Napoli, la Napoli dei presepi, dei figli che non si pagano, delle nottate c’hanna passa’, ahimè, è morta per sempre. La Napoli di oggi è una metropoli confusa che ha perso il senso del decoro e l’orgoglio di sè. Una cartolina sbiadita agitata sotto gli occhi dei turisti che varcano l’ingresso del Gambrinus o che si affollano al molo Beverello per raggiungere le isole del golfo. Eduardo non l’ha vista, il Padreterno non ha voluto fargli questo torto. Fosse nato oggi, il maestro avrebbe probabilmente ingrossato le fila dei cabarettisti del Tam, sognando il palcoscenico di Zelig o i cinepanettoni di De Sica. La tv lo avrebbe forse reclutato per rinfocolare la satira antiberlusconiana delle Dandini e delle Guzzanti, o, peggio, per raccontare barzellette sulla monnezza di quella Napoli che non ha mai conosciuto. Beato lui.