Rosario Pappalardo: vent’anni dopo

Aldo Bianchini

Certo che ottenere giustizia venti anni dopo deve essere davvero frustante sia sul piano fisico che su quelli psicologico-finanziari; lo stress è assolutamente distruttivo e nessun risarcimento potrà mai ripagare i danni subiti. Parlo, nello specifico, della vicenda umana, familiare e giudiziaria vissuta dall’ex sindaco di Baronissi prof. Rosario Pappalardo, arrestato la mattina del 4 agosto 1994 sulla base di accuse infamanti e rinchiuso a Fuorni per cinquantacinque giorni. Era l’epoca di tangentopoli e l’allora cinquantaquattrenne sindaco democristiano di Baronissi rimase impigliato in una vicenda assurda e dai contorni misteriosi; con lui finirono in cella l’ex sindaco di Baronissi Pietro De Divitiis ed altri. Si parlava di alcune lottizzazioni in loc. Ferreria ed anche della Imar-Sud. Roba da poco. Mi ha riaperto la mente una frase riportata dalla stampa locale ed attribuita a Pappalardo poco dopo la sentenza di assoluzione in appello: “Ho sempre pensato che fosse stato un attacco mirato finalizzato ad eliminare una figura di spicco nel panorama politico dell’epoca”. Facile la risposta, quell’uomo politico era nientemeno che Gaspare Russo. Da mesi e mesi due giovani magistrati, Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio, gli danno la caccia. Gaspare Russo è all’estero e la sua latitanza dorata presenta costi altissimi, bisogna tagliare i rifornimenti. Dalle copiose dichiarazioni rese dall’ormai pentito Pasquale Galasso  e del suo braccio destro Antonio Bifolco i due magistrati risalgono alle presunte relazioni amicali intercorrenti tra l’ing. Marco Cordasco (personaggio ambiguo e sempre ai limiti) e gli amministratori del comune di Baronissi, primo fra tutti l’ex sindaco Pietro De Divitiis. E’ lui l’uomo da prendere per arrivare a Gaspare Russo secondo una soffiata che i magistrati, forse, raccolgono dallo stesso Pasquale Galasso che indicherebbe in de Divitiis il braccio operativo del latitante nella raccolta dei fondi necessari al suo sostentamento sulle rive del Tamigi. I magistrati ci vanno cauti, leggono e rileggono gli atti e scoprono che De Divitiis  fin dagli inizi del ’90 è alla guida della Monosud (una fiorente industria di laterizi nell’area di Oliveto Citra) che gestisce decine di miliardi di vecchie lire per la ripresa post-terremoto. Addirittura il gruppo inquirente accerta che nei bilanci 91 e 92 di detta azienda il presidente De Divitiis aveva stralciato somme per complessivi 560 milioni di lire con una semplice annotazione (a matita) di “partite da sistemare a cura del presidente”. Era questa una delle vie di finanziamento della latitanza dorata di Gaspare Russo? Una risposta ufficiale non è mai arrivata. Fatto sta che la mattina del 4 agosto 1994 scatta il blitz con gli eclatanti arresti. Cosa sia successo in carcere nei giorni immediatamente successivi non è dato di sapere. De Divitiis parla di un “summit” o i magistrati già sanno e chiedono solo conferme? Non è facile sapere la verità.  Fatto sta che esattamente nove giorni dopo, il 13 agosto 1994, un drappello della polizia giudiziaria al comando del dottor Sebastiano Coppola (all’epoca responsabile del nucleo di pg presso il tribunale) e sotto il coordinamento diretto di Vito Di Nicola cinge d’assedio il convento delle Suore Carmelitane di Fisciano alla ricerca di Gaspare Russo. Il portone, però, resta chiuso. Le suore di clausura spaventate chiamano l’arcivescovo Pierro che, probabilmente, sente al telefono prima il Vaticano e poi lo stesso magistrato. L’ispezione e la perquisizione all’interno del convento è asfissiante  e minuziosa, di Gaspare Russo nemmeno l’ombra. Gli agenti di Coppola si fermano dinnanzi ad un tunnel segreto che porta direttamente verso l’esterno. La via di fuga, chissà!! La verità la conoscono soltanto in due: Pietro De Divitiis e Gaspare Russo. Il primo l’ha portata con se nella tomba, il secondo la tiene ben stretta e custodita. Sullo sfondo le dichiarazioni fasulle dei pentiti in cerca di trattamenti agevolati fino alla follia e la figura del prof. Rosario Pappalardo, assolutamente innocente,  che secondo il pensiero dell’epoca aveva almeno due punti oscuri: essere democristiano demitiano e l’essere stato a lungo sulle stesse posizioni politiche e amministrative di Gaspare Russo. Anche per lui il calvario dell’ingiustizia si è srotolato per una strada lunga vent’anni.