Salerno: XXII° Festival di Musica Antica

In una regione che, in questo periodo, ribolle di omaggi al Barocco in tutte le salse, ritorna l’Associazione Koinè, presieduta da Carmine Mottola, con il suo Festival di Musica Antica, giunto alla sua XXII edizione. Il cartellone, realizzato con il sostegno della Provincia di Salerno e nello specifico dell’Assessorato per le Pari Opportunità di Anna Ferrazzano, dell’Amministrazione comunale, e della Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana, è dedicato interamente a Georg Friedrich Haendel. Addentrarsi in un territorio vasto, come quello marcato da Georg Friedrich Haendel, in sole quattro tappe è arduo. L’occasione non consente di visitare ogni suo angolo oscuro, dato che, a duecentocinquanta anni dalla sua morte, è importante solo ciò che è durevole. Carmine Mottola ha dedicato questo piccolo portrait del compositore ad incontri e confronti con musicisti di quel tempo, che vanno a segnare i tre periodi del suo cursus creativo. S’inizierà il 21 dicembre con l’Ensemble Armonia delle Sfere, indagando sulla presenza di Haendel sulla scena inglese e cercando di sciogliere il dilemma tra giudizi critici che proclamano l’autore erede diretto di Henry Purcell, autentico compositore inglese e altri che considerano Haendel un emigrato tedesco che, divenuto una incontrastata istituzione nazionale, minacciò di distruggere la cultura musicale inglese, impedendo a chiunque, col suo straordinario prestigio, di farsi portavoce della musica nazionale. Haendel conosceva la musica di Purcell, poiché l’influsso dei musicisti inglesi del Seicento era molto forte in Germania nel periodo del suo apprendistato. Fin dall’inizio della carriera inglese di Handel, il tono alla Purcell è inconfondibile, tuttavia solo più tardi, nella musica drammatica si ricollegò direttamente al compositore britannico. Haendel accettò con gioia il linguaggio di Purcell, ma non ne seguì la forma; inoltre , a tutta prima, la dolce e sensuale malinconia, caratteristica inglese della musica di Purcell, sconcertò il compositore tedesco-italiano abituato alla esplicita espressione di “affetti basilari”. Un passo indietro per verificare l’influenza italiana di Agostino Steffani, incontrato ad Hannover nel corso del periodo amburghese, sulla musica di Haendel. Il 27 dicembre l’ Ensemble Experidys proporrà dei duetti d’amore del compositore veneto, inframmezzati da due pagine di musica strumentale di Handel, che ci porranno di fronte alla lezione espressa dal musicista italiano, fondata sua di una genuina e amabile vena lirica supportata da tecnica levigata e plasticità formale, dove la prevalente presenza dello stile contrappuntistico si stempera con un morbido ed elegante istinto melodico. Il concerto del 4 gennaio, affidato al Laus Concentus, proporrà le Cantate per basso del periodo haendeliano, aprendo il confronto tra Haendel, Domenico Scarlatti, Filippo Amedei e Johann Adolph Hasse. Pagine, quelle proposte, di un corpus barocco molto circoscritto. Attraverso la cantata italiana Haendel acquisì l’arte incomparabile di creare aure senza l’aiuto della rappresentazione scenica, liberando il flusso della sua fantasia poetica imprigionata dalla tradizione dei maestri di cappella. “Nell’Africane Selve” costituisce il pretesto per un intimo lirismo che non abbandonerà mai più Haendel. Il confronto con gli altri compositori e, in particolare, la “battaglia” con Domenico Scarlatti non fa altro che evidenziare la cantata quali  confini, entro cui operare un’attenta geometria delle passioni, un’algebra degli affetti, una fisica che misura tutto in base di un’estetica interamente fondata sulle sensazioni, affermante l’identità della coscienza umana, quale riflesso di una passione dominante attraverso la fascinosa voce del basso.L’ultimo appuntamento, il 15 gennaio, vedrà protagonista il clavicembalo e il suo suono, interpretato da Haendel, Johann Sebastian Bach e Domenico Scarlatti, accomunati dallo stesso anno di nascita l’Annus Mirabilis 1685. Sarà Giorgio Spolverini a guidarci in questo inevitabile confronto tra Bach ed Haendel, espressioni di due mondi fondamentalmente differenti non paragonabili né opposti ma, sicuramente, complementari l’uno all’altro e solo in questa prospettiva rappresentanti i due vertici del Barocco, a cui si unisce l’idioma armonico dal sapore mediterraneo di Domenico Scarlatti, una nuova sublimazione del cembalo, galante, raffinata, speziata di esorcismi capaci di sfruttare i limiti stessi del mezzo sonoro, per ottenere una sorta di suggestione permanente, realizzata in un gioco di rimbalzi nel quale gli elementi reali suggeriscono l’immagine dell’ideale.