Cinque buoni motivi per far studiare all’estero il proprio figlio

Giovanna Rezzoagli

Negli ultimi anni si è affermata la dicitura “Fuga di cervelli all’estero”. Chi ne argomenta è solito rilevare l’ambivalenza della questione: una perdita per l’Italia, che vede impoverirsi il proprio patrimonio culturale, spesso un vantaggio per il singolo, che vede aprirsi porte troppe volte precluse a priori nel nostro Paese. La questione è serissima e riguarda ciascuno di noi, sia esso genitore o meno. la riforma dell’Università riporta prepotentemente la questione alla ribalta: che si approvi o meno l’operato del Ministro Gelmini, chi si appresta ad iniziare un corso di laurea non sa cosa aspettarsi. Però è davanti agli occhi di chi vuol vedere il profondo degrado della cultura italiana. Giovani che non sanno parlare la loro madrelingua, giovani che intraprendono un corso di studi e poi vivacchiano fuori corso per anni, studenti che peregrinano tra un corso e l’altro prima di buttare tutto alle ortiche. Un esempio per tutti? Questa mattina alla trasmissione radiofonica “Radio anch’io” di Rai Radiouno interviene nel dibattito in corso tra il conduttore ed il Ministro Gelmini una ricercatrice dell’Università di Palermo, la giovane presenta le proprie argomentazioni e costella il discorso di “ A me mi”, passiamo l’emozione, passiamo la concitazione dell’attimo, ma il dubbio resta: come si giunge a ricoprire un ruolo di prestigio non sapendo comunicare in italiano corretto? Italico mistero, primo ed ottimo motivo per cominciare a valutare gli studi all’estero. Ed ecco il famoso nodo della meritocrazia. In verità, in un Paese ove non si boccia quasi più nessuno alle scuole primarie e secondarie, il dubbio diventa amletico: essere tutti bravissimi a scuola o essere molto più comodo far finta che tutti siano “omogeneamente” preparati? Con buona pace di Shakespeare, personalmente il dubbio non lo ho più: opzione due, sempre. Alle superiori, la situazione sembra ragionevolmente diversa. In ogni caso, viva l’appiattimento verso il basso: ecco il secondo buon motivo per studiare fuori dal nostro protettivo Paese, dove credendo di aiutare i ragazzi con la politica del “nessuno escluso”, si finisce con l’illuderne tanti e deluderne molti. Terzo ottimo, spinosissimo, motivo per valutare di far fuggire all’estero il proprio figlio è il nepotismo imperante. Essere figli di qualcuno che conta (cosa come e perché non è rilevante)… conta sempre più. Ma come, si può accettare che un Docente o un Medico o un Politico abbia un figlio operaio? Disonore. Peccato che la genetica insegni che non è scontato il trasferimento delle doti intellettive da genitori a figli, sempre partendo dal presupposto, tutt’altro che scontato, che i genitori “arrivati” siano poi così intellettualmente dotati. In Italia, chissà come mai, si notano vere e proprie dinastie di professionisti, politici, tuttologi,… come dire il paradiso del povero Mendel. Quarto motivo? Semplice: all’estero le Università offrono corsi forse meno fantasiosi che da noi (storico quello di “Scienze equine” a Parma), ma in compenso hanno molti più Docenti che insegnano con l’umiltà di non essere seduti sulla vetta del sapere e che dopo di loro sia pure il diluvio. Quinto motivo: all’estero le ammissioni ai corsi a numero chiuso contemplano, sul serio, il curriculum scolastico del candidato. Non basta la telefonata del mafioso di turno a far ammettere la testa di legno di turno. Ovviamente non è detto che siano tutte rose e fiori, ma le italiche spine graffiano a sangue l’onestà e l’impegno di tanti giovani figli di gente normale, il cui obiettivo nella vita è conseguire risultati e non avere più “amicizie” possibili su Facebook. Cinque buoni motivi per sognare Cambridge, per sognare un futuro vero, dolorosamente lontano dal proprio Paese, ma la vita è una, ogni genitore degno di questo nome non può far altro che sperarla piena e ricca di soddisfazioni per il proprio figlio. Costi quello che costi, in tutti i sensi.

13 pensieri su “Cinque buoni motivi per far studiare all’estero il proprio figlio

  1. Cara Giovanna,quando un corpo è sofferente, ogni sua parte lo è e lo è in maggior misura laddove tutto è stato volutamente più trascurato, dove lo Stato non fa sentire la sua presenza, dove non c’è controllo delle spese e dei risultati, un Paese dove si agisce in base a considerazioni di tipo calcistico: un’Italia di serie A e quella di serie B, persone di classe A e quelle di Classe B, e in base a questi parametri si giudicano persone, finanziamenti , risultati, povertà e ricchezza, degni e indegni,bravi e incapaci, meritevoli e immeritevoli e via di questo passo.Chiaramente non si deve giudicare poi CHI stabilisce tali categorie e i relativi criteri di giudizio.In un Paese siffatto,dove osservare e fare osservare le regole è un fastidioso compito, dove la disorganizzazione regna sovrana,in un Paese dove il principale obiettivo è azzerare l’intellligenza e obnubilare la mente, la scuola è la prima istituzione da demolire o al più esser fatta solo per i ricchi; in un Paese dove il Primo Ministro ritiene che i giovani che scendono in piazza a protestare pacificamente per i propri diritti e che s’interessano di poltica, meglio farebbero a pensare alle donne, perchè questo faceva lui alla loro età ( e poi non ha più smesso, tanto che più si allunga la sua età, più si accorcia quella delle donne oggetto dei suoi pensieri),senza rendersi conto di offendere sia i giovani che le donne; in un Paese dove gli altoparlanti televisivi alla Fede incitano la Polizia a MENARLi tutti;In un Paese dove non c’è la minima consapevolezza e il minimo rispetto per lo strardinario tesoro culturale di cui disponiamo ; in un Paese dove TUTTO E’ MESSO ALL’ASTA come in una immensa sguaiata televendita beh, in un Paese con una classe dirigente di una così “elevata statura” cosa ci si può aspettare? NULLA! E’ chiaro che chi può, pensa di andar via perchè quì non si pensa al FUTURO ,perchè non si ha un progetto di futuro e non si opera per costruirselo se non si investe e non si ascoltano i giovani.Da un Paese senza un orizzonte ideale, che al massimo può essere considerato solo il paese dei balocchi, dei mangiafuochi, degli asini parlanti, del gatto e la volpe, del divertimento sfrenato e disordinato,dei burattini e dei burattinai,delle tenute e delle tenutarie , dei complotti, dei compromessi e degli inciuci, sì insomma quello dove regna un gran casino o un gran casinò, è legittimo pensare di andar via prima di perdere anche la propria dignità insieme ai propri diritti!
    Ma soprattutto per la VERGOGNA ormai insopportabile di essere cittadino di questo Paese.Con cordialità.

  2. Cara Civetta, è vero che i politici, senza guardare lo schieramento di appartenenza, ci dovrebbero rappresentare. Io non mi sento rappresentata in nulla da nessuno. Sia ben chiaro che non sono una persona anarchica, ma siccome credo che nella vita si debba essere necessariamente onesti, capaci di scusarsi se si sbaglia, che ci si debba guadagnare quello che si è e quello che si ha se non altro per rispetto di chi non ha niente, comprenderà che non ritrovo i miei valori in nessuno, sottolineo nessuno, di chi al momento siede alla Camera ed al Senato. Siccome la classe politica nasce dalla società, secondo me, il marcio prima di tutto alberga in essa. Marcio che si trova nella piccola realtà quotidiana come nel grande contesto che ci riunisce. Vuole sapere quale sia il vero motivo per il quale farò tutti gli sforzi possibili per assicurare a mio figlio studi fuori dall’Italia? In Italia non c’è spazio per chi vuole fare. Se studi o ti dedichi con passione al tuo lavoro, sei scemo. Se vivi sul groppone dei tuoi a 30 anni e non vai a lavorare perchè trovi solo lavori manuali, poverino sei un incompreso perchè non trovi lavoro adatto ai tuoi studi. Ma ci si vuole rendere conto che senza rimboccarsi le maniche non si va da nessuna parte o no? Il problema non è solo politico, è sociale. A 14 anni o studi con profitto o vai a lavorare. Il malcostume della raccomandazione e del nepotismo umilia l’Italia e danneggia tutti: chi di noi si farebbe operare da un medico che ha passato il test di ammissione e/o ha conseguito la laurea grazie alla classica spinta? A parole nessuno, in realtà lo sappiamo tutti come vanno le cose. Io ho in famiglia l’esempio lampante di cosa significhi cercare di emergere senza spinte: mio marito è uno scienziato con ottanta pubblicazioni scientifiche, è uno dei massimi studiosi mondiali della “Teoria scalare della diffrazione”.E’ una “celebrità” in Giappone, in Gran Bretagna, negli U.S.A. In Italia, pur avendo regolarmente vinto un concorso per ricoprire il ruolo di Professore Associato, non ha mai avuto la cattedra. Perchè? Semplice: il concorso era indetto per altra persona. La cattedra è rimasta vacante, la persona che doveva vincere ha superato, combinazione, altro concorso poco dopo e tutti vissero felici e contenti. All’epoca dei fatti altra era la classe politica al governo, i mali, il marcio, è sempre lo stesso. Lo vedo anche nella mia professione, quasi ogni giorno mi trovo costretta a spiegare in cosa consiste, e tutto perchè non ho la magica parolina (Dottoressa)davanti al mio titolo. Lo specifico sempre che non sono laureata, che il mio lavoro lo svolge chi ha conquistato un apposito dipoloma, ancora col sudore della fronte non essendo un diploma MIUR. Io non sono laureata e sto bene così. Non cambia la realtà di ciò che sono, ma purtroppo cambia la mia immagine agli occhi di chi “vede” l’apparenza. Per mio figlio voglio un futuro migliore, senza l’amarezza vissuta da suo padre nel vedersi scavalcare da chi ha cognomi altisonanti, senza la rabbia di sua madre nel vedere emeriti incompetenti giudicare la vita altrui in base al titolo che hanno, senza essere nulla a livello di Persona. No, cara Civetta, non è questo il Paese che voglio veda il futuro di mio figlio: noi genitori non abbiamo avuto alternative, lui, come tutti i ragazzi che vogliono essere e non apparire, meritano molto di più.
    Giovanna Rezzoagli

  3. Gentile Counselor, come darle torto? Il suo è uno scritto critico e fin troppo tollerante di una scuola incapace e governata da incapaci che si preoccupano da sempre dei crocifissi in aula, delle grottesche assemblee d’Istituto nate con con un ’68 che da noi si sta ancora trascinando mentre in Francia è ormai Storia. Sì, di fronte a un figlio di valore (quello che dice la scuola è a volte relativo) meglio una vita di sacrifici, ma che il suo valore venga riconosciuto e premiato. Qui in Italia occorre innanzitutto distruggere una “cultura” dura a morire. La Storia della Scuola dalla Legge Casati ad oggi lascia poche speranze. Si diventa “professori” per dinastia, non perché lasci una traccia del sapere. Molti nostri giovani l’hanno capito. Sono io a non capire perché, in fin dei conti, la nostalgia di questo paese di banane rimane sempre.
    Con stima, un caro saluto
    Lucia

  4. Gentile Lucia, tengo a precisare che ogni tanto appendo al chiodo “l’abito professionale” e mi esprimo da madre e da donna, ben più che da counselor. Il mio scritto, credo, esprima una buona dose di rabbia. Io del mondo della scuola conosco relativamente poco: conosco la vita del Docente tipo, ne ho sposato uno che non si faceva corrompere, diciamo pane al pane e vino al vino, e più di una volta mi sono trovata l’auto (la mia!!!) rigata,persino con una croce sul cofano… sono madre di un ragazzo che ora, grazie al cielo, è al liceo. Grazie al cielo perchè alle medie era un incubo: madre “iperprotettiva” (come usa affermare qualche pedagogista forse poco avvezzo a frequentare gli ingressi delle scuole)ho accompagnato e recuperato mio figlio ogni giorno, beccandomi spintoni, spettacoli di ogni genere, sputi, insulti, persino tra due che si picchiavano sono (mal)capitata…
    Notare bene che in questa scuola, su oltre 250 alunni,solo due respinti, di cui uno sedicenne che non andava quasi mai a scuola, se non per denigrare chi ci andava. Sono queste le basi di una società? Poveri noi, ma poveri per davvero. Non credo che situazioni simili siano isolate, il guaio è che si comincia pericolosamente a trovarle normali. Di una cosa mi reputo certa: o cambia qualcosa, o finirà male. Certo che il cambiamento, care Civetta e Lucia, deve partire anche da noi. Io quando finii in mezzo alla rissa chiamai i carabinieri, e dopo pochi giorni mi sono trovata l’auto decorata, non con una croce ma con un’elegantissima spirale…

  5. Cara Civetta e cara Giovanna, ricordo che ,un tempo ben lontano, un illustre personaggio italiano residente in America mi diceva che le nostre università, pur avendo studenti volenterosi, non avevano quell’abbondanza di materie prime per per far svolgere agli studenti medesimi tutte le prove pratiche onde poter bene imparare , e con profitto, le nozioni teoriche, e, quindi uscire dall’università a pieno titolo e con esperienza lavorativa acquisita nella stessa università.
    Oggi, pero, non si può neppure dire che nelle elementari, nelle medie e nelle superiori si possa essere competitivi rispetto ad alcuni paesi.Ricordo che quando frequentavo la terza elementare ero in grado di svolgere moltiplicazioni a tre cifre senza l’aiuto di carta e penna; lo facevo a memoria. Oggi, invece. vi sono le calcolatrici che fanno illavoro per lo studente ,e , forse, tanti ragazzi non sanno bene la tabellina perchè sono abituati ad usare la calcolatrice. Si sa bene che la matematica è la madre di tutte le scienze. Senza la conoscenza di essa non si diventa un buon scienziato, chimico ingegniere e chi più ne sa ne metta. Allora direi che la colpa cade soprattutto dal modo di come s’insegnano le materie. Credo fermamente che senza pratica non si raggiunge mai il vero risultato. Occorre, secondo me, far lavorare la mente in un modo costruttivo ed allenarlo in tale senso. Oggi s’incontrano laureati che non conoscono bene neppure la lingua italiana. E allora, di chi è la colpa? Un abbraccio affettuoso

  6. Carissimo Alfredo, Lei gira il coltello nella piaga. Di chi la colpa? Nostra, solo nostra. Nostra che vogliamo scuole che insegnino anche ciò che è compito delle famiglie, nostra che vogliamo scuole che promuovano ad ogni costo. Nostra, che costruiamo oggi il futuro, nostra che non abbiamo il coraggio di provare a cambiare. Ricambio l’abbraccio con tanto affetto, caro Amico
    giovanna

  7. Leggo spesso i suoi scritti Dottoressa Ganci, questo mi pare diverso, più intenso. Per questo mi arrischio a commentare. Con lei non ho paura di essere trattata male se dico quello che penso. La scuola anche da noi non è proprio negativa, abbiamo buoni istituti. Ecco questo volevo dire, ma lei Dottoressa a ragione, scrive bene e dice cose giuste. E, mi scusi l’ardire, scrive cose bellissime. Lo scritto sull’amore per suo marito è stupendo. Cara, continui a farci sognare, per favore.

  8. Signora Valentina, grazie, grazie per queste bellissime parole. Soprattutto, grazie per non avere paura. Io sono sempre molto grata a chi mi commenta, rispondo sempre, trovo utilissime le critiche e balsamiche le parole buone. Se fanno bene a me, chi sono io per non ricambiare? Con viva gratitudine.
    giovanna rezzoagli

  9. Prendo ad esempio gli episodi che la Counselor Giovanna ci riferisce di una normale scuola media per esprimere una mia opinione. In mezzo a tanti docenti che vivacchiano alla meglio ci sono anche docenti seri e degni di stima. Insegnano bene e danno l’esempio per primi. Come si può però pretendere però di educare con la sola parola? In certi casi occorre uno strumento punitivo per educare altrimenti chi cresce nella scuola avrà l’impressione che anche la società non avrà strumenti per potersi difendere da che non sta alle regole della civile convivenza. Smettiamola con il clima sessantottino a tutti i livelli e forniamo ai docenti anche gli strumenti correttivi di potere allontanare dalla lezione e senza problemi chi, di fatto, interrrompe un pubblico servizio senza il rschio di finire sul giornale o, peggio di essere malmenato dai genitori. Lei Counselor lavora con la “parola”, ma in una comunità educante la parola talvolta è insufficiente per ottenere, nell’interesse di tutti, il rispetto delle regole di convivenza civile.
    Con i più cari saluti a lei e che estendo alla simpatica Civetta e al saggio Signor Alfredo Varriale.
    Lucia

  10. Gentile Signora Lucia, già ho scritto che in questo articolo non scrivo in veste di Counselor. Mi permetto di specificare che io lavoro più con la mia persona che con la parola, mi spiego meglio: io ascolto le persone, cerco di comprendere oltre le loro parole, cerco soprattutto di “ascoltare” il loro linguaggio non verbale e paraverbale, e di rispondere di conseguenza, sia con le parole ma soprattutto con il paraverbale ed il non verbale. Per quanto attiene alla convivenza civile, mi scusi ma credo che i fatti contino più di mille parole, anche se non si deve dimenticare che la parole è uno strumento potentissimo, ovvio che occorre saperla usare.
    un caro saluto
    Giovanna Rezzoagli

  11. Grazie, grazie mille dottoressa Lucia Russo per il Suo “saggio” che mi ha voluto dedicare, anche se non lo merito.
    Sono daccordissimo con Lei che nelle scule di oggi ci vorrebbe più disciplina e autorità da parte degl’insegnabti, ma per fare questo dovrebbe intervenire il governo per dargli tale possibilità. Non è giusto che gli inesegnanti debbano aver tanto timore dei genitori dei loro allunni solo perchè non sono protetti sufficientemente dalla legge vigente. Ladosciplina, secondo me, è una sorte di cultura che può durare per tutta la vita. Bisognerebbe, quindi, dare più autorevolezza a chi insegna il modo di vivere ai ragazzi, solo così potremmo avere una società più sana es equilibrata, oltre alla possibilità di ottenere migliori risultati anche bel profitto intellettivo dei nostri ragazzi.Un abbraccio sincero, dottoressa Lucia

  12. Gentile Counselor Rezzoagli, capisco, tra le righe, che i docenti dovrebbero essere meglio formati, però lei non mi sembra prendere atto che qualunque cosa faccia un allievo di scuola media, la scuola resta impotente e senza alcun mezzo. C’è la solita ramanzina in presidenza (così il docente finisce in pace la lezione) ma preannunciare provvedimenti disciplinari quando non è possibile metterli in atto, quando la scuola è priva di reali strumenti, questo rafforza nel “disagiato” di turno il concetto che in una comunità si può fare quello che si vuole, anche lanciare un banco contro un insegnante. L’insegnante, comunque la giri, di fatto ha sempre torto, sbagia sempree comunque. Allora vivacchia aspettando la pensione e spera di non incappare in grane. La presenza fissa di un Counselor o uno Psicologo potrebbe essere utile in una comunità così delicata? Ci sarebbero i fondi per ciò? Ho i miei dubbi: però la vedo brutta …
    Con la mia stima e i più cari saluti
    Lucia

  13. Caro Signor Alfredo,
    lei ha dimostrato nei suoi commenti un equilibrio ed una saggezza senza dei quali questo giornale, mi creda, varrebbe molto, ma molto meno. Ha perfettamente ragione a porre l’accento che è dallo stato centrale che dovrebbero arrivare direttive chiare e vincolanti per i Dirigenti scolastici ed i docenti. Sono loro a dovere dare l’esempio che in una comunità le regole vanno rispettate da tutti, ma non si può pretendere che un docente possa far rispettare le regole a chi non sa stare in un consesso civile. Il docente deve avere la possibilità di allontanare il disturbatore o i disturbatori, affidarli a personale preposto ad una disamina (e soluzione, quando possibile)dei motivi di disagio prima di essere riammessi. Spesso il “bullo” o “bulletto” è un ragazzino già non ascoltato in casa e pur di attirare su di se il bisogno dell’attenzione o considerazione arriva a combinarle tutte. Lo capisco. Capisco però anche che a scuola un docente deve fare lezione, comunicando sapere e non chiacchiere. COme vede dall’alto arrivano sempre chiacchiere e questo non induce all’ottimismo. Fortunato chi potrà mandare all’estero a studiare i propri figli che valgono.
    Ricambio il suo abbraccio, con tutta la mia stima.
    Lucia

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