Le correnti? Un bene

Aurelio Di Matteo

Questa campagna elettorale sta mettendo in evidenza due problemi e, nello stesso tempo, in crisi due soluzioni che hanno caratterizzato il lungo periodo della cosiddetta Seconda Repubblica: la polemica contro i Partiti, sconfinata nel loro ostracismo, e l’innamoramento per formazioni politiche “liquide” e “leggere”, nelle quali l’unanimismo e la struttura virtuale hanno nascosto la discrezionalità del centralismo decisionale. La polemica, dannosa, fuori luogo e fuori tempo, che sta caratterizzando il PDL, è esantema della mancata soluzione di questi problemi sostanziali. Passate le elezioni sarà l’ora di ripensare la funzione indispensabile dei partiti e la loro consequenziale struttura che non potrà fare a meno di un’articolazione sia plurima sia definita. Che l’antipartitismo non sia servito a risolvere i problemi concreti né quelli della partecipazione dei cittadini è sotto gli occhi di tutti; che la fine delle “correnti”, sciolte nell’unanimismo quasi sempre imposto e subito, abbia prodotto una classe politica dirigente “irresponsabile”, scarsamente adeguata per competenza e lontana dal territorio è cosa altrettanto evidente.  Il risultato è stato devastante: niente partiti e niente correnti! Di fatto sono rimaste le correnti senza partito! Non affrontare da subito, risolvendoli, questi due problemi significa deteriorare l’intero sistema democratico e alimentare la prevaricazione di gruppi di pressione di vario genere, sia interni sia esterni alla struttura statale. Diceva il Popper, tanto caro agli intellettuali radical chic che alimentano il popolo viola, che l’esercizio della sovranità popolare, per non rimanere anonima e indistinta, potrà trovare espressione solo nei partiti che sono gli elementi fondanti del “costituzionalismo”. Senza contare che la nostra Costituzione, perennemente sventolata dai tanti Grilli parlanti e in molte solenni aule, con l’art. 49 considera i partiti “soggetti di diritto costituzionale”.Dopo la distruzione delle “rappresentanze” si è scoperto che il tessuto sociale e comunitario non può prescindere dalla presenza dei partiti politici e che non può esistere forma di democrazia se non da questi “accompagnata”. Nello stesso tempo ci si è accorti che non possono esistere partiti senza correnti. Con l’eliminazione delle correnti, di fatto, si è avuto il proliferare di Associazioni e di Fondazioni le quali stanno fuori dei partiti contribuendo poco al dibattito interno propositivo e molto al frazionismo personalizzato, anticamera dello scissionismo e della trasversalità. Come non può esistere una democrazia senza partiti, così non si può costituire un partito senza correnti, soprattutto se esso è il risultato e l’approdo di percorsi e storie diverse. Storicamente si è realizzato un solo modello di partito senza correnti, quello leninista nell’Unione Sovietica, punto di riferimento di tutte le emanazioni nazionali, in Europa e in Asia, tra le quali il Partito Comunista Italiano, nel quale si sono “alimentati” culturalmente e psicologicamente il candidato Vincenzo De Luca e l’intera classe dirigente dell’attuale PD. Non è un caso che la retorica populista contro i partiti si accompagni a quella contro le correnti: entrambe esprimono il fastidio contro il dialogo, la partecipazione e l’ascolto del territorio, unito al desiderio, non sempre nascosto, di soluzioni autoritarie. Sperando che le inutili e improprie polemiche pubbliche di questi giorni si traducano in una produttiva competitività elettorale, sarà opportuno riprendere tale riflessione all’interno del PDL quale dibattito per costruire un vero congresso fondativi di un Progetto e di un’Organizzazione. Questi dovranno essere i temi del dibattito politico dopo le Regionali, per evitare che la metodologia “dell’uomo (o donna!) solo al comando” soffochi dibattito e partecipazione, creando disaffezione nei cittadini e discrezionalità di scelte inopportune e dannose.L’articolazione del partito non rappresenta un male, ma la sua ricchezza, l’alimento di idee e proposte diversificate da ricondurre a sintesi e conclusioni. Che altro è la presenza sul territorio se non un’articolazione organizzata e plurale, se non un dibattito progettuale e una partecipazione consapevole? L’essere sul territorio di un partito non è certo costituito da madonne pellegrine da osannare e portare in trionfo nelle tradizionali e periodiche feste patronali. I partiti sono la forza della democrazia, le correnti l’alimento di quella forza!