L’ Università ricerca o cerca?

 Aurelio Di Matteo*

Le strade di Salerno in questi giorni hanno visto sfilare con grande chiasso di contestazione anche il mondo accademico per rivendicare il diritto alla ricerca “senza se e senza ma”, l’elargizione di soldi senza rendicontazione dei risultati, la stabilizzazione a tempo indeterminato di tutti coloro che in qualche modo hanno respirato l’aria dell’Ateneo e poco importa che la loro permanenza non abbia lasciato tracce di qualche significato, anche se solo in ambito locale. Vada per le rivendicazioni di dottorandi e di sedicenti ricercatori, tutti aspiranti baroncini in pectore, che insistono nel considerare l’Università un Ufficio di collocamento, come ormai da decenni la sinistra ha lasciato intendere, ma che gli slogan sessantottini siano ancora in bocca a cattedratici di lungo corso, fa un po’ specie e dà il segno dello stato in cui versano gli atenei italiani. D’altra parte le annuali classifiche stilate dalla comunità scientifica internazionale sono testimonianza dell’improduttività e della poca qualità del lavoro svolto dalla maggior parte dei docenti e dei ricercatori delle nostre Università. Eppure in quel corteo che ha intasato il traffico salernitano c’erano docenti ordinari di grande “fama” locale che, proprio in questa occasione, stando ai virgolettati della stampa, hanno fornito prova di quale patrimonio logico-culturale siano portatori! Dopo la solita solfa che dura da decenni dell’”università subordinata al privato”, di “fondi dati ai privati” (non si capisce dove l’abbiano letto!) e della necessità “di una mobilitazione di massa” (che novità di slogan!) uno dei cattedratici più attivi si produce in una dichiarazione che è di una coerenza logica da fare invidia al Trattatello di Wittengenstein: “L’Università in questi anni ha fallito, producendo ‹pezzi› difettosi”. Oh bella! E allora cosa difende il cattedratico sceso in piazza? Ed egli dove era mentre si producevano “pezzi” difettosi? E quanti di questi pezzi sono stati prodotti proprio da lui? Chi è il responsabile della Riforma sulla quale in questi anni si è assiso con tanti suoi colleghi? Non è forse il risultato di un preciso atto legislativo di un Governo di Centro sinistra? Gli fa eco un suo illustre collega, che non citiamo per par condicio e per carità di patria: “Bisogna lottare per indicare una via d’uscita alla crisi economica, la crisi è loro (sic!) e l’università è la nostra forza”. In questo ha ragione. Se gli togliamo la “sua” Università che cosa gli può mai restare? Un po’ come i capelli per Sansone! Di certo se gli studenti si abbeverano a questa logica, il futuro dell’Italia non potrà che essere roseo! A questi docenti che hanno sfilato per chiamare a una “mobilitazione di massa” mancava solo una cosa, la famosa bisaccia di Fra’ Galdino. La cerca è la filosofia e il dogma di fra’ Galdino; il suo racconto è un miscuglio di semplicità e di candido utilitarismo, con le mani attorcigliate sull’imboccatura della bisaccia che tiene stretta sul petto. Egli rappresenta il candido egoismo di un mondo conventuale, in nome del quale egli parla; un uomo dappoco, con l’unico ideale delle sue noci e della sua bisaccia. I “marcianti” delle nostre Università sembrano tanti frati Galdino, rappresentanti di un altro mondo che sa anche di conventuale, quasi sempre di conventicola. Qui, però, non ci sono ingenuità e sincera fede religiosa: “cercano” a gran voce soldi per la “nobile” finalità del sostentamento del mondo accademico e della ricerca, ma sostanzialmente per alimentare la parentopoli delle cattedre e per continuare a impinguare la pletora di docenti e ricercatori. Nel racconto del buon fraticello, il miracolo delle noci avveniva perché la raccolta del “finanziamento” era finalizzata al bene; per i manifestanti la “cerca” ha invece l’obiettivo di dilatare gli organici, di creare sempre più cattedre e continuare a fare dell’Università un grosso Centro per l’impiego. Merito di quell’ingenuo fraticello era il fatto che “bussava” a tutte le porte; gli accademici italiani, invece, sempre al solo portone dello Stato e indipendentemente dal merito, dalla qualità e finalità della spesa.E questi accademici, tutti insieme appassionatamente, scendono in piazza, versando lacrime sulla sorte dell’Università messa a rischio da una sacrosanta esigenza di razionalizzare la spesa per finalizzarla alla vera ricerca e non all’assunzione di personale inutile, sia docente sia amministrativo. In questi anni l’Università italiana si è distinta non per i risultati scientifici, ma per la proliferazione di Sedi, la dilatazione di Corsi di Laurea e dei conseguenti insegnamenti, che non sono serviti alla formazione dei giovani ma a creare cattedre e uffici amministrativi secondo criteri di selezione che quasi sempre hanno calpestato il principio del merito, della produttività e della qualità. A fotografare questa realtà ci ha pensato nel novembre del 2007 una fonte non sospetta, l’ex Ministro dell’Università, On. Mussi, che certo non può essere tacciato di berlusconismo,: “Sbaglio, o le Facoltà e gli Atenei negli ultimi anni hanno autonomamente e gioiosamente (sic!) portato i corsi al numero di 5.600, gli insegnamenti a 171.000, gli esami a decine e decine per triennio e biennio, per non parlare della disinvolta moltiplicazione delle sedi, delle astute lauree in convenzione, delle allegre lauree honoris causa…….  Sono un uomo di una qualche ostinazione e di parecchia passione; ma a volte mi viene il pensiero che con l’occuparsi di professori universitari, siano virtù sprecate”.Per restituire l’Università alla sua funzione di luogo di ricerca e di formazione di alte competenze, un mondo accademico serio comincerebbe non dai cortei, ma dal dare una risposta a questa semplice domanda: perché i giovani ricercatori veri sono costretti a emigrare e lì restano, conseguendo risultati di eccellenza e magari anche qualche Nobel? E perché nelle classifiche internazionali accreditate per trovare un nostro Ateneo, in quella più benevola per l’Italia, dobbiamo arrivare al 192° posto? La prima risposta sarebbe quella di accantonare la “cerca” perché, come ben ebbe a dire il prof. Fulvio Tessitore, altra fonte insospettabile, già senatore del PD ed ex Rettore della Federico II, “i fondi vengono dopo l’individuazione di un nuovo modello di Università”. La seconda risposta sarebbe quella di azzerare le corporazioni accademiche, i diritti ereditari, le cooptazioni parentali e politiche; di ripristinare meritocrazia e selezione sulla base di valutazioni e verifiche affidate alla Comunità scientifica internazionale, valutazione delle ricerche e delle pubblicazioni, con riferimento alle riviste accreditate nel panorama accademico internazionale, eliminazione dell’inamovibilità del posto fisso, eliminazione di Corsi di laurea fantasiosi, dimezzamento del numero di esami e ripristino della loro consistenza e serietà. La terza e decisiva risposta sarebbe quella di un finanziamento pubblico direttamente proporzionato alla capacità di reperire finanziamenti nel mondo privato. Questo per prima cosa dovrebbero chiedere i neo fraticelli cercatori per ridare funzione e prestigio alle nostre Università!

*Società Italiana di Scienze per il Turismo