Sette anni

Giovanna Rezzoagli

La notizia è stata diffusa dall’ANSA, è comparsa su Mediavideo, è stata ripresa su molti siti internet. La notizia è di quelle che si stenta, perlomeno io stento, a credere: un bambino di soli sette anni sarebbe stato ucciso dai Talebani con l’accusa di essere una spia del governo afghano. Persino nel disastrato Paese Asiatico, in cui ogni giorno si piangono tante piccole vittime dell’egoismo umano, l’impiccagione di un bambino così piccolo avrebbe inciso le coscienze di qualcuno che ha trovato il modo di diffondere la notizia. La verità non sarà facile da accertare. Quella sorta di codice morale, o d’onore che dir si voglia, esiste forse nell’immaginario collettivo nutrito a suon di film e di storie romanzate. L’odio etnico, religioso, politico, umano, non si placa di fronte ai bambini, ai deboli. Se verrà confermata, la terribile sorte del bimbo afgano sarà solo una delle tante atrocità perpetrate verso i più piccoli ad opera di adulti senza pietà. Sarebbe un errore pensare che l’infanzia violata sia lontana dal nostro Paese. Certo, in Italia non si muore a causa della guerra. Nella nostra società, grazie al livello di benessere raggiunto, la morte di un bambino è considerata un evento drammatico. Nelle zone più povere del mondo, la morte di un bambino piccolo è percepita con rassegnazione. Le profonde ingiustizie sociali che separano il nostro mondo di benessere dal mondo quotidiano di miliardi di persone che vivono con pochissimo, sembrano più vivide di fronte all’immagine, vera o presunta che sia, di un bambino impiccato a sette anni. Alla fine nemmeno importa sapere se sia vero o meno, poco conta appurare la realtà, se non per punire eventuali responsabili. Importa non fare finta di nulla, importerebbe spendere un minuto a riflettere sulla nostra normalità quotidiana, riflettere sull’evidenza che si tratta di una normalità relativa di cui tante volte non sappiamo contentarci.