Guardia Sanframondi “Riti settennali di penitenza”

Nell’attesa delle sacre rappresentazioni – dal 16 al 22 agosto c.a. – lungo l’incantevole scenario cittadino di Guardia Sanframondi de “i riti settennali di penitenza” in onore  “Festa dell’Assunta” che in tanti si ostinano ad etichettare come processione dei battenti e flagellanti – evento unico, prettamente di fede non avendo nulla da spartire con tutto ciò che è spettacolo e/o folklore, ha travalicato i confini provinciali e regionali  andandosi a collocare fra i più memorabili del pianeta fino a catturare, in un recente passato, l’attenzione sia del prof. Marino Niola dell’Istituto Universitario ‘Suor Orsola Benincasa’ di Napoli che, con delicatezza, saggezza ed intelligenza, si è preoccupato di inserirla come materia d’esame del corso di laurea in beni culturali, sia delle reti TV Bbc e Cnn,   ha preso il via “Vinalia”, la rassegna enogastronomica che, con la vasta gamma di prodotti tipici quali formaggi, salumi, funghi, vini e tante altre specialità, tutte da degustare ed assaggiare e degustazione, in uno a convegni, mostre e spettacoli vari, giunta quest’anno alla 17^ edizione.  Di origine sannita, romana, longobarda, normanna, a seconda delle interpretazioni date dalle varie correnti di pensiero di diversi studiosi, la stessa denominazione ‘Guardia Sanframondi’ è stata diversamente interpretata. Infine, quella che forse ha messo d’accordo tutti è ‘luogo di difesa e di controllo più sicuro dei Sanframondo (hanno dominato dal 1134 al 1461; feudo dei Carafa dal 1469 al 1806: in tale anno, a seguito della legge del 2 agosto che aboliva la feudalità furono spogliati di tutti i loro possedimenti), non solo dei loro territori ma di tutta la valle del Basso Calore e di quella Alifana’. Adagiata – l’altezza s.l.m. è di 428 mt. – sul pendio di una collina del massiccio sud orientale del Matese (dal Castello Medioevale intorno al quale sorge, lo sguardo del  visitatore spazia dalle colline che circondano Caserta a quelle del Matese a quelle del Sannio, versante interno a nord-est), vanta un centro storico di particolari bellezza e tipicità circondato com’era da porte di accesso (attualmente le visibili sono Porta dell’Olmo, Porta di Santo e Porta Francesca) a quelle stradine tortuose e strette, a gradini, e quindi alle case dai portali in esclusiva pietra locale, addossate le une alle altre. Situata sulla SS.87 (sannitica) lungo la direttrice Napoli-Campobasso, dista circa 30 Km. dal capoluogo, Benevento, circa 60 Km. da Napoli e da Caserta e Km.10 dalla superstrada Caianello-Telese-Benevento di collegamento all’A1 (Napoli-Milano), all’A17 (Napoli-Bari) e quindi all’A2 ed all’A16. Dal 1861, dopo essere appartenuta alla provincia di Terra di Lavoro, passò alla nuova provincia di Benevento.Di lingua osca, propria di quei Sanniti i quali nel corso del V secolo a.C. invasero Terra di Lavoro dimorandovi a lungo. Una lingua plebea, ricca di sgrammaticature, dai metri vari e dagli intrecci complicati (non va dimenticato che proprio in questa lingua osca erano scritte le antiche commedie rustiche dei Romani: le popolari farse – brevi rappresentazioni, in origine buffonesche ed oscene, note come ‘fabulae atellanae’). Un linguaggio davvero incomprensibile che trova oggi un qualche riscontro in alcune popolazioni dell’alto Molise (è possibile – anche se raro –  imbattersi in colui il quale, fortemente legato alle proprie radici e tradizioni, si sforza di non dimenticare quelle parole o quelle frasi che, da piccolissimo, ebbe modo di ascoltare da nonni e genitori  (‘rèquato’ = secchio, ma la ‘r’ viene pronunciata in modo ‘strano’ comunque diversa dall’ arrotata o strascicata; ‘va pe ficure’ = andare a raccogliere fichi). I Riti (dalla ‘notte dei tempi’ ai nostri giorni, tra Fede e ‘fanatismo religioso’). Sono una rappresentazione religiosa unica al mondo, esclusivamente penitenziale, celebrata – secondo tradizione – ogni sette anni. Durano tutta una settimana, a partire dal lunedì successivo il 15 agosto, in una continua alternanza di celebrazioni messe in essere dai Guardiesi dei quattro Rioni (Croce, Fontanella, Piazza e Portella). Il giorno clou, speciale per eccellenza, di particolare pathos e di massima intensità spirituale, è l’ultimo, quello conclusivo, domenica 22 agosto, quando la partecipazione, coinvolgente ed imponente, è totale. Oltre mille figuranti, in costumi d’epoca, rappresentanti i ‘Misteri’ (quadri viventi simboleggianti scene bibliche, Vite dei Santi, ecc.), sfilano austeri attraversando le vie, i vicoli e le stradine medioevali – strette, anguste, tortuose, con i caratteristici gradoni a sbalzi che spiccano per le bianche pietre locali, contenitori di una storia ultra millenaria sulle quali il tempo sembra essersi fermato, su cui si stagliano ed affacciano strutture che, resistendo nei secoli, hanno conservato l’antica, complessa e maestosa architettura – in una processione lunghissima e solenne ma suggestiva e cruenta al tempo stesso. Figuranti e non solo ma anche e soprattutto Penitenti, ‘Battenti’ e ‘Flagellanti’ i quali, rigorosamente coperti ed incappucciati (per rispettarne l’anonimato o per privacy per usare un termine ‘di moda’), con una ‘spugna’ (pezzo di sughero) dalla quale fuoriescono numerosi spilli (tradizione o credenza popolare indicano in 33, quanti gli anni di Cristo, gli spilli contenuti in ogni spugna; tesi senz’altro confutate: niente di più falso in quanto il numero degli spilli varia a seconda della forma, della grandezza di ciascuna ‘spugna’, strumento di penitenza, non di ‘tortura’: un ‘voto’ per aver implorato una grazia) si battono il petto ‘a sangue’ e si flagellano le spalle con catene di ferro (altro strumento penitenziale), rispettivamente. Rientrano, per lo straordinario evento, buona parte degli emigranti, accorrono in massa di semplici osservatori, curiosi e soprattutto coloro che hanno fede e credono. I ‘Riti’, infatti, attirano, fanno discutere e sono oggetto di critica da parte di studiosi, storici, psicologi, sociologi, antropologi ecc..  I quali, non avendo qui le proprie radici né potendo vantare la ‘guardiesità’ nel DNA, non avendo nulla a che vedere con questa cultura, con questa storia, con queste tradizioni, con questi ‘Riti’, non ‘riescono’ a comprendere appieno quanta intima religiosità, quanta intensità spirituale, quanto di magico si sprigiona e si avverte nella particolare settimana, in modo speciale nel rito dei battenti e dei flagellanti, e si lasciano facilmente andare spacciando e tacciando il sentito misticismo come violenza fine a se stessa o addirittura come fanatismo isterico. Una ingerenza del tutto gratuita e niente affatto gradita. Per i più – ed a giusta ragione – costoro potrebbero tranquillamente restarsene nei loro paesi, nelle loro case a rimuginare sulle loro storie, sulle loro tradizioni … sempre che le abbiano. Qui, non c’è assolutamente bisogno né viene avvertita la necessità di siffatti censori! Sull’origine dei Riti non si hanno certezze storiche. Perciò, nessuna meraviglia se si giudichi miscredente e/o blasfemo colui il quale abbia osato chiosare che gli attuali Riti, riveduti, corretti, adattati e trasformati in chiave cristiana sono da riferirsi ad un tempo remoto, ad un’epoca paganeggiante, quando cioè nell’immaginario collettivo di allora ‘incombevano’ i cosiddetti ‘dèi falsi e bugiardi’ ed era normale e naturale ricorrere a riti propiziatori al fine di placare quelle divinità ritenute offese per una qualche ‘mancanza’ o per un qualche sgarbo. O piuttosto quando si riteneva indispensabile e necessario invocare – letteratura e mitologia non hanno lesinato circostanze e particolari da leggenda – quelle stesse divinità, in genere bucoliche, per un loro benevolo, propizio intervento in casi eccezionali, straordinari, legati per lo più a dannosi se non addirittura funesti eventi atmosferici. A seguire, poi, altri riti, altre rappresentazioni quali le antiche commedie in lingua osca, pervenuteci in modo frammentario e frastagliato. Ma, in definitiva, questa o qual altra l’origine dei ‘Riti’? In mancanza di riscontri e riferimenti certi, non è possibile e pertanto non è assolutamente lecito osare e/o azzardare una qualsivoglia ipotesi. Una cosa è certa, inconfutabile ed incontestabile: i ‘Riti Settennali di Penitenza’ (a memoria d’uomo, nulla di similare nell’intero universo) non rappresentano affatto un evento spettacolare, folcloristico, paganeggiante o tantomeno masochistico. Battersi ritmicamente con la ‘spugna’ il petto a sangue senza che raggrumisca e flagellarsi le spalle con le catene che fanno sgorgare altro sangue sono il segno di un sacrificio sia pure … quasi estremo. È l’atto liberatorio attraverso il quale si intende sublimare l’espiazione dei peccati con il dolore fisico per allontanare ogni male. Concludendo, i ‘Riti’ (‘inutile chiedersi perché ancora oggi ci si batte e ci si flagella’ dal momento che le risposte rimangono quelle di sempre: ‘lo facevano i miei avi e l’ha fatto anche mio padre’; ‘è perché ho molto peccato’; ‘è il mio voto alla Madonna’), avvolti come sono nel ‘Mistero’, debbono essere accettati soltanto per Fede.

                       

                                                                                                          Paolo Pozzuoli