Società dal linguaggio aggressivo

Giuseppe  Lembo

La nostra epoca è caratterizzata da un linguaggio fortemente aggressivo. Questo è il comportamento della modernità soprattutto nel mondo del benessere dei paesi occidentali. L’arroganza, l’aggressione verbale, la violenza verbale ed oltre il verbale, sono considerati elementi che hanno in sé le caratteristiche di distinzione delle diverse situazioni umane, di uomini e vicende. Il linguaggio aggressivo non viene biasimato, censurato, ma esaltato, ricercato come segni del cambiamento. È un linguaggio forte che affascina tutto e tutti e che porta ad atti inconsulti, a partire dalla prima adolescenza. Il bullismo sempre più diffuso nel mondo dei ragazzi è l’espressione di comportamenti pericolosi che trovano la loro ragione d’essere proprio nel linguaggio aggressivo e nei comportamenti violenti della società che si compiace di stare in guerra e di promuovere azioni di guerra attraverso atti di reciproca aggressione. Nella società c’è tanta violenza. Oggi più che mai c’è un grande bisogno di riconciliazione con se stessi; c’è bisogno di prendere coscienza di essere se stessi e di non negarsi nel corso della propria vita; di negazione si muore. È necessario che affiori quella coscienza d’insieme che porta ciascuno a comprendere di non essere solo al mondo. Occorre che ciascuno si senta attivamente protagonista, consapevole d’essere pienamente cittadino della società-mondo a cui appartiene insieme a tutta l’umanità del pianeta-Terra, un grande Stato senza confini per gli uomini globali del Terzo Millennio. C’è, nel nostro Paese, in modo diffuso ed invasivo una sorta di impoverimento complessivo sia dal punto di vista etico che culturale. La vita della società è sempre più ammalata. Manca di quei valori fondanti che sono la migliore difesa ed il migliore patrimonio per garantire alle generazioni che verranno un futuro certo e dallo sviluppo possibile.Viviamo, purtroppo, in una società ammalata; risente del clima di malessere diffuso che è carico di tensioni, di aggressività e di uno stare l’uno contro l’altro, come nemici in trincea, in una guerra di annientamento. Manca il dialogo; manca il confronto; manca lo stare insieme solidale. C’è un clima di scontro con eccessi verbali fortemente aggressivi ed un parlarsi addosso, per cui ha ragione chi più alza la voce, chi più grida e grida più forte rispetto all’altro. Ma quale democrazia? Quale futuro? Quale civiltà viviamo in questo nostro Paese, dove prevale il principio di tutti contro tutto? Che cosa fa la “differenza” tra noi e gli altri Paesi dell’Occidente e dell’Europa? Purtroppo dal confronto non ne usciamo bene; il “bordello Italia” non teme confronti e scivola verso una china sempre più pericolosa. La crisi del dialogo, del confronto ha impoverito anche il modello culturale del paese. La società è priva della capacità di uno stare insieme solidale che rappresenta una risorsa per il pensare positivo ed il guardare al futuro con fiducia, evitando la paura che ha impoverito sia le coscienze dei singoli che la coscienza critica della famiglia e dei cittadini più in generale. Nella confusione del tutto contro tutti, si è autodelegittimato il ruolo di gestione dei nuovi fenomeni sociali, creando così un distacco crescente con gli altri paesi che sanno guardare avanti e preoccuparsi di costruire in modo intelligente il futuro. Le conseguenze sociali sono gravi; c’è una incapacità diffusa di pensare positivo e di vivere nel rispetto degli altri. Prevale il familismo amorale; prevale la mancanza di solidarietà ed in modo diffuso, il non riconoscimento dei diritti civili sanciti dalla carta dei diritti universali dell’uomo e della nostra stessa costituzione. C’è indifferenza per i nuovi fenomeni sociali; sono in balia di se stessi; non si riesce ad esprimere ed a garantire la solidarietà sociale ed il riconoscimento dei diritti civili. Sono sempre più in forse i diritti fondamentali dell’uomo. È prevalente lo spirito egoistico del “si salvi chi può”. C’è un vero e proprio clima di libertà anarchica. Si è fortemente indebolita anche la laicità dello Stato; le incursioni del mondo cattolico, nelle cose dello Stato italiano, attraverso la sua rappresentanza papalina, diventano sempre più frequenti. Non c’è più quella dignità e quella forza di un paese che sa pensare al proprio futuro, alla dignità dell’uomo in assoluta autonomia e nell’interesse di tutti, senza differenze di genere, di religione e/o di censo. Di fatto, nel nostro Paese, dove è fortemente presente il modello di società dal linguaggio aggressivo, c’è assoluta mancanza di libertà (quella vera); c’è carenza di dinamismo; c’è solitudine; c’è mancanza di dialogo.Un Paese così fatto, cosa si aspetta dal futuro? Cosa pensa di fare per cambiare il corso delle cose e tendere la mano ai tanti in difficoltà ed in forma crescente, sempre più vicini alla soglia di povertà che fa aumentare la differenza tra chi ha e chi non ha, tra chi vive nel benessere e chi ha sempre meno ed è privo del necessario per vivere dignitosamente sempre più spesso, semplicemente per sopravvivere. In questo clima assistiamo ad una crisi di autonomia dello Stato laico, per effetto, della crescente politicizzazione della interferenza delle gerarchie ecclesiastiche che entrano con forza nelle scelte etico/politiche dell’Italia; si va riducendo l’autonomia dello Stato laico ad un punto tale da essere ridotti ad un’appendice della Chiesa di Roma fortemente rappresentata dal Papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger e del suo braccio armato, il cardinale Achille Ruini presidente della Cei e dai giornali, quali voce della Chiesa di Roma, l’Osservatore Romano e l’Avvenire. Nel nostro paese a chi giova essere aggressivi? A chi giova alzare la voce, spesso in una condizione di debolezza e non di forza come si vorrebbe far apparire? Per quali fini se non per alimentare tensioni e decadimento, si usa al posto del dialogo, l’aggressione? Chi usa l’aggressione, come pensa al bene comune della società? Quali le forme di garanzia soprattutto per i soggetti più deboli, gli esclusi di sempre dai poteri forti, attenti a salvaguardare, non il bene comune, ma i propri egoistici interessi, i propri affari? Oggi il mondo, dal locale al globale, deve costruire insieme un modello di vita sociale basato sulla solidarietà e sulla condivisione. È necessario per riallineare gli squilibri sociali, economici e culturali che sono ancora presenti ovunque nel mondo e rappresentano una vera dannazione in tanti luoghi della Terra, dove ancora si muore per fame nella più assoluta indifferenza di chi ha il dovere di combattere la fame, dando il cibo necessario agli uomini in condizioni di forte povertà. In Italia la società del linguaggio aggressivo è figlia di una diffusa condizione di immoralità; la deriva morale nel mettere il silenziatore all’etica condivisa, ha pensato di alzare la voce e di renderla austera e credibile attraverso il linguaggio aggressivo, come utile espediente per nascondere l’immoralità dilagante, sempre più meno condannata. Come andrà a finire? Anche a non voler essere catastrofisti, c’è, comunque, da pensare al peggio; c’è da vedere, dietro l’angolo, una deriva dalle conseguenze catastrofiche, con il crescere dei corrotti a danno di quella società sana ormai senza voce.

                                              

                                                                                                           

2 pensieri su “Società dal linguaggio aggressivo

  1. Gentile Autore, innanzitutto Buon Natale.
    Leggo sempre piacevolmente i Suoi scritti. Mi trova concorde in merito al preoccupante fenomeno dell’aggressività, amplificato dalla comunicazione. Mi permetto solo di aggiungere che il linguaggio verbale incide nell’interazione comunicazionale meno del linguaggio paraverbale e molto meno di quello non verbale. Come counselor sperimento molto frequentemente che i messaggi più “importanti” che ci arrivano dal nostro interlocutore sono quelli non espressi verbalmente ma attraverso la postura, lo sguardo, il gesticolare. Il dramma è dato dall’evidenza che molte persone subiscono passivamente e del tutto inconsapevolmente l’influenzamento di modelli comportamentali proposti da una società vuota, fredda ed egotista. Ogni sforzo per proporre riflessioni io credo sia fondamentale, anche se condivido il Suo pessimismo in merito ad un cambiamento in positivo. Cordialmente.
    Giovanna Rezzoagli

  2. Il presidente della Cei è il cardinale Angelo Bagnasco e non Ruini, il cui nome è Camillo e non Achille. Trovo la seconda parte dell’articolo offensiva nei riguardi del Papa e della Chiesa. Con articoli dal contenuto ingiurioso e aggressivo come questo non meravigliamoci poi se degli psicolabili fanno quello che fanno… La colpa è di quelli che come l’articolista in questione scrive queste enormità… creando un clima di odio e di aggressività. Vergogna!

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