Terremoto 1980: la grande paura!

Aldo Bianchini

Sono passati trent’anni da quel fatidico giorno del terremoto che portò lutti e devastazioni interessando tre regioni: Campania, Basilicata e Puglia. Ancora oggi si ignora il numero preciso delle vittime e dei feriti. Era una serata uggiosa, quella del 23 novembre 1980; calda, ma di un caldo strano quasi opprimente; balconi e finestre aperte; sugli schermi televisivi le immagini di Juventus-Fiorentina. Alle ore diciannove, trentaquattro minuti e venti secondi il tragico sussulto; poi soltanto morte, distruzione e paura. Paura per lo scampato pericolo, per un futuro incerto, per i soccorsi lenti e male organizzati, per uno Stato impreparato e poco attento alle segnalazioni che molti scienziati avevano, comunque, avanzato sull’eventualità di un violento terremoto proprio in quelle zone dove, in effetti, si verificò. L’esperienza del terremoto dell’agosto del 1962 non aveva insegnato niente a nessuno. Nel novembre ’80 erano i giorni del grande scandalo che aveva travolto la Guardia di Finanza e la politica; quella sera le rotative dei grandi quotidiani del Paese avevano già stampato i titoli a caratteri cubitali: “Terremoto politico. Fu necessario soltanto cancellare la parola “politico” per avere il titolo bello e pronto. Dai palazzi del potere, timorosi ed anche increduli, partì immediatamente un fiume di danaro pubblico: sessantamilamiliardi di lire che in poco tempo avrebbero dato la stura ad uno degli scandali più grossi e più inesplorati della prima repubblica. Si mossero Sandro Pertini e Giovanni Paolo II; il primo con un elicottero militare di colore bruno, il secondo con il tradizionale elicottero bianco. A Laviano scese quello del Presidente della Repubblica e fu subito contestazione, rapida, violenta e senza tentennamenti; solo la figura e la fermezza di Pertini fermarono quell’accenno di rivolta; poi Laviano, il paese più distrutto e più colpito in numero di morti, sprofondò nel baratro della discordia ed ancora oggi non è stata del tutto ricostruito. A Balvano, in provincia di Potenza, scese l’elicottero bianco del Papa; messe, riti religiosi, un fiume di danaro, assistenza e solidarietà; il nome di Balvano, dove era crollata anche la Chiesa Madre, valicò subito i confini nazionali ed ebbe risonanza mondiale; dopo pochi anni è stata completamente ricostruita. Completamente diverso il destino dei due sindaci (entrambi democristiani); Salvatore Torsiello di Laviano a causa delle pretestuose contestazioni fu inquisito ed arrestato la mattina del 19 luglio 1993 insieme ad altre sei persone per il reato, secondo l’accusa del pm Anita Mele, di associazione a delinquere, turbativa d’asta aggravata, falso materiale e ideologico; ma alla fine tutti assolti. Altra storia per Ezio Di Carlo di Balvano (papà della brava giornalista salernitana Simona), mai una contestazione, mai un’inchiesta, la ricostruzione presa ad esempio e presentata in America come in Giappone ed elevata a simbolo dell’Italia nel mondo. E dopo la scossa, dopo i soccorsi lenti, dopo la fase di emergenza arriva la politica con i suoi progetti faraonici, stadi immensi, cattedrali nel deserto, insediamenti industriali fasulli e soldi, sempre soldi. Alla fine dell’88 parte la Commissione Parlamentare d’inchiesta; a guidarla un personaggio eccezionale ed emblematico: Oscar Luigi Scalfaro; una relazione enorme, oltre trentamila pagine per raccontare gli sprechi, gli abusi, le prevaricazioni, gli atti di arroganza ma con una pecca: nessun accenno alle Cooperative Rosse che hanno gestito la maggior parte delle risorse pubbliche. Gli scandali veri pochi, molto pochi; i potenti sempre fuori al sicuro, al riparo anche dalle manette facili della tangentopoli; i duemilanovecento morti accertati sono, invece, tutti lì sotto un metro di terra a gridare ancora la loro sete di giustizia. Fortunatamente sulla scena del disastro arrivò quasi subito l’uomo giusto: Giuseppe Zamberletti, sottosegretario di stato, che aveva già guidato l’emergenza e la ricostruzione in Friuli dopo lo spaventoso terremoto di pochi anni prima. Assolutamente indipendente, Zamberletti fu contestato quasi da tutti ma riuscì davvero a rimettere insieme i cocci dello stato ed a ridare la speranza di un futuro migliore alle circa trecentomila persone senza casa. Dal nulla tirò fuori quella che è passata alla storia come la “Legge Zamberletti” (per lo Stato catalogata al n. 219/81) che accompagnò il medio e lungo periodo post-terremoto sia nella fase di emergenza che in quella della ricostruzione. Ma quello dell’Irpinia è stato anche il terremoto delle lungaggini e della dispersione di fondi, fino ad oggi, con gli insediamenti provvisori non ancora del tutto smantellati in diversi paesi del disastro. A L’Aquila è già cambiato qualcosa e almeno la fase di emergenza è stata gestita con maggiore velocità, professionalità e rigore. Anche nel nostro Paese, quindi, le esperienze drammatiche del passato valgono comunque qualcosa. Quei morti di Laviano e di tutta la zona terremotata forse cominciano a dare una giusta dimensione alle ragioni del loro eterno riposo.