Università, tra trucchi veri e finta solidarietà: panico-ricercatori
Per avere un’idea concreta di ciò che accade nel presente dentro le mura di università italiane bisognerebbe intrufolarsi nelle aule di certi consigli di facoltà, di senati accademici o di consigli di dipartimento, a parte la piazza. Puntuali parlano i rappresentanti dei ricercatori e, pressoché all’unisono, minacciano di paralizzare l’accademia nella quale lavorano. Il puzzo di una maniera bolscevica di fare violenza allo stato e alle istituzioni ricompare per eco confuso, elevandosi dalle polveri fetide e, perciò, le peggiori, di quaranta e più anni di un’epoca ormai sepolta, per fatti e risultati, non per la storia. Quanto basta, comunque, per imporre il ‘terrore’. Dal loro punto di vista i ricercatori non sbagliano i conti del ricatto. La didattica è quasi al cinquanta per cento nelle loro mani, bloccare le attività dal prossimo anno accademico è una prospettiva sempre più concreta per docenti di fatto i quali, sia pure per delibera, sono stati sostanzialmente equiparati nelle funzioni ai loro colleghi professori già in ruolo; con vantaggi indubbi, sotto il profilo dell’immagine soprattutto, per una prospettiva legislativa all’italiana in grado di sanare il tutto, prima o poi, lasciandoli confluire nei relativi ruoli-docenti. Nulla di male per una prassi di sinistra storicamente consolidata e di cui molti loro predecessori hanno beneficiato in tempi prossimi e remoti. Purtroppo, la pacchia è finita. Questo governo la pensa diversamente, grazie anche, anzi soprattutto, alla più ignobile maniera di arruolare nell’università gente di qualsiasi specie, grazie ai concorsi locali dell’ultimo decennio. Il prezzo da pagare per i giovani e meno giovani ricercatori di oggi è, quindi, storico. Sicché, questa maniera di provocare il sistema non fa che agevolarne azione e reazione. Non solo, ma ne rafforza l’orientamento e giustifica, a suo avviso, l’inasprimento ulteriore dei provvedimenti in itinere. L’alibi di una manovra certamente dura e sofferta si trasforma per la Gelmini nell’onere della prova grazie proprio alla piazza ricolma di vittime urlanti quanto predestinate. Perché, invece di invocare lo stato giuridico di categoria, i ricercatori mirano al soqquadro della realtà esistente e, quindi, allo scasso: “Muoia Sansone con tutti i filistei!”, insomma, all’insegna della diseducativa e fallita ribellione studentesca del ’68. Essi sperano di trovare, così, il sostegno degli anziani di bandiera, di coloro i quali, all’alba di quella rivoluzione, sfondarono le barricate del potere per ‘vincere’ l’effimero; cioè, gli esami di gruppo degli anni ’70 ai fini del conseguimento della laurea, l’ope legis degli anni ’80 per entrare nei ruoli-docenti, i tantissimi crediti formativi regalati negli anni 2000 a Salerno, e domani chissà ancora. Insomma, abbiamo assistito finora nel nostro Paese ad un vero e proprio arrembaggio storico alla nave del sapere, all’interno della quale intere generazioni si sono accomodate banchettando vita natural durante. Poi, per la generazione del ’68 in particolare, sopravvennero i capelli bianchi, una certa saggezza, la difficoltà di guardarsi indietro nella speranza di allungare la mano ai loro giovani confratelli di oggi; i quali, invece, traditi e trombati senza rendersene conto, annaspano disperati, invocando inutilmente il sostegno della categoria.
“Il puzzo di una maniera bolscevica di fare violenza allo stato e alle istituzioni ricompare…”
Bisognerebbe fare un minimo di chiarezza su queste questioni. I ricercatori, attualmente, svolgono attività didattica frontale in modo gratuito. Conosciamo, tuttavia, i meccanismi di questi doni accademici: faccio didattica per avere in ritorno, in un tempo più o meno lontano, una cattedra.
Ora, tra questi, bisognerebbe distinguere tra chi diventa ricercatore senza nemmeno una pubblicazione, diciamo ad agosto, e chi, invece, accede al ruolo dopo una lunga trafila e con merito. Il paradosso è che chi viene cooptato non tanto per merito, ma per appartenenza a genie locali, fa carriera; chi merita resta, molte volte, al palo. Anzi, a volte questi ultimi vengono ostracizzati, forse per non far somigliare alcuni poveretti troppo vicini agli onagri nostrani.
Detto questo, bisognerebbe a questo punto capire quanto sia salutare operare una mera operazione di taglio indiscriminato, lasciando inalterati questi ed altri problemi. Oppure quanto sia opportuno introdurre altre criticità; tra queste un troppo forte sbilanciamento dei poteri a favore dei vertici locali.
Si guarda con diffidenza agli ultimi della piramide, ma si evita, come al solito, di criticare i primi, che, nel mentre, stanno approntando un progetto di perpetuazione della loro presenza ai vertici, nell’indifferenza anche di chi è capace di dissentire.
come al solito la nostra ministra, alias incintissima -pareva che solo lei fosse incinta-, butta via il bimbo e l’acqua sporca.
ignoranza, arroganza, cultura delle immagini e delle apparenze, parole vuote e prive di alcun riferimento reale.
Ecco cosa ci aspetta…..cosa aspetta ai giovani che rimarranno ignoranti grazie alle manovre di persone che si crogiolano nell’ignoranza altrui, sapendo (molto molto bene) che governare gli ignoranti e tacitare la cultura (e gli acculturati) e’ ed e’ sempre stato un ottimo modo per imporre la propria “dittatura”.
Questa “gente” arruola soggetti come il firmatario dell’articolo che sto commentando per trasformare falsi luoghi comuni in “informazione” e “clamore”.
Evviva l’ignoranza, evviva gli ignoranti (coloro che ignorano)….bravo Ingenito, che a questa categoria sembra appartenere di diritto!
firmato….un ricercatore “schifato” dalle inutili parole!
Il collega ricercatore avrebbe fatto bene a leggere tutte le quattro puntate del ‘discorso’ di Ingenito prima di vomitare le sue ingiurie.
La prima parte sarebbe, infatti, criticabile, se completa. Ma, visto che i contenuti di un discorso fortemente critico vengono sviluppati nei tre giorni successivi con logica stringente e soprattutto con proposte serie a favore, guardacaso, della categoria, Alessandro avrebbe fatto meglio a non inciampare nella villania gratuita contro chi lo ha difeso. Anche perché, così messa, l’ingiuria si trasforma in una calunnia sommaria, senza spiegarne adeguatamente i motivi.
Ci vuole un pò di buon gusto, colleghi, anche nel dissenso.