Rosmini leghista

Aurelio Di Matteo

Il 28 aprile del 2008 il Presidente emerito Cossiga, del quale in occasione della morte si è raccontato di tutto, anche a sproposito, in una sua lettera pubblicata dal quotidiano la Padania, dopo le congratulazioni a Bossi, scriveva che il “Federalismo non è un pericolo né per la Nazione né per l’unità della Repubblica Italiana”. E faceva seguire una sintetica riflessione molto illuminante sul processo unitario d’Italia che è bene riprendere, soprattutto dopo le parole del cardinale Bagnasco che ha ricordato, in polemica con la Lega, il federalismo di Rosmini come un’alternativa correttiva. Scriveva il Presidente: “Purtroppo nella nostra Storia abbiamo fatto acriticamente nostra la concezione di Nazione propria della Rivoluzione francese che identificava Nazione con Stato centralista e monoculturale… Eppure all’inizio dell’Idea Risorgimentale vi fu l’idea federalista.” E qui ne ricorda i grandi teorici risorgimentali commettendo, però, una grave omissione non citando Rosmini che, invece, espresse il progetto più rigoroso, più praticabile e teoreticamente più attrezzato che il pensiero risorgimentale ci abbia lasciato. Il merito del cardinale Bagnasco è stato senz’altro quello di ricordare un grande del pensiero ottocentesco, peraltro non sempre apprezzato e “sopportato” dalla Chiesa dello Stato pontificio; ma di non averne riportata l’integrale visione che a me appare proprio un’anticipazione della contemporanea elaborazione leghista. Quando ricordiamo il “Decalogo di Assiago”, redatto da Gianfranco Miglio e presentato al secondo congresso della Lega Lombarda, quale prima teorizzazione delle macro-Regioni, dimentichiamo che un leghista ante litteram fu proprio il beato Antonio Rosmini. E nel suo pensiero non c’era un problema di retorico solidarismo, ma di “giustizia” che egli identificava con il rispetto delle autonomie e delle identità culturali di ogni Stato preesistente alla costituzione di quella nuova formazione che egli chiamava “Lega politica”. Una “unione”, insomma, che salvaguardasse la diversità delle varie comunità senza contrapporle. Come dire che il fine dell’indipendenza e dell’unità si doveva perseguire con “giustizia”, il solo principio che potesse conservare la sovranità dei singoli Stati, che evitasse la cancellazione delle singole storie e desse più forza alla posizione di tutti. Non si prefigurava l’annessione dei vari Stati da parte di uno ma il rispetto delle realtà anche sociali presenti sul territorio italiano: i Principi, i Re, i popoli e la religione. Quando si parla del federalismo risorgimentale si è soliti citare il Gioberti e il Cattaneo. Anche i canonici testi scolastici non sono da meno nell’accettare questa diffusa opinione. A ben vedere questi pensatori non hanno offerto un concreto progetto di Federazione di Stati che potesse tradursi in un fattibile programma politico, come invece ha fatto il Rosmini elaborando una limpida e completa formulazione teorica e offrendo una soluzione politica con un progetto concreto e coerentemente attrezzato. Analogamente ci si è soliti considerare la soluzione e il pensiero federalisti come posizioni minoritarie, quando lo era, invece, e anche teoricamente e politicamente molto debole proprio quella unitaria e accentratrice, che ha poi caratterizzato la nostra storia unitaria. Secondo il pensiero che egli elaborò negli anni più tumultuosi (1848- ’50) il percorso di indipendenza e di unità dell’Italia doveva concludersi con la costituzione di una Confederazione (Lega politica) formata da quattro grandi Stati che oggi chiameremmo Macro-Regioni: Alta Italia, Toscana, Stato Pontificio e Regno di Napoli. Lo sbocco del Risorgimento fu tutt’altro! Si costruì un’Italia non unitaria ma centralistica, si realizzò non un’unità rispettosa della diversità identitaria ma, secondo il modello dirigista e accentratore francese, l’imposizione della legislazione piemontese a Stati con fisionomia, storia, economia e cultura diverse. E i nodi irrisolti dalla soluzione data dalla geopolitica europea e piemontese sono ormai giunti al pettine. Le Lega, pur con le non controllate intemperanze lessicali, non ha fatto altro che riprendere il pensiero dominante nella teoresi politica risorgimentale e in modo particolare quella del Rosmini.  Il problema dell’unità d’Italia è ancora tutto qui, al punto in cui lo lasciarono i nostri padri: federalismo unitario o unità accentratrice? Sarebbe ora che si abbandonassero la spicciola polemica di cronaca politica per ritornare alla Storia e la stancante e falsificante retorica unitaria, affidata in 150 anni alla pubblicistica e ancora oggi fatta propria da chi cerca nel passato, falsificandolo, giustificazione alle proprie attuali aspirazioni.