Mercato San Severino: Le Fontanelle

 Anna Maria Noia

Domenica 19 settembre, al culmine ma non al termine (in quanto avvenuto nel momento centrale di questa) della processione – e dei festeggiamenti – in onore della Madonna Addolorata, una tradizione sentitissima e veneratissima nelle nostre zone (Mercato S. Severino) in particolare nelle frazioni di origini bizantine Spiano e Lombardi, in cui vanta leggende e misteriche ritualità antropologico/etnologiche, si è tenuto il famoso e particolare rito (di passaggio dall’autunno all’inverno – nell’equinozio – e dalla adolescenza alla maturità nel voler vedere un significato nei significanti, nei segni – studiati dalle scienze semiologiche e/o linguistiche nonché culturali) delle Fontanelle. Il tutto nella già citata frazione sanseverinese di Lombardi, dove convivono vecchi e nuovi miti e ataviche consuetudini antropologiche, apotropaiche, ossia di allontanamento degli spiriti “maligni” presenti nei campi, in particolare e nella fattispecie della antica civiltà contadina, matriarcale quale era quella commerciale e alberghiera della S. Severino delle origini, posizionata in zona strategica, centrale per traffici e vie di comunicazione con le Puglie – vedi il “tratturo di S. Michele, altro santo bizantino – le Calabrie e Roma. Le Fontanelle, antichissimo rito lustrale e battesimale (dal greco “Baptizein”, che vuol dire “Immergere”), purificatorio e lenitivo, è in antitesi solo apparente con i riti (sempre apotropaici) del fuoco (vedi il famoso “Ciuccio di Fuoco”, anch’esso festa agricola e densa di malìa e di magia urbana, interessante etnologicamente), ma tutto riconduce e si riconduce al dionisiaco, perenne  conflitto tra Cosmos (l’ordine) e Kaos (l’inquietudine, la confusione, il brodo primordiale, il big bang…), già osservabile nelle feste di carnevale sempre ma non soltanto nelle zone del vasto territorio sanseverinese; le Fontanelle, come anche il Ciuccio di Fuoco, adesso in decadenza, si vivono nel periodo della “indizione bizantina”, cioè durante il rinnovo dei contratti agrari tra l’estate (15-16 agosto, tempo di Canicola, perché fa caldo e perché nel giorno di S. Rocco il Sole entra nella Costellazione del Cane) e settembre, dove i miti orfici e ancestrali dei nostri avi sciamani, auruspici e maghi, superstiziosi ma intelligenti, vengono assorbiti dal Cristianesimo e nei suoi riti celebrativi; ciò avviene – come voleva il sommo Dante, secondo cui il mondo pagano è preparazione a quello cristiano – ad esempio nell’ambito della Festa della Candelora il 2 febbraio (commemorazione della Presentazione al Tempio di Gesù Bambino) ma anche il 15 agosto a Materdomini di Nocera Inferiore (dive si tiene la “incubatio”, cioè la veglia con canti e nenie antichissimi da parte del popolo soprattutto femminile in occasione dell’Assunta) ed inoltre a Pasqua. Soprattutto tutto questo si verifica nel periodo primaverile, con il plenilunio che i nostri patres antichi e feticisti consideravano astronomicamente ed astrologicamente periodo fertile che fecondava – appunto – la terra, la Madre, Demetra, Cerere che cercava la figlia Proserpina/Persefone rapita per i sei mesi invernali (sei è numero magico) da Ade o Plutone, dio degli Inferi (Inferno) che la voleva con sé e la rapì per mezzo del melograno, simbolo perciò di vita e contemporaneamente di morte, e gli esempi potrebbero continuare. Vogliamo solo ricordare – ora e qui – che la Madonna Addolorata di Lombardi è la stessa che si venera in primavera, a Pasqua e precisamente il venerdì prima della Domenica delle Palme (Fistone), a Spiano, ai cui abitanti – ma è soltanto una simpatica leggenda, comunque importante per l’antropologia culturale e per capire le tradizioni locali e non – fu prestata dagli abitanti di Lombardi agli Spianesi, che non la vollero poi restituire più adducendo a scusa il fatto che la Vergine non volesse più tornare a Lombardi e lo faceva capire divenendo pesantissima se qualcuno avesse voluto spostarla: ebbene, è la stessa Madonna, lo stesso (quasi) simulacro. Ed è proprio nel tempo – atmosferico anche – dell’autunno, dell’equinozio che la Madonna Addolorata, raffigurata con le spade (in genere sette) nel petto e vestita di nero, viene omaggiata in particolare presso queste frazioni dall’antica consuetudine lustrale delle Fontanelle. Domenica 19 la preparazione, sempre legata ad una “insapevolezza” (nel senso buono del termine, mai sinonimo di arretratezza o di ignoranza) contadina, ossia al fatto che i braccianti da cui deriviamo non sapevano di cose “dotte” come può apparire oggi l’etnologia e addobbavano il simulacro secondo tradizioni orali e pratiche, materiali, manuali (non avendo – in molti casi – neanche studiato al liceo o all’università); dicevamo la preparazione era molto densa di reconditi significati  e di aspetti interessanti per lo studio del nostro ricchissimo, vastissimo repertorio culturale e cultuale: ecco per la cronaca una descrizione speriamo fedele e precisa dell’apparato intero, di una vera e propria torre con molti ugelli, cannule e zampilli, o giochi d’acqua, rappresentanti il purificarsi dell’intera comunità, della collettività tutta delle frazioni che hanno inteso – grazie all’interessamento e alla ripresa di questo revivescente momento di alta antropologia da parte dei religiosi (redentoristi e non solo) ma soprattutto da parte dei fedeli, riuniti nel circolo “S. Martino” o anche non – ripristinare l’usanza celebrativa e cerimoniosa delle Fontanelle, parte vera e propria delle funzioni religiose in onore dell’Addolorata; un piccolo excursus da questo tema, su tale argomento – lo dobbiamo, per ben descrivere tali mitiche ritualità – riguarda il fatto che in tutto l’antico Stato di Sanseverino, anche comprendente Castel S. Giorgio, nella Valle del Sarno, si preparava per l’Addolorata (15 settembre) un dolce: il più antico e noto tra questi era ed è il mostacciolo, o morzelletto o “susamiello” (perché realizzato con miele). Un altro dolce, proprio a S. Giorgio, è ancora la sfogliatella riccia, mentre nel Fiscianese – in quel di Bolano – si preparano i brigidini o madeleine, in onore di S. Brigida. Sempre nell’ambito del culto per la Madonna sofferente, ma non riguardo eventuali dolciumi, nell’Avellinese (Mirabella Eclano) si allestiscono i carri di grano, simulacri monumentali ricchi di spighe nostrane che sfilano per la cittadina mentre a Fontanarosa (sempre in provincia di Avellino) i carri di spighe escono per l’Assunta (15 agosto). Eccoci dunque a noi per illustrare il tutto: la costruzione/torre era caratterizzata – per questa ultima edizione – da varie erbe officinali e non, comunque ricche di simbolismo, evidente e nascosto. Dal basso vi erano massi che delimitavano la vasca di raccolta, poi a salire vi era un “organo” con trentasei cannule di acqua, a significare i trecentosessanta giorni circa dell’anno solare; indi a salire sempre si ritrovava nella costruzione/simulacro una siepe di mortella (mirto), simbolo di morte ma anche di amore, cara come era tale pianta a Venere; si poteva dunque osservare una siepe di rami di ulivo, una di cipresso (segno di morte ma anche di forza, caro come era al semidio Ercole) su cui era poggiata una stella con al centro l’effigie di Maria Addolorata. Alla fine, al “top”, una siepe di alloro (o lauro ceràso), simbolo di poesia e di gloria (immortale anche) e vi erano proprio in cima delle frasche di licino (o leccio che dir si voglia), simbolo di potenza e di maestà. Le frasche erano penetrate da cannule e ugelli da cui sgorgava un’acqua colorata (i coloranti erano serbati nella botte posta a livello del suolo e nascosta dai massi suddetti) che si innalzava per il fenomeno fisico della capillarità; il cromatismo ricordava le colorazioni dell’arcobaleno, in particolare: il verde rappresentava la primavera, il giallo la primavera verso l’estate; il rosso il passaggio dall’estate all’autunno, il bianco (incolore) era per l’autunno e l’inverno e l’azzurro rappresentava il cielo. La torre era alta circa 8 metri; appoggiati sulle siepi di tutto l’apparato gli ultimi frutti della stagione e dell’anno: l’immancabile zucca (soprattutto il sarchiapone); il melograno (fecondità), agli, cipolle (a testimoniare l’appartenenza al paese dei cepàri, cioè dei coltivatori di cipolle); uva, spighe di grano, mele, sorbole, giuggiole; noci, nocciole e – ricordando prodotti giunti a noi dopo la scoperta dell’America – peperoni, granturco e pomodori. Questa delle Fontanelle è l’ultima festa agricola dell’anno, e ribadiamo la necessità per questo momento di festa e di euforia di cibarsi del mostacciolo, una volta detto “panella”, di ceci e miele, del colore della terra. Con lo spettacolo pirotecnico si è conclusa la singolare ed emozionante manifestazione, concernente anche gli elementi (aristotelici) vitali: l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria.