I4 cc di “Povera gente”
Nel 1846 Fiodor Dostoevskij pubblicò il suo primo romanzo dal titolo “Povera gente”. Il grande scrittore russo, amante di Gogol e Puskin, si cimentava, così, per la prima volta, nella vasta e complessa arena narrativa. E, poiché di solito la fusione tra finzione e realtà vissuta si trasforma nel collante principale del narrato, l’esito di questa prima esperienza derivò anche per lui da una triste vicenda personale. Negli anni quaranta del secolo 19mo, infatti, l’ossessiva passione per il gioco lo mandò ben presto in rovina. Ebbe modo, così, negli anni duri della fame e dell’umiliazione per i debiti contratti, di convivere a distanza ravvicinata con il mondo del sottoproletariato urbano. Il celebre scrittore toccò conseguentemente con mano quella miseria e la descrisse. Fu sufficiente l’esordio per rivelare la sua eccezionale capacità di analisi dell’animo umano. Un privilegio raro che, come confermato dai suoi successivi capolavori – “Umiliati e offesi”, “Delitto e castigo”, “I fratelli Karamazov” – fecero di Dostoevskij un protagonista della letteratura mondiale, uno degli interpreti autentici delle complessità interiori dell’animo umano. Fu l’arma vincente, benché inizialmente non compresa e non del tutto accolta dalla critica, di esprimere la crisi storica del proprio tempo. Attraverso, cioè, l’analisi più intima e profonda della coscienza individuale.Ecco, ci vorrebbe anche oggi un Dostoevskij per investigare nell’animo di quei quattro carabinieri finiti in gattabuia, accusati di avere spiato, filmato e, poi, ricattato il Presidente della Regione Lazio. Un Marrazzo a sua volta autosospesosi – e, di fatto, dimessosi – per certe sue debolezze private, come egli stesso le ha definite.Qualcuno si chiederà come mai bisogna scomodare un grande scrittore come Dostoevskij, vissuto peraltro, in un secolo diverso e ormai lontano dal nostro. E’ presto detto. Certamente non per dipingere per analogia storica la nostra epoca rispetto alla sua. Ma per scrutare fino in fondo nell’animo di coloro i quali, pur appartenendo ad un corpo militare così speciale e, per molti aspetti, il più amato dagli italiani, possano d’improvviso perdere la testa e, altrettanto improvvisamente, dimenticare ideali, giuramento, fedeltà, rinuncia, sacrificio. Soprattutto sacrificio. Per quanto in apparenza paradossale, in questa vicenda fa molto meno notizia la vicenda transessuale di Marrazzo. Viceversa, fa molto più scalpore quella dei quattro carabinieri votatisi improvvisamente al ricatto e al crimine più in generale. Il perché è presto detto. La prima cosa che sorprende, e non poco, è il numero dei militari coinvolti. Non uno. Nemmeno due. Ma quattro, dicasi quattro. Che, per un mondo come quello dell’Arma più popolare d’Italia, rasenta l’assurdo. Cosa hanno visto quei quattro? Chi hanno frequentato, nell’esercizio delle loro funzioni, prima di passare all’altra sponda? Quella della violazione del diritto e della legge? Quali mondi sono stati costretti a proteggere, da quali di questi mondi sono rimasti delusi, se non disgustati? Quali compromessi, e per quanto tempo, sono stati costretti a giustificare in seno al loro animo di disagiati a poco più di mille, mille e cinquecento euro al mese? Quali contrasti hanno verificato nel contesto della cosa pubblica di marca politica, a causa della quale hanno toccato con mano l’ingiustizia di uno Stato sprecone a favore di propri uomini d’oro a ‘double face’ (vizi privati, pubbliche virtù)? Per un chi ha troppo e un chi ha praticamente niente? Quali ingiustizie legalizzate, quali sprechi di denaro pubblico, quali privilegi ritenuti inammissibili eppure esistenti a favore di personaggi alla Marrazzo hanno quei quattro carabinieri giudicato inaccettabili rispetto ad una condizione sociale, la loro, molto, ma molto più diversa, in peggio naturalmente? Perché, salvo che non si tratti di quattro soggetti a naturale vocazione delinquenziale (cosa ben difficile, almeno nell’Arma, solitamente attenta nelle fasi preliminari dell’arruolamento), o addirittura matti (sempre che le accuse siano vere fino in fondo), ritrovatisi per giunta ad operare tutti insieme, questa vicenda traduce, sul piano individuale e collettivo, un disagio storico e sociale del quale bisogna cominciare a prendere seriamente atto.E’ chiaro che sui quattro CC si abbatterà la scure della giustizia umana, di per sé per principio impietosa. Ne hanno già avuto un assaggio con l’arresto e con tutti i conseguenti provvedimenti adottati dal Corpo di appartenenza. Resta, però, l’enigma sulla fonte di quel disagio. E l’obbligo di indagarlo e analizzarlo. Perché, sul piano sociale, quel problema, da individuale (riguardante i singoli protagonisti, cioè), diventa collettivo. Un indizio pesante, pur nella clamorosa manifestazione avutasi, a conferma di infiniti squilibri che investono da troppo tempo le realtà socio-economiche e geografiche del nostro paese. Mai come oggi e più di oggi è indispensabile non più cominciare a pensare di eliminare sprechi e privilegi. Specie quelli di cui si avvalgono le alte cariche pubbliche, politiche ed istituzionali dello Stato. Perché una cosa è averne notizia dai giornali o dalle lamentele del quotidiano alle quali ci abbandoniamo un pò tutti. Altra è toccarle con mano, magari per ragioni di servizio, come potrebbe essere accaduto a quei quattro carabinieri. Per provarne disgusto, senso di impotenza, frustrazione, ribellione. Reagendo in maniera imperdonabile, certamente, se non indegna. Ma con motivazioni consce o inconsce quanto si vuole, comunque denotative del diffuso senso di ingiustizia, di quel disagio umano e sociale a vasto raggio anche oggi, e di cui Dostoevskij ci ha lasciato, per il proprio tempo non più tanto diverso, come si vede, dal nostro, analisi profondissime attraverso le descrizioni intime dei propri personaggi. Per una “Povera gente” che, ieri come oggi, vive e convive quotidianamente con il bisogno dei molti (dei quattro carabinieri inclusi) e lo spreco e i privilegi (pubblici ancorché legittimi) dei pochi (dei Marrazzo e dei tanti come lui). Tutto ciò non per giustificare o indulgere semplicisticamente nei confronti della “banda dei quattro”. Ma per quella indispensabile analisi psicologico-comportamentale che talvolta aiuta a comprendere. E, perfino, a perdonare.