Al centro, la persona

Giovanna Rezzoagli

Umanizzare le cure. Porre al centro il malato, non più la malattia. Questo nuovo approccio alla delicata condizione in cui si trova una persona sofferente non è più soltanto l’intuizione di medici ed operatori sanitari particolarmente motivati. A suffragare queste considerazioni, arrivano i risultati dell’ultimo studio commissionato dalla Fondazione Gigi Ghirotti. Nata il 5 maggio del 1975, la Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti promuove il prossimo 30 maggio la nona edizione della “Giornata del Sollievo”. Lo studio presentato si basa sul sondaggio effettuato negli ospedali di undici regioni italiane ed ha coinvolto 23.353 pazienti. I dati più significativi sono stati pubblicati ieri dall’agenzia Adnkronos, dalla quale riporto fedelmente la statistica: “Avere le persone care al proprio fianco, quando i giorni trascorrono in una stanza di ospedale, è il primo desiderio delle persone ricoverate nei nosocomi italiani (42%). Poter condividere paure e tensioni con i propri cari supera addirittura il bisogno di sentire meno dolore (38%), quello di avere informazioni sulle terapie (34%), non essere un peso per i familiari (34%), avere maggiore autosufficienza per muoversi (32%) ed essere rassicurati e tranquillizzati (31%).” Il desiderio di avere il conforto dei propri cari durante la degenza è il dato che emerge con forza. Il bisogno di non sentirsi soli durante la malattia è più impellente persino della legittima necessità di non provare dolore. Svolgendo consulenza per il Tribunale dei Diritti del Malato (T.D.M.), più volte mi sono confrontata con la necessità delle persone di ricevere attenzione, di essere ascoltate, di essere comprese. Purtroppo queste esigenze che, è bene ricordarlo, nel contempo sono anche diritti, vengono sovente frustrate. Chi opera, a vario titolo,  nel complesso mondo della sanità, impara molto presto che la cronica mancanza di personale e il carico di lavoro spesso molto sovradimensionato rispetto alle risorse effettivamente disponibili, di fatto relegano il rapporto umano in fondo alle necessità da soddisfare. Certo non è possibile, né tantomeno sarebbe corretto, generalizzare. Come in tutti i contesti della vita sociale, anche in quello sanitario si incontrano varie tipologie di persone: si passa dal medico di famiglia sempre disponibile, che si rende reperibile anche nei giorni festivi, a quello che chiude lo studio alle dodici in punto del venerdì e fino a lunedì mattina tanti saluti. Cerchiamo di centrare il fulcro del discorso: quando si sta male, o sta male un proprio caro, si ha paura. Tanta paura. Si ha bisogno di chiedere spiegazioni sulla malattia, sugli interventi terapeutici, si ha il sacrosanto bisogno di parlare. Si ha il sacrosanto diritto di essere informati sulla patologia, sul suo decorso, sulle opzioni terapeutiche, quando esistono. Soprattutto si ha diritto ad essere trattati come persone, non come casi clinici e basta. Anche di fronte alle patologie più infauste, è sempre possibile, sempre, prendersi cura del malato. Anche se non è possibile guarire, sempre è possibile curare. Curare chi soffre, certo, ma anche curare chi vive di riflesso la malattia di una persona cara. E’ ormai acclarato da numerosi studi che un paziente reso partecipe delle proprie condizioni di salute ed esaustivamente informato sul relativo approccio terapeutico risulta più collaborativo e scrupoloso nel seguire le terapie poste in essere. Non solo: un paziente adeguatamente informato sulle proprie condizioni di salute proverà meno ansia, meno ansia si traduce in una migliore risposta alle terapie. Questo avviene perché, a livello endocrinologico un soggetto ansioso produce molto più cortisolo (noto nel linguaggio comune come “ormone dello stress”) che determina una ridotta risposta del sistema immunitario, con conseguenze anche importanti sull’evoluzione di una condizione patologica. Mettere al centro delle cure la persona e l’affrontare in quest’ottica la condizione di paziente diventa importante. La “Giornata del Sollievo” mira a sensibilizzare non soltanto il mondo sanitario, ma anche e soprattutto la società, contribuendo a creare una cultura del rispetto che, francamente, nel nostro Paese ancora è lungi dall’affermarsi.