Il Vangelo della Domenica commentato- Abbazia Della Scala

“Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo” Luca Cap. 18, 9–14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». “Parola del Signore”                                                                                                                                                                                                       “Lode a Te, o Cristo”

 Pietro Bonifacio Carparelli obl—osb Webmaster abbazialascala.it

 Padre Antonio Cassano

Lo Spirito continua a rammentarci le parole del Maestro. Gesù torna a parlare della preghiera e, dopo aver detto del ringraziamento e dell’insistenza, oggi spiega un altro aspetto attraverso la parabola del fariseo e del pubblicano. Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo e il pubblicano sono due persone in situazioni opposte l’una all’altra. Il fariseo è un uomo ligio alla Legge, un osservante il quale, nel compiere ogni cosa, prende sempre in considerazione qual è il comandamento di Dio. Il pubblicano, invece, è un uomo che riscuote i tributi per conto dei romani e non è difficile che abbia tratto notevoli vantaggi da questo incarico, incorrendo ad esempio in abusi. Le preghiere che, quindi, formulano il fariseo e il pubblicano manifestano le rispettive condizioni. Il fariseo dirà: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo. Il pubblicano dirà: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Il pubblicano che si ferma a distanza, che non osa alzare gli occhi al cielo e si batte il petto chiedendo benevolenza, cercando di placare Dio (infatti questo è il significato del vocabolo greco i`la,sqhti,,, pron. ilásthetí), ammette di aver peccato e come conseguenza ottiene da Dio di essere dichiarato giusto (dedikaiwme,noj pron. dedicaioménos). Il fariseo, che ha osservato i comandamenti di Dio, quindi non è stato un ladro o ingiusto o adultero, inoltre ha pagato la decima di tutto quanto possiede, poiché così è scritto nella legge di Mosè, ebbene quest’uomo secondo le parole di Gesù non viene considerato giusto. Sorge allora un’inevitabile questione: se Dio ha dato la Legge a Mosè perché il popolo osservandolo diventasse giusto ai suoi occhi com’è scritto. Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?, tu risponderai a tuo figlio. Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato. Perché Gesù afferma che il peccatore è giustificato e chi osserva i comandamenti non lo è? Dio si contraddice? Gesù chiarisce l’atteggiamento di Dio, Dio non si è contraddetto. La questione riguarda piuttosto il motivo per cui il fariseo osserva i comandamenti. Il fariseo si esalta davanti a Dio, come dice il termine greco u`yw/n (pron. iupsôn), ossia innalza se stesso, si magnifica, celebra il suo comportamento; lui è il migliore, lo è anche di quel pubblicano, disprezza e si compiace di sé. A questo punto i comandamenti non sono più osservati in quanto sono fonte di vita, per vivere in comunione con gli altri; infatti non rubare, non insidiare la donna d’ altri, non essere ingiusti fa vivere in armonia con gli altri; scriverà il fariseo Paolo:  Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. L’amore non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è l’amore). Il fariseo osserva i comandamenti per distinguersi dagli altri; è questo che lo rende ingiusto, non giustificato. Ha osservato i comandamenti, ma la lettera dei comandamenti non l’intenzione, il loro spirito: la lettera infatti uccide, lo spirito vivifica (cfr. 2Cor 3,6). Il pubblicano invece ammette la propria disobbedienza, ammette di aver peccato, di non aver seguito la volontà di Dio, i Suoi comandamenti. È questo atto di umiltà, ma per meglio dire, di umiliazione, il riconoscere la propria dura verità che lo rende gradito a Dio, che è misericordioso, e quindi lo giustifica. Questa parabola di Cristo potrebbe essere indirizzata anche a noi, quando, ad esempio, pensiamo di seguire Cristo perché andiamo a messa, recitiamo i rosari, abbiamo diverse devozioni a quel santo piuttosto che a quell’altro, facciamo perfino la carità adoperandoci al meglio in parrocchia o in diocesi, ma nutriamo segretamente in noi il sentimento che in parrocchia siamo noi quelli buoni, i veri cristiani. In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.