Università. Tra trucchi veri e finta solidarietà, fine della pappatoia
Nel 2015 l’università italiana vivrà il pensionamento del 50% dell’attuale organico docente, per estendersi fino al 70%-75% due o tre anni dopo. In questa prospettiva ai giovani ricercatori ultraquarantenni (in America a 30-35 anni dirigono i Dipartimenti!) o ai loro potenziali ma già anziani colleghi dottorandi, dottori di ricerca e assimilati non rimarrà che una sola via di fuga. L’estero. Da subito. Oppure, cambiare strada, cambiare mestiere. E la paralisi da loro prospettata con il rifiuto di tenere i corsi? Nessun problema, replicano i presidi di facoltà. Quei corsi saranno aboliti. Già, se ne sono accorti anche loro finalmente; finché durava la pacchia delle decuplicazioni al cubo degli insegnamenti e dei corsi di laurea tanto meglio. Pagava Pappagone in nome e per conto del popolo italiano, riproducendo ‘pani e pesci’ con la velocità dei conigli e con un’inventiva in più. Ora, però, che Pappagone si è dovuto arrendere alla realtà svuotando le tasche, se ne vadano pure a casa. La responsabilità pressoché assoluta di questo immane, disastroso scandalo ricade, è vero, sulla riforma universitaria del 2000. Ma soprattutto su chi l’ha interpretata e pilotata ai vertici delle sedi accademiche centrali e periferiche, in piena irresponsabilità, agevolando per voto di scambio il magna-magna generale. E, allora, per ché non moltiplicare insegnamenti e cattedre, ampliando corsi di laurea e strutture dipartimentali, appesantendo di richieste inutili progetti per fondi ricerca conseguenti? Così, dando concretezza alla fantasia di una progettualità didattico-scientifica fasulla, pensarono, e concretamente agirono, quegli irresponsabili e intellettualmente disonesti protagonisti di un’accademia dal 2000 in poi rifluita a frotte dai marciapiedi di un mondo estraneo o quasi alla cultura verso l’accademia ufficiale. Tanto, quale occasione migliore per approfittare del degrado avallato dalle leggi, visto che pagava Pappagone per tanti altri Natali in case-Cupiello? Ricordate Totò? Solo che tra i convitati di Totò e quelli di oggi c’è la stessa differenza che corre tra finzione e realtà. L’autonomia delle università è stata gestita, infatti, come fanno gli affamati storici della vita dinanzi ad una tavola improvvisamente imbandita mai vista in vita loro. Ci si tuffano a pesce, gozzovigliando senza pudore, tirandosi dietro il peggio delle proprie dinastie dirette e indirette, ampliando a dismisura i posti a sedere, abbuffandosi a testa china, perdendo la bussola del gusto nella confusione generale che ne segue tra bocca, occhi, naso e faccia in genere affondati tutti insieme nei contenitori del cibo, convinti che la libera pappatoia sia di per sé generatrice di geni. In qualche consiglio di facoltà dei giorni scorsi si segnalavano i volti tristi di giovanissimi poppanti assurti ai massimi onori dell’accademia (locale, s’intende) in ‘tenerissima’ età anagrafica e, quindi, scientifica, mentre qualche loro babbo-chioccia prudentemente seduto a distanza siderale dal rampollo nella vasta aula per non dare nell’occhio, elevava impunemente la predica contro i poveri ricercatori e aspiranti tali. Una tristezza, quella di certi neopoppanti superraccomandati dell’accademia di ultimissima generazione, legata alla preoccupazione forse motivata questa volta, di essere sottoposti e, quindi, sgamati e messi alla porta dalla nuova legge, in caso di auspicabili, serie e sistematiche verifiche circa la qualità della ricerca via via espressa, e dei suoi risultati, invece di accontentarsi delle conferme fatte in casa in nome dei soliti ‘canti’ auto celebrativi, come solitamente e sempre ‘inneggiano’ delibere monotone e rituali. Spettacolo patetico più che rivoltante, che solo accademie di bassissimo profilo culturale, scientifico e, quindi, morale, riescono ancora oggi ad esprimere, veri ricettacoli di mondezze volentieri ripudiate dagli stessi ‘maestri’ che li hanno ‘partoriti’ e relegati, solitamente, nelle solite, colonizzate sedi di periferia.