Il burnout: un rischio da riconoscere

 Giovanna Rezzoagli

Molti termini della lingua inglese sono diventati ormai di uso comune anche nel nostro linguaggio parlato ed anche se non conosciamo il loro significato preciso, ne comprendiamo il contesto di accezione. Vi sono, al contrario, fenomenologie che ci riguardano ed in molti casi ci toccano da vicino, a cui non riusciamo a dare un nome preciso, perché nella nostra lingua e nella nostra cultura non hanno ancora trovato un loro spazio. E’ questo il caso del burnout : un termine che si può tradurre dalla lingua inglese con “spento”, “esaurito”, “bruciato”, che indica la condizione psicologica in cui si può trovare un soggetto che svolge mansioni di assistenza, cura, sorveglianza nei confronti di altre persone, con le quali ha frequenti scambi emotivo-relazionali. In pratica tutte le professioni ma anche, più in generale, tutte le condizioni che espongono a rapporti interpersonali in contesti potenzialmente stressogeni. Recentemente anche in Italia si è parlato della cosiddetta “Sindrome da burnout”, in rapporto ai tragici eventi che hanno portato alla morte del giovane carcerato Stefano Cucchi. In pochi sanno che medici, infermieri, assistenti sociali, poliziotti, insegnanti, ma anche volontari e sacerdoti, possono sviluppare una condizione di insofferenza e di fastidio nei confronti delle persone di cui si occupano. La casistica è molto varia, si passa dalla parola sgarbata all’offesa, dalla violenza verbale a quella fisica. I sintomi sono lievi, all’inizio. Il soggetto che sviluppa questa insidiosa sindrome diviene a poco a poco più “insensibile” nei confronti dei suoi assistiti, tende a depersonalizzare chi ha di fronte, a non provare emozioni di fronte alla sofferenza. Questa fenomenologia è ben nota da anni e, in Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il burnout solitamente in stretta connessione con la “sindrome da istituzionalizzazione” è considerato un vero e proprio rischio professionale, da combattere ed arginare attraverso campagne di informazione e, soprattutto per le categorie a rischio, con supervisioni e corsi di aggiornamento. La prevenzione è fondamentale perché un soggetto che è consapevole di essere esposto ad un rischio di sviluppare burnout , è maggiormente incentivato ad auto monitorarsi ed incentivato a ricercare supporto. Da questo punto di vista, in Italia siamo in pieno medioevo. Ma come si origina questo fenomeno? Una relazione di dipendenza tra un operatore ed un soggetto è caratterizzata da un trasferimento di emozioni e sentimenti e da una reazione,spesso inconsapevole, in risposta. La condizione emotiva che caratterizza la relazione di chi riceve cura nei confronti di colui che la elargisce prende il nome tecnico di Transfert; la reazione emotiva dell’operatore nei confronti dell’assistito si denomina Controtransfert. La non conoscenza o la misconoscenza di questi processi, del tutto naturali, porta ad una cattiva gestione degli stessi; questa condizione, associata ad una stanchezza o ad uno stato di frustrazione, è causa prima di burnout.