La classifica internazionale del “Times”:Università italiana in maglia nera

Salvatore Ganci

Che Harward e Yale e Cambridge, “nell’immaginario collettivo”, siano gli Atenei dove chi merita (e chi può)  acquisisce una formazione d’eccellenza è fatto risaputo. E’ un po’ come la chiacchiera di corridoio che ti consiglia caldamente una sezione di una scuola rispetto ad un’altra, perché lì ci sono XXX, YYY e non la “famosa” ZZZ. Ma la chiacchiera di corridoio dovrebbe lasciare il tempo che trovano a meno che dati oggettivi vadano a quantificare la stessa. E così, il mio disfattismo (o realismo?),  mi diceva da tempo che la maglia nera, almeno nel settore di mia competenza, ce l’avesse da sempre l’università Italiana. Ora il “Times” in una impietosa classifica (cui gli italici Rettori contesteranno la metodologia della classificazione) mette al primo posto Harward dando ragione all’immaginario collettivo della vox populi e mette la (stimata) Bologna al posto 174 su 200. La classifica del Times relativa alle università italiane riflette nella sostanza l’ultima  classifica “nostrana” che premia Trento e il Politecnico di Milano e boccia le università del Sud piazzando “ultima” quel nonsense accademico rappresentato da quella “famiglia allargata” che costituisce l’ateneo di Macerata. Ma per chi è “addetto ai lavori” in alcuni settori delle Scienze Fisiche, non è motivo di meraviglia che ad Ankara vi sia una “scuola di Ottica” di prim’ordine e che lo stesso accada  in Giappone. L’università italiana soffre del cancro ormai in metastasi del nepotismo, con la differenza che i nipoti di un tempo avevano ancora un minimo di umana dignità mentre quelli di oggi hanno solo “un cognome”. Il “Sapere” in Italia, dalla Legge Casati in poi, è stato gestito  su di una struttura piramidale  senza passaggi tra i vari livelli. L’università  ai livelli alti della piramide è ormai speculare  della parte più bassa della piramide, costituita da una buona percentuale di docenti più interessati ad avere il sabato libero che ad un orario funzionale alla didattica e una minore percentuale di docenti appassionati al proprio lavoro e al ruolo sociale ricoperto. Un riflesso “dell’importanza di chiamarsi Ernesto” e della poca produttività è rappresentato dalle Riviste di Fisica italiane che stanno attraversando una profonda crisi “esistenziale (pur essendo alcune di esse  Internazionali”)  perché i fascicoli diventano sempre più esigui per mancanza di “materia prima”. Viceversa, nuove Riviste (del Settore Didattica e Storia)  sono nate di recente nell’America Latina (una di esse solo “on line”) e una in India. Per l’Ottica, una nuova Rivista è nata anni fa in Giappone, mentre in Italia l’Ottica rimane  solo confinata in un fascicolo del “Nuovo Cimento” (se escludiamo la benemerita pubblicazione della Fondazione Giorgio Ronchi). Nel settore della Didattica e della Storia della Fisica,  languono con sempre meno articoli le Riviste nazionali esistenti.  E’ un sintomo di non credibilità nel “sistema” che parte dal vertice alto della piramide senza scale:  l’Università.  Già, il vero male del nostro “Sapere” è avere tagliato tutte le scale d’accesso tra i vari livelli della piramide.  Concludendo: nella “piramide” globale che ha il vertice ad Harward, noi siamo davvero molto sotto e il giovane Ministro pensa ad un’altra riforma … Caro ministro, Lei dichiara che non è sorpresa e che a novembre presenterà una nuova bozza di riforma (con tante buone intenzioni). Ripensi alla moltiplicazione di corsi e professori dell’ultima riforma, ripensi allo sfacciato abuso dell’autonomia degli atenei  e si chieda se prima di “riformare” non è da mettere in discussione la stabilità lavorativa di tanti “fannulloni” (termine caro ad un suo collega) mandando a casa chi non ha prodotto nulla negli ultimi due anni chiunque esso sia. In fin dei conti la festa del 14 luglio in Francia (oggi esempio di serietà nell’Istruzione) è purtroppo passata per un buon numero di teste mozzate. E qui le “teste” sono, fortunatamente, solo virtuali.