Sala Consilina: giustizia senza difesa

Aldo Bianchini

Nelle sere d’estate, andando per sagre e manifestazioni varie, si ha l’opportunità non solo di socializzare ma anche di intavolare piacevoli discussioni, un tempo patrimonio esclusivo della politica. Ebbene in queste sere sono stato spesso a Monte San Giacomo (accogliente e fresca località vallese) ma anche a Sala Consilina, Padula, Caggiano, Buonabitacolo, Sapri e Sassano. Dappertutto si è parlato della sentenza a carico dei responsabili del presunto scempio ambientale consumato per la costruzione della strada e della casa nel Parco Nazionale in agro di Monte San Giacomo. Sentenza che, solo per la cronaca, è bene ricordare ha raddoppiato le pene richieste dal PM fino al punto di apparire punitiva. Nelle numerose discussioni intavolate è emerso innanzitutto che la sentenza ha colpito, oltre ogni dire, l’immaginario della gente comune; da qui la notizia e la necessità di parlarne. Ha colpito non solo per la evidente durezza (sono pochissimi, se non rari, i casi in cui il Collegio Giudicante raddoppia le pene richieste dal pubblico ministero) ma anche per gli effetti che tale decisione rischia di innescare, se non ha già innescato, nei rapporti sempre complicati tra difesa e imputati e soprattutto tra imputati e parenti ed amici nell’ambito della stessa comunità. Partiamo dalle difese che, a dire di gran parte dei miei commensali, sono apparse quanto meno laboriose, nel senso di meccanico ed articolato. Per evidenti ragioni deontologiche non posso qui ripetere pedissequamente il commento dei miei interlocutori; agli stessi ho cercato di far capire che l’istituto della difesa è un qualcosa di sacrosanto e di inviolabile che si regge esclusivamente sul rapporto di fiducia tra assistito e difensore, oltre non si può andare. Macchè!, non c’è stato verso o ragione per far capire questo concetto che a me appare elementare. Tre cose essenziali sono state elencate dagli interlocutori che, in taluni casi, erano anche severi e noti professionisti. Al di là della sentenza per i quattro morti (non tre come avevo scritto) nello scoppio della fabbrica di fuochi d’artificio di Teggiano (sentenza emessa lo stesso giorno di quella del Parco con condanna ugualmente a quattro anni del responsabile) mi è stato ricordato che il collegio difensivo del super boss della camorra salernitana Biagio Giffoni, responsabile dei delitti Frasca e D’Elia, appena in data 26 luglio scorso, è riuscito a far cancellare l’ergastolo già inflitto al proprio assistito con una serie di argomentati cavilli procedurali. E ancora, il collegio difensivo di Alfredo Romeo (quello della Global Service di Napoli) è riuscito a far assolvere il proprio assistito dopo che lo stesso era stato per diversi mesi rinchiuso nelle patrie galere. E anche che il caso Romeo ha ingenerato uno scontro durissimo, quasi da “legge del taglione” tra Procura e GIP di Napoli all’indomani del deposito delle motivazioni firmate dal gip Enrico Campoli che parla di “lettura autistica” degli atti da parte dei PM. Mentre a Sala Consilina i collegi difensivi, sempre secondo i commensali, non sarebbero riusciti neppure ad evitare la costituzione di parte civile di un comitato (quello del 18 agosto 2006) che al suo attivo avrebbe soltanto la  denuncia contro Mele e company. Ho cercato si spiegare, con certosina pazienza, che a Sala Consilina è semplicemente accaduto il contrario di quanto verificatosi a Salerno e a Napoli; qui non c’era Biagio Giffoni da giudicare e i PM no  hanno mai dato una “lettura autistica” degli atti, semmai è accaduto il contrario. Qui a Sala Consilina la lettura autistica degli atti è stata data dal Collegio e non da altri; ecco, ho detto, l’apparente laboriosità dei collegi difensivi salesi. Un altro mi ha addirittura ricordato che il Tribunale salese non ha ottenuto dal ministero l’approvazione delle “tabelle giudiziarie” e che, dunque, i Collegi Giudicanti sarebbero da ritenere tutti nulli con gravi ripercussioni sui processi. Anche questo sarebbe sfuggito alle difese. Beh! su questo non ho potuto rispondere non essendo io molto addentro alle regolamentazioni ministeriali interne, credo comunque che gli avvocati ne abbiano tenuto conto. Un altro ancora mi ha ricordato l’esplosivo gesto del mitico avvocato Alessandro Lentini quando, di fronte all’intransigenza di un Collegio nel concedere la costituzione di una parte civile, si sfilò la toga e la lasciò scivolare sul tavolo dicendo: “Signor Presidente il processo se lo faccia Lei, ci vedremo in appello”. E in appello Lentini vinse stravolgendo l’impianto accusatorio di primo grado. Ma la cosa più esplosiva è stata svelata una di queste ultime sere nel vialone di Monte San Giacomo. Sembrerebbe che uno dei componenti il Collegio Giudicante, quello composto da Luciano Santoro, Stefania Coppo e Antonio Tarallo, sia parente o almeno i  affinità di parentela con uno dei componenti il Comitato 18 Agosto 2006. Ed anche questo particolare non avrebbe avuto alcun peso. Alla prossima.

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