Maltempo nella Valle dell’Irno: pericolo come sull’Amalfitana?

Anna Maria Noia

Come a Mercato S. Severino il 30-31 luglio di questo stesso anno, nella stessa stagione estiva (lo è ancora, ufficialmente, almeno fino al 23 settembre) anche Atrani, comune tra i più belli d’Italia (così è definita la cittadina della costiera amalfitana), ha subito nel e dal pomeriggio di giovedì 9 settembre un forte uragano, con esondazione del torrente Dragone (che dà nome a Dragonea, altro splendido centro urbano e turistico in costiera) e con una giovane, una venticinquenne di nome Francesca Mansi ancora dispersa, il suo corpo sarà stato trascinato dal fango verso il mare: di chi la colpa di tutto ciò? È forse una “punizione” di Giove Pluvio, di Dio o chi per lui? Oppure le responsabilità di tutto – o quasi – ciò che accade sono invece degli uomini? Il torrente – lo ricordiamo – era già tracimato nell’84, ma – si sa, così è la vita – certe cose (le “tragedie”, annunciate o meno) succedono sempre. Non è forse “colpa” delle tanto vituperate istituzioni, quando manca un’allerta efficace, quando manca l’organizzazione di un valido piano di protezione civile, quando si costruisce abusivamente, tramite condoni; quando l’edilizia scellerata imperversa fondandosi sull’illegalità (diffusa o meno): perché, non è forse anche per evitare questo che è stato ucciso “l’eroe”, il “sindaco pulito” (che altro non faceva se non il suo dovere, il suo compito politico): Angelo Vassallo, presente in questi giorni sui media locali ma anche e soprattutto nazionali? Cosa fare, come sollecitare le stesse istituzioni, le amministrazioni spesso sciacalle o vittime di sciacallaggio (di killeraggio economico) non “quando”, né “dopo” bensì “prima” di questi episodi di cronaca “ecologica”, come verrebbe da dire? Allora la storia non è per niente maestra di vita, come molti annunciano o non piuttosto “vorrebbero”: i corsi e i ricorsi crociani non hanno sicuramente insegnato nulla, e per questo dobbiamo aspettare un’altra Sarno, un’altra Bracigliano o Quindici o Siano perché vengano riconosciute le parole delle cassandre – poche, in verità – che deplorano da anni – spesso inascoltate, come appunto avviene per la profetessa Cassandra in questa antonomasia – lo stato gravoso e grave in cui versa il territorio (violentato da costruzioni, anche non abusive ma pure troppo antropizzate o comunque cementificate), la natura, l’ambiente, il paesaggio stesso e tutto ciò che il buon Dio ha creato in milioni di anni, dandone poi la custodia (sbagliando) all’uomo? Ai posteri l’ardua sentenza, come voleva il poeta (Manzoni, “Il cinque maggio”), ma adesso cosa c’è da fare? Senz’altro moltissimo, molto ancora, rimboccandosi ovviamente le mani e fornire tutti un aiuto necessario, improrogabile, inderogabile come ancora non è stato – così almeno sembra – fatto: non dimentichiamo che è stata più volte colpita dalle alluvioni anche S. Severino, cittadina vincitrice di vari Premi “Riciclone” e vantata anche all’estero per il “miracolo” della raccolta differenziata nonché per la ottima amministrazione e gestione dell’ambiente da parte del sindaco “ecologico” Giovanni Romano, che tra parentesi assume ben altre tre cariche oltre a quella di primo cittadino, essendo assessore provinciale e regionale all’Ambiente e ora anche a capo dell’aeroporto di Pontecagnano. Il pericolo, a S. Severino (dove non sembrerebbe poi così urgente) come in altre cittadine, piccole, medie o grandi, in Campania o altrove è sempre o quasi – almeno secondo il nostro modesto parere – dovuto alle stesse problematiche: l’incuria, lo scempio del paesaggio, la cattiva realizzazione delle pur necessarie infrastrutture, le infiltrazioni mafiose e/o camorristiche (il caso “Vassallo” docet) nelle gare e negli appalti; il menefreghismo sfrenato da parte di politici (non certamente la maggioranza di essi…) che pensano solo al “particolare”, come affermava secoli fa Guicciardini; amministratori che – senza avercela con nessuno – sono senza scrupoli e – come detto sopra – pongono innanzi il proprio interesse nel proprio hortus conclusus. È per questo che chiediamo, noi tutti cittadini, noi esseri umani e viventi (ma non sempre dimostriamo di essere più intelligenti degli animali) di non realizzare opere pubbliche contro l’ecologia e l’ambiente, cominciando invece ad operare dal poco, dalle cose piccole: i nostri rappresentanti politici ma anche noi dovrebbero, dovremmo infatti porre una maggiore attenzione al problema “rifiuti” – che in Campania, come pure in altre zone, in particolare al Meridione, è sempre, ancora e più presente (checché ne dicano Berlusconi e i suoi); attuare una politica di sostenibilità ambientale e antropica, per città finalmente “a misura d’uomo”. Non si dovrebbero ricoprire i tombini, come è stato fatto in passato e senza colpe evidenti nel territorio della Valle dell’Irno, come ogni autunno (specialmente ad ottobre) vittima delle piogge torrenziali, frequenti anche se il clima della Penisola è mediterraneo e dunque mite: a Fisciano infatti, ad esempio, si è inteso anni fa coprire le caditoie dei marciapiedi in modo da rendere più sicura la circolazione dei veicoli e delle auto, cosa questa davvero egregia se non fosse che coprendo le fognature tutta l’acqua piovana che scende – letteralmente – da Calvanico (con la Calvagnola, affluente della Solofrana che sfocia nel Sarno) e anche da Solofra (con gli scarichi delle concerie) inonda tutto ciò che incontra sul suo cammino; per non parlare poi delle costruzioni o delle coperture sugli alvei (originali) dei fiumiciattoli o dei torrentelli che pullulano nella suddetta Valle dell’Irno. Per fare un altro esempio – e con questo concludiamo, o speriamo di concludere, anche se questa “storia” dell’ambiente non si concluderà fino a che non cesseranno gli interessi personali di pochi o di molti – a S. Severino funzionavano bene fino a poco tempo fa le ben note vasche borboniche di Ciorani, popolosa frazione: perché questi “santi” Borboni le avrebbero costruite proprio nel luogo dove sorgono attualmente? Erano forse pazzi? E perché le vasche di laminazione che oggigiorno sono presenti nell’altra frazione Acigliano non contengono tutta la massa di fango e detriti che recentemente, proprio tra il 30 e il 31 luglio scorso (non sono ancora trascorsi due mesi) ha sconquassato S. Severino, le cui strade e il corso sono ancora piene di polvere e di mota secca?