“Elite”, sempre più “élite”

Salvatore Ganci

La Società Italiana di Fisica (S-I.F.) ha vivacchiato (e vivacchia) certamente non sulla sola quota associativa dei soci. L’appartenenza, ricordo, richiese, oltre un trentennio fa, la “presentazione” del nuovo socio da parte di due soci “presentatori”. Allora, giovane e voglioso di appartenere alla comunità dei Fisici italiani, mi parve una cosa normale. Da allora molte cose sono cambiate: sono cambiate le Presidenze della Società, sono invecchiati e morti molti Soci (qualcuno ha lasciato un vuoto incolmabile per le squisite qualità umane) e un giorno mi sono chiesto perché continuare a pagare una quota sociale e perché proseguire questa “appartenenza”. Forse perché ho dato distrattamente un’occhiata ai bilanci della Società e alla distrazione si è aggiunta poi una certa attenzione? Perché la “direzione” delle Riviste del mio settore, morto il suo ultimo compianto Direttore, è passata da quattro fascicoli annui ben pingui e con articoli di alto interesse a quattro fascicoli limitati a un numero di articoli che si contano con le dita di una sola mano (con ricorso “antologico” ad articoli di decenni fa)? Mah, che certe “associazioni” che tentano (anche) di condizionare alcune scelte ministeriali in merito alla didattica, esistano ed incoraggino i giovani Fisici è un fatto che merita considerazione. Vado però ad aprire uno dei tanti bandi di premi per la Fisica (ne vinsi uno nel 1983 solo con i miei lavori e la “mia faccia”) e scopro che per la prima volta il modulo per partecipare ad un qualunque bando richiede le lettere di “presentazione” di almeno tre soci. Non ne capisco davvero la “ratio”. Non immaginavo che il riconoscimento di una produzione scientifica richiedesse una sorta di “avallo” preventivo dei soci… o pecco ancora di ingenuità?

2 pensieri su ““Elite”, sempre più “élite”

  1. Faccio i complimenti al prof. Ganci per il premio del
    1983 e mi dolgo della sorte della rivista di cui si
    parla nello scritto. Sarà una sorte comune al declino
    di questo Paese? O sarà forse solo un sintomo di un
    processo di destrutturazione del sapere?

    Qualcuno infatti pensa (e magari osa affermarlo
    in pubblico) che le pubblicazioni scientifiche
    sono una perdita di tempo. Di più, coloro i quali
    danno prova di sapere pubblicare con continuità
    a volte vengono penalizzati in modo sistematico.

    E così ci si chiede se le orde di Gengis Khan
    avrebbero fatto meno danni alle istituzioni di
    coloro i quali si rendono responsabili di queste
    operazioni che, di certo, non favoriscono la
    diffusione della cultura.

    Forse quelle orde avrebbero distrutto le mura
    dei templi del sapere, non le vite e le coscienze
    delle persone dedite allo studio, le quali,
    nonostante tutto ancora resistono, proprio come
    fa Lei, prof. Ganci.

    Cordiali saluti. I.S.

  2. Gentile Commentatrice, non so se lei sia una “addetta ai lavori” nel mio settore disciplinare o meno, ma suppongo che il “dato numerico” convinca anche i sassi: i dati, infatti, si leggono e non si interpretano. Una rivista passa da una dozzina buona di articoli di alto interesse per fascicolo a quattro/sei articoli di “chiacchiere” e rubriche di totale appannaggio della direzione (di fatto) della rivista. E’ sufficiente vedere on line gli indici dal 2000 ad oggi e contare … Un mio collega si è visto “bocciare” (con rozze espressioni di critica distruttiva)un lavoro poi pubblicato (in Inglese) su American Journal of Physics (Rivista un “tantino” più prestigiosa)con l’onore della recensione su “Science”. Di fronte ad un fatto così eclatante alcuni Autori spesso presenti sulla rivista in oggetto con la trascorsa direzione, sono stranamente migrati a pubblicare solo su riviste internazionali (indubbiamente più serie). Nella Società Italiana di Fisica qualcosa non va. Le iscrizioni sono in calo (c’è una campagna atta ad invogliare neo-iscritti) ma è soprattutto l’abbonamento alla rivista cui ho fatto riferimento che nel Levante ligure ha sicuramente perso almeno quattro abbonamenti tra cui due biblioteche pubbliche. La dirigenza S.I.F. dovrebbe chiedersi se la causa è il costo o se la causa è la dequalificazione della rivista. E’ “produttivo” fare sopravvivere un ramo improduttivo? E’ saggio andare in passivo per non “rimuovere” due neo-direttori responsabili di una gestione non proficua? Dobbiamo attendere il “ricambio” generazionale? Gengis Kahn (protettore delle aziende private) avrebbe provveduto senza indugi a un piano di “razionalizzazione” con licenziamenti in blocco (e salite sui tetti). Grazie per i complimenti (nel 1983 erano evidentemente altri tempi e un’altra etica). Termino affermando che quando lessi nei bilanci S.I.F. che lo stipendio annuo di una “segretaria” era quattro volte quello base di un qualunque operatore al terzo livello, allora, come un Maestro Zen, ricevetti l’illuminazione … non rinnovando più la quota sociale.

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