Tre anni per cambiare

Angelo Cennamo

Archiviate le elezioni regionali, vinte dal Pdl e dalla Lega dopo una campagna elettorale di veleni e di carte bollate, si apre per la maggioranza un periodo di tregua, fatto di buoni propositi e di annunci. Tre anni, o poco meno, restano a Berlusconi ed al suo governo per attuare quelle riforme strutturali promesse agli elettori fin dal 1994, l’anno dell’esordio, ed in larga misura rimandate per una serie di impedimenti, in parte giustificati : la breve durata della prima esperienza di governo, l’11 settembre e la difficile coabitazione con l’Udc, tra il 2001 ed il 2006, la recente crisi internazionale nel corso dell’attuale legislatura. In altri casi pretestuosi, come la presunta scarsità dei poteri in capo all’esecutivo o la bocciatura delle leggi da parte della corte costituzionale, politicamente schierata con la sinistra e sempre pronta a boicottare il governo. A sentir parlare Berlusconi, l’operato dei suoi governi è stato sempre impeccabile e che nessun presidente del consiglio ha fatto meglio di lui in tutta la storia della Repubblica. Sarà, ma ad oggi, salvo alcuni interventi di carattere emergenziale ( i rifiuti di Napoli e la ricostruzione in Abruzzo), altri in materia di sicurezza ( contrasto alla immigrazione clandestina e alla criminalità organizzata ) e di lavoro ( legge Biagi), dell’annunciata rivoluzione liberale si è visto ben poco. Ma non è finita qui la parabola del Cavaliere. I buoni risultati conseguiti nelle ultime tornate elettorali, dipesi in parte dalla voragine di contenuti e di prospettive nella quale è caduta l’opposizione di centro sinistra, offrono al Pdl e alla Lega nuovi spunti vitali ed ampi margini di manovra. Come dire : gli alibi sono finiti, ma di tempo, da qui al 2013, ce n’è. Basterebbe non sprecarlo e capire, soprattutto, cosa si intende fare per cambiare il Paese. Messa così, sembra facile. Ma l’impressione è che la maggioranza non abbia ancora individuato una linea precisa da seguire. L’argomento del giorno è il presidenzialismo; c’è chi lo vuole all’americana, chi alla francese, chi fuori dagli stereotipi di altri Paesi, nuovo ed originale, all’italiana insomma. Poi c’è la questione della legge elettorale. Il porcellum, con tutti i suoi limiti, consentirebbe al centro destra di vincere le elezioni da qui al 2050 : figurarsi se Berlusconi intenda disfarsene. La sinistra, invece, preme per il mattarellum che, se non altro, nella peggiore delle ipotesi, ridimensionerebbe il distacco dagli avversari rendendo meno indigesta la sconfitta. Ma anche Fini tifa per il mattarellum, e qui siamo all’enigmistica : qual è la strategia del presidente della camera? Cosa intravede Fini nel suo (fare)futuro? E’ probabile che la sua posizione dipenda dalla prospettiva di andare oltre il Pdl? Decriptare Fini, di questi tempi, è complicatissimo. I dissidi dell’ultimo incontro con il premier sembrano, però, farci propendere per questa ipotesi. Ma c’è dell’altro. Va bene ridisegnare l’architettura dello Stato, tuttavia gli italiani si aspettano interventi più pragmatici che istituzionali. Prima di tutto, una drastica riduzione delle tasse e poi, se fosse possibile, un’accelerazione alla ripresa economica, che, nonostante qualche timido segnale, stenta ad appalesarsi. Insomma, gli interrogativi sono tanti, le risposte, almeno per il momento, poche e confuse.