Troppi leaders per il bipolarismo

Angelo Cennamo

Alla secessione dei finiani sembra fare eco, in questi giorni, quella di Veltroni nel Pd. Il primo segretario del partito democratico ha, infatti, sottoscritto con altri parlamentari di area un documento molto critico nei confronti della gestione Bersani. Il Pd, secondo Veltroni, guarda troppo a sinistra ed ha perso la vocazione maggioritaria degli esordi. La spaccatura col passare del tempo sembra acuirsi e preannuncia scossoni al momento imprevedibili. Nell’Udc, intanto, comincia a serpeggiare un certo malumore tra chi ha mal digerito la fuoriuscita dei centristi dalla Casa delle libertà. Pierferdy ha rilanciato la politica dei due forni, alleandosi a destra e a manca. Non c’è da stupirsi allora se i nostalgici del centro destra dovessero riposizionarsi in favore della maggioranza di governo, in occasione del discorso che il premier terrà alla camera il 28 di questo mese. L’anno scorso era toccato a Rutelli abbandonare la sua fazione per fondare l’Api, partito più moderato e meno progressista del Pd. Mentre Di Pietro, dopo aver promesso  nella campagna elettorale del 2008 che sarebbe confluito con il suo partito nella formazione di Veltroni, a conclusione dello spoglio elettorale, preferì tenersi stretta la sua Idv, attestatasi sorprendentemente oltre la soglia di sbarramento. C’è poi il caso della Sicilia, dove il Pdl ha conosciuto la sua prima scissione ad opera di Miccichè, novello leghista del sud in combutta con l’oscillante Mpa di Lombardo. Lo scenario che ne viene fuori è quello di una politica dove proliferano più leaders che partiti. Un precariato senza fine che costringe capi e capetti a scindere, rifondare, riposizionare i loro gruppi per non essere secondi a nessuno. “Non tollera il dissenso” ha detto Fini di Berlusconia Mirabello. Lo stesso Fini, però, ha fondato Fli in dissenso con la linea del Cavaliere. E chi intravede nelle mosse del presidente della camera un possibile avvicinamento a Casini e Rutelli nella prospettiva di fondare quel fantomatico terzo polo di cui tanto si parla, dovrebbe poi spiegarci chi dei tre protagonisti sarebbe disposto ad arretrare riconoscendo la leadership degli altri due. Non c’è verso : i laeders o gli aspiranti tali sono in esubero. Il bipolarismo così appare stretto, insufficiente, inappagante ed innaturale. Ma innaturale non per gli elettori, oramai abituatisi a scegliere tra un centro destra e un centro sinistra. Innaturale per chi non accetta di essere subordinato agli altri. Di rimanere nell’ombra del più votato e di riconoscerne il ruolo di capo partito. Mancano i gregari, o i mediani, calcisticamente parlando. Comandare, comandare, comandare : questo è lo slogan del politico narciso che non rinuncia alla poltrona più alta. La regola vale per Berlusconi come per tutti gli altri

 

Un pensiero su “Troppi leaders per il bipolarismo

  1. condivido totalmente l’analisi. quello che succederà al governo o all’opposizione non è chiaro. pur di fronte ad una divesità di stile la repubblica è imballata. mentre il governo si regge su una serie di opposte esigenze, lega da una parte e moderati dall’altra, che reggono solo per mero opportunismo, l’opposizione continua a guardarsi l’ombelico.
    la svolta potrebbe essere la volontà comune di riformare le regole ma anche questa prospettiva a me pare lontana perchè ognuno dovrebbe rinunciare a qualcosa.
    arriveremo in primavera all’ennesima campagna elettorale all’ultimo sangue oppure rinsaviranno questi nostri capi e capetti? chi vivrà vedrà.

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