Iudico ergo sum
Questa mattina, su un noto settimanale trovato da leggere in uno studio medico, leggevo le interessanti considerazioni di una Psicologa (peraltro docente universitaria) su un fenomeno sociologico sull’onda della pubblicità dei gestori di telefonia mobile: le centinaia di SMS giornalieri che si scambiano gli adolescenti e il business delle tariffe agevolate atte a trarre profitto da questo fenomeno che, per acquisire caratteristica di rilevanza “conoscitiva”, necessiterebbe comunque di dati numerici degli ultimi anni da comparare. Ma la Psicologa dà il fenomeno come “rilevante” e non si può non concordare, anche in assenza di dati, quando si è martellati dalle periodiche intensificazioni pubblicitarie dei vari Gestori di telefonia, segno indubbio di un mercato attivo. “Le famiglie si sono indebolite, i rapporti familiari sono oggi più fragili, perciò si intensificano i rapporti tra coetanei”. E ancora: “Gli adolescenti cercano di ricostruire quello che manca a casa. I ragazzi sono oramai abituati a vivere tra di loro a tempo pieno, tendono quindi a rimanere nel mondo dei coetanei anche quando non sono più insieme, per questo mantengono il legame mandandosi centinaia di messaggini.”. Sarebbe come dire che negli anni ’60 mantenevamo il legame ma in modo meno intenso, andando in giro a gruppi nei giorni festivi, improvvisando qualche festicciola su un molo con i primi giradischi a 45 giri con amplificatore a transistors, che successivamente i più grandi cominciavano a mantenere il legame “cercando di ricostruire quello che mancava a casa” andando a costituire le prime comunità Hippies, prima dell’Italia divorzista e delle “famiglie allargate”. Altra epoca ma interrelazioni giovanili non dissimili. Leggo ancora “l’adolescente tende ad esagerare in ogni sua manifestazione, ma non c’è nulla di strano perché questo è un aspetto tipico della sua età.”. Gentile Psicologa, mi sorge il dubbio se la sua analisi sia “Scienza” o un riporto sintetico di qualche passo di qualche Autore di una qualche Scuola di pensiero. Ho seri dubbi che la sua sia “Scienza” a meno che non basi le sue sentenze sulle sole certezze che possono emergere dalle “Neuroscienze”: tutto il resto è opinione e non giudizio. Ma il punto più significativo giunge alla fine quando si legge: “Spetta a insegnanti e genitori, che andrebbero educati per primi, a porre dei limiti e a mettere dei paletti ai loro ragazzi”. Quindi, preso atto di un problema di comunicazione aggiriamo lo stesso limitando la comunicazione stessa. E con cosa si riempie lo spazio vuoto che rimane? Ma dulcis in fundo: “A scuola, per esempio, durante le lezioni, non dovrebbe assolutamente essere permesso tenere il cellulare”. La scuola Media frequentata da mio figlio ha inviato una circolare in tal senso che ho firmato con la esplicita gelida dicitura “per presa visione”. Da sempre mio figlio contravviene consapevolmente a questa circolare perché è stato educato preventivamente a mantenere sempre acceso il cellulare con la suoneria disinserita (ma non la vibrazione) e di controllare durante l’intervallo e all’uscita, messaggi o chiamate perse. La disobbedienza nasce dall’esigenza che mamma e papà possano essere presenti, con assoluta discrezione, ad ogni suo bisogno o problema. Sarà, forse, che il “bamboccione” non sente il vuoto di una “famiglia indebolita”, ma anche se il disagio provenisse dal vuoto di una famiglia indebolita o che si è spezzata o che non è in grado semplicemente di ascoltare e di tranquillizzare e l’unico modo di trovare ascolto è quello di inviare SMS, che fa, Dottoressa, ci invita a confinare ancora di più l’adolescente dietro al muro che già lo circonda mettendo paletti? O forse sarebbe utile mandarlo dallo Psicologo? Personalmente dissento: l’atteggiamento estremamente diagnostico e giudicante della psicologa ha tracciato un inscatolamento dell’essere umano (e dei suoi problemi) sul quale Fiodor Dostoijevski non sarebbe stato d’accordo, ha spiegato tutto (ipse dixit) ma non è stata utile in niente. Neppure a tracciare i veri termini di un problema mal posto e/o a troppi parametri. Eppure la sera nostro figlio è sempre a messaggiare e sempre in chat con compagne e compagni. E’ colpa “dei rapporti familiari più fragili” o è un “vivere tra di loro a tempo pieno, tendono quindi a rimanere nel mondo dei coetanei anche quando non sono più insieme”? Riguardo a questa seconda chiave di lettura: non sarà, per caso, perché semplicemente i “telefonini” esistono e consentono questa compagnia virtuale ed una “risonanza” (virtuale) tra giovani uomini e giovani donne attraverso la parola e lo scritto in luogo di una interazione reale, perché non è tanto prudente far uscire di sera dei ragazzini con il far west incontrollabile delle periferie?