Com’ e’ triste Venezia!

Michele Ingenito

 

Già, “come è triste Venezia, soltanto un anno dopo. Come è triste Venezia, se non si ama più!” Dove “Venezia” è l’Italia, gli anni sono due (da quando il Paese ha votato per l’attuale governo) e l’amore è finito (tra Berlusconi e Fini). Entrare nell’agone della disputa, della presa di parte tra questo e quello non serve. Agli italiani, almeno. I quali sono e restano le vittime di una classe dirigente che, unico caso al mondo nei paesi democratici, rischia di crollare quando è solida e unita nei numeri, nelle idee e nel programma. Cosa è successo di recente negli USA? Alle elezioni di metà novembre Obama le ha prese di santa ragione. Non come ci si aspettava, ma sempre botte sono state. Un preannuncio di una possibile mancata riconferma del suo mandato da qui a due anni.Non per questo i democratici sono stati scalzati dalla guida del paese. Hanno vinto due anni fa e governeranno, dovranno governare, per altri due, fino alla fine del mandato presidenziale. Assumendosi, come è giusto che sia, le relative responsabilità rispetto al programma promesso. Poi si vedrà. Perché è meglio un governo non da primo della classe, che un non-governo; o, peggio, un governicchio che eleganti burloni del linguaggio della politica quando vuole essere odiosa definiscono ‘tecnico’ (un modo come l’altro per fregare gli italiani); cioè un’infornata di pacchiane di varie contrade da sempre ostili tra loro, pur di far dispetto al ‘principe’. Un ‘principe’ che, detto tra noi, cadrà sempre in piedi. Vada come vada. Mentre gli italiani sprofonderebbero ancora di più nella melma di un’economia che continua a soffocare famiglie a medio e basso reddito per un euro a sua volta in crisi. Con quel mezzo sorriso sornione di chi la sa lunga, lo ha detto martedì sera chiaro chiaro, a “Ballarò”, Paolo Mieli, ex-direttore del “Corriere della Sera”. Centrosinistra di Bersani e destra di Fini a braccetto, con Di Pietro e Lombardo a ridosso, sarebbe un tradimento. Un non senso politico, ideale, culturale e storico, aggiungiamo noi, con il rischio di pagare un prezzo salatissimo nelle urne. Dopo le parole di Mieli Bocchino non ha fatto una grinza. Preso in contropiede, ha risposto con il buon viso a cattivo gioco. Non se l’aspettava evidentemente. E, per questo, ha dovuto prendersi una responsabilità che forse non gli competeva. Negare con decisione possibili alleanze con il centro-sinistra, per far cadere il governo in carica. Se dobbiamo credergli, per ora solo per Lombardo è valsa la pena tradire per “una messa!” Ammucchiate di potere come quella rivoltano lo stomaco di una grande regione e di un elettorato che avrebbe meritato maggiore rispetto per come si era espresso nel segreto dell’urna.Ove accadesse anche a livello nazionale, la eco diverrebbe assordante e il rimbombo giocherebbe effetti devastanti per i responsabili. Stiamo assistendo ad una partita a scacchi di altissimo profilo sul piano della pericolosità. I due contendenti studiano mosse e contromosse, scaricandosi a vicenda il cerino acceso. Sanno bene che, chi provocherà la crisi e le elezioni anticipate, pagherà il prezzo più alto. Evidentemente hanno ancora in considerazione il parere degli italiani. Fatto sta che una lezione va data, una volta per tutte, a chi aumenta le distanze tra il popolo e il palazzo, ‘giocando’ ai dispetti e fregandosene di coloro lavorano con il cosiddetto sudore della fronte. Con la tristezza opprimente di fermarsi al 17 del mese. Sognano anche loro i milioni di euro dei grandi commis di stato, di quelli dei garanti, dei pensionati d’oro di Camera e Senato e di tutta una catena di Sant’Antonio che nessuno conosce e che pure cresce e prospera tra i meandri dei poteri istituzionali. “Come è triste Venezia!”, Monsieur Aznavour. Tra ieri e oggi una potente corazzata politica e di governo ha fatto la sua entrée nella nostra città. Una due giorni al Grand Hotel Salerno organizzata dal coordinatore provinciale dei democratico-cristiani del Popolo della Libertà Pasquale Borea, con la partecipazione annunciata di tre sottosegretari (Casero, Pizza e quello alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi), e di ben quattro ministri: Carfagna, Fitto, Gelmini, Rotondi. Oltre ai Presidenti della Provincia di Salerno (Cirielli) e della Regione Campania (Caldoro), prevista anche la presenza dei capigruppo di Camera e Senato (Cicchitto e Gasparri), di parlamentari (tra cui Gargani, Pionati e Quagliariello), numerose delegazioni di dirigenti locali e nazionali.Il Premier Berlusconi potrebbe intervenire quest’oggi in diretta telefonica. Ieri hanno parlato, tra gli altri, il senatore Luigi Compagna, con una toccante rievocazione dell’ex-Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il figlio di quest’ultimo Giuseppe, Sottosegretario di Stato, il senatore Quagliariello e il Ministro Gelmini. Interventi solidi, convinti, con analisi rigorose e stringenti a conferma della solidità dell’impianto governativo e collaterale che affianca il Premier. Oggi dovrebbe toccare a Giovanardi, Rotondi e  Mara Carfagna. Quest’ultima non può non intervenire nella sua città. Anche se delusa, amareggiata, per molti aspetti orientata a mollare.. Senza entrare nel merito di quanto ha affermato ieri il Ministro della Ricerca e dell’Università per la vastità e la complessità della sua riforma della scuola e dell’università, che lei stessa ha definito una rivoluzione epocale, è apparso più che evidente lo stato di compattezza intorno a Berlusconi, per un gruppo politico organizzatore della iniziativa ben radicato intorno a Carlo Giovanardi, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. In sintesi, per il PdL, “Si vis pacem, para bellum!” Questo il segnale lanciato ieri dalla corazzata PdL portata a Salerno dal Sen. Leo Borea e dal Collega Giovanardi. Una sorta di preparazione generale alla “guerra” delle urne. Non si sa mai. Meglio essere pronti, affilare le armi. Un segnale che, in tutta sincerità, non va in direzione degli interessi degli italiani. I quali hanno bisogno di essere governati con certezza e nei tempi previsti dal programma. Perché, nella loro saggezza di popolo, sanno che è “meglio il pazzo in casa propria, che il savio in casa altrui.” In questo momento la casa del “pazzo” è il paese, non un governo ‘tecnico’ figlio di padre e madre spuri. Di quel poco o molto che resta da governare, meglio farlo con la consapevolezza di potere usare gli arredi così come sono. Avvalendosi delle risorse di idee, progetti, programma a suo tempo annunciati, lavorando da mattino a sera. Quando i tempi saranno maturi, tra tre anni, cioè, si potrà sloggiare e fare posto ai legittimi eredi. Se no, che senso ha la democrazia. Ci pensi, Fini, uomo di indubbia intelligenza politica e di riconosciuta onestà intellettuale. Ma, forse, poco stratega e, di  recente, facile a qualche plagio. Certe sue motivazioni politiche, per quanto valide e condivisibili per chi le sposa, sono venute fuori al momento sbagliato; avrebbe potuto e dovuto farlo prima, visti i contenuti. Ora non può che attendere, pur nello spirito critico e nella autonomia delle proprie tesi. Fino alla fine della legislatura. Per non restare impagliato tra le sdolcinatezze interessate di chi, dal versante opposto, punta solo a fare fuori Berlusconi, senza una plausibile ragione politica. O, meglio, con tesi alternative e soluzioni che non convincono gli italiani. Abbattere il nemico (politico) perché nemico ci riporterebbe indietro ai primi tempi della civiltà e della democrazia. E anche se avesse ragione su tutti i fronti, quelle ragioni cadrebbero comunque, in questo momento, dinanzi alle esigenze del paese, alle certezze che merita, alla governabilità che gli è dovuta. Sinistra e centrosinistra non devono vivere (o sopravvivere) sui guai degli avversari o su qualche intemperanza oggettiva del loro capo. Devono lavorare su programmi credibili e su conseguenti alternative politiche. In direzione dei bisogni del paese. Non mancano gli uomini e le idee a quella importante area politica e culturale. Manca, però, un leader solido e convincente, carismatico più che pettegolo, alternativo all’avversario più che inutilmente puntiglioso. Tre anni sono molti e pochi insieme. Molti se si comincia a lavorare seriamente, pochi se si perde tempo dietro inaccettabili manovre di palazzo targate-Borgia. Scriveremmo le medesime cose se, al posto del Cavaliere, si trovassero Bersani o Fini. “Troppo triste Venezia”, quindi, per abbandonarla proprio ora in mezzo al guado!