Lavoro: da Valletta a Marchionne, fino a Melfi

Aldo Bianchini

C’è un problema, forse non unico, che accompagna da sempre il mondo del lavoro nel nostro Paese e che si può riassumere in tre parole: “Lotta-padroni-operai”. E se questo non è l’unico problema è certamente il problema dei problemi. Il mondo del lavoro di cui mi accingo a scrivere è un mondo vastamente variegato, io ho avuto la possibilità di visitarlo in lungo e in largo da un osservatorio privilegiato avendo svolto l’attività di “ispettore di vigilanza degli infortuni sul lavoro” per oltre trentasette anni, dagli inizi degli anni sessanta fino alla fine del 2000. Ne ho visto di tutti i colori, ho seguito l’evoluzione della prevenzione per la sicurezza e l’igiene sul lavoro, ho assistito agli sperperi di danaro pubblico per la presunta formazione voluta dalla famigerata legge 626/94, ho toccato con mano le furibonde lotte sindacali che molto spesso hanno guardato soltanto alla conservazione del salario senza minimamente entrare nell’animus del lavoratore per capirne le aspettative di natura ambientale,  logistica e psicologica sul posto di lavoro che è “buona parte” della vita stessa di un lavoratore. Ho visitato grandi stabilimenti industriali ed anche piccolissime aziende agricole, sono entrato in realtà apparentemente paradisiache ed in quelle degradanti e degradate. Non ho mai incontrato, però, una “cellula lavorativa” in cui non fosse presente e, purtroppo, preminente l’eterno conflitto tra padrone e operaio. Non ho mai interpretato il mio ruolo di “ispettore” come “esattore delle tasse” e per questa ragione ho sempre dedicato all’argomento un particolare riguardo riuscendo ad entrare, spesso, nell’animus confidendi sia dei lavoratori che dei padroni. Ne ho ricavato la convinzione che in questo Paese non è cambiato nulla dai tempi di Valletta (Fiat anni 50/60) a quelli di Marchionne (Fiat anni 2000) perché è sempre mancata la cultura del rispetto dei rispettivi ruoli. Anche il sindacato in genere ha negli ultimi cinquant’anni eluso quello che doveva essere il suo ruolo di cuscinetto/ammortizzatore e non ha smesso mai di esacerbare sempre più l’eterno conflitto. Bene faceva il sindacato a combattere Valletta (il duro della Fiat) con le armi dello sciopero e dell’intransigenza perché quella era l’epoca delle prime conquiste di dignità del lavoratore. Male fa oggi il sindacato ad utilizzare le stesse armi di un’epoca passata ed ormai lontana anche nei ricordi degli storici e dei giuslavoristi moderni. In un prossimo intervento vi racconterò cosa riuscì a combinare il sindacato in una fabbrica di Battipaglia appena qualche anno fa. “Nessuno sfugga al confronto”, grida il presidente Napolitano, ma il confronto deve muoversi su basi assolutamente improntate al rispetto reciproco. Insomma il padrone non ha ragione a tutti i costi, ma la ragione  non ce l’ha neppure l’operaio a tutti i costi. Se si continua su questa strada si esce completamente dalle logiche planetarie improntate più sul conflitto globalizzazione-economia-politica che su quello del muro contro muro tra padrone e operaio. Quest’ultimo è un concetto superato dovunque, ed anche la sinistra italiana piano piano se ne sta accorgendo. Inutile e sterile, dunque, l’accorato appello dei tre lavoratori di Melfi quando gridano “Non siamo sabotatori, ma che fine ha fatto la sinistra?”. Dimostrano di non aver capito proprio niente, non solo del cambiamento epocale del mondo del lavoro globalizzato ma anche dello stesso ruolo che il sindacato, in un paese moderno e civile, deve avere se vuole sopravvivere a scelte imprenditoriali che, contrariamente al passato, vengono compiute velocemente sull’onda dei grandi movimenti finanziari internazionali. Ha ragione, non esito a dirlo, Sergio Marchionne quando invoca un “nuovo patto sociale” rendendosi disponibile ad una soluzione. Ha torto Guglielmo Epifani quando, nel rispondere a Marchionne, premette la convinzione che il suo interlocutore ha torto. Anche la Magistratura del lavoro è ancora troppo vincolata a concetti preistorici che in questo Paese diventa sempre più difficile cambiare per metterli al passo con i tempi; troppo spesso questo ramo della magistratura nel conflitto padrone-operaio privilegia soltanto l’operaio. Una soluzione del caso di Melfi è auspicabile, anzi molto probabile, purchè non sia pasticciata. Potrebbe essere una soluzione pilota. Dopo, però, bisognerà avviare una seria riflessione e revisione del pianeta lavoro, in caso contrario non si andrà da nessuna parte.