Oggi la mafia parla ancora: Setti Carraro, impegno per la legalità
3 settembre 1982: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, con la sua giovane moglie, Manuela Setti Carraro, ben trent’ anni di differenza tra i due, che non impediscono alla giovane coppia di spezzare ideali comuni e di nutrire analoghe speranze, lasciano questa vita trucidati. Un segnale forte, che la mafia lancia ad un uomo a conoscenza delle cupole malavitose della zona. “E sulle quali Paolo Borsellino e Giovanni Falcone poi- commenta Gianmaria Setti Carraro, fratello di Manuela- avvieranno le indagini. Anche loro, dopo poco, vittime della criminalità. Che non dorme mai! La mia presenza, un po’ ovunque, specialmmnte nelle scuole, testimonial di legalità tra i giovani, così come volle mio cognato. La perdita di Manuela, crocerossina come mia madre, ha fatto scattare ancora ulteriormente la molla dell’impegno in me, nel seminare autentici valori. Dinanzi a certe tragedie, si può reagire o chiudendosi in un piagnisteo sterile o scendendo in campo, per portare avanti battaglie sociali. Un obbligo morale, per riscattare le morti per mafia. Di mia sorella, tanti ricordi. Non certamente mondana. Anzicchè preparare cenette e tè, amava dedicarsi al prossimo. Aveva intrecciato rapporti con don Lentini, per realizzare una struttura per disabili. Vulcanica come Carlo Alberto. Entrambi perseguivano ideali comuni, mete di solidarietà che avevan reso possibile la loro unione, malgrado la consistente differenza anagrafica. Una coppia accomunata dagli stessi interessi, che si amava saldamente. Ricordo che Carlo Alberto, nonostante i suoi anta, era innamorato di Manuela come un ragazzino. Per niente le telefonava e dopo poco tempo, lei se lo ritrovava in chiesa a Milano, spuntare da dietro una colonna. Con lei, aveva ritrovato la voglia di vivere. Nell’omicidio, a mio avviso, la mafia solo esecutrice! Comandante di legione a Palermo, era a conoscenza dei poteri delle singole famiglie mafiose. Sapeva tutto sul crimine organizzato palermitano! Ricordo quando, nella villa di Falcone, assistemmo al rinvio a giudizio di Abate e di più di 489 della cupola. Sull’omicidio di mio cognato e di Manuela, ancora non trovato il mandante, che alligna tra i poteri forti dello Stato!”